Marche, la strana storia della cava di Acquasanta approvata dagli amici del commissario Castelli

  • Postato il 23 settembre 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Salviamo San Pietro”. Lo striscione esposto da Diana Di Loreto e Paolo Prezzavento, rispettivamente presidente e vice presidente di Legambiente Ascoli, è ormai diventato un simbolo. Un tema locale che però rischia di arrivare fino a Roma, alla struttura commissariale per il Sisma 2016, con a capo il senatore di Fratelli d’Italia, Guido Castelli. Siamo ad Acquasanta Terme (Ascoli Piceno), piccolo centro nel cuore dell’Appennino marchigiano, 2.411 abitanti distribuiti su 50 frazioni (tra cui San Pietro d’Arli). Qui, nel cuore del territorio devastato dal terremoto di nove anni fa, l’apertura di una cava di travertino minaccia di trasformare un angolo di montagna in un enorme cratere. E di azzerare l’economia turistica di tutta l’area. Tanto che da queste parti qualcuno l’ha già ribattezzata “cavopoli”.

La vicenda parte da lontano, dal 2008, con l’approvazione di un piano cave regionale rimasto a lungo sulla carta. È però nel 2023 che una società di Guidonia, vicino Roma, specializzata nell’estrazione, acquista terreni a San Pietro confinanti con abitazioni private. L’operazione, mediata da un ex tecnico comunale, avviene a prezzo maggiorato con la promessa di “assenza di ostacoli burocratici”. I terreni finiscono così alla Delta Srl e vengono affittati alla Fratelli Pacifici Srl, entrambe con la stessa sede a Roma. La Pacifici, già citata in inchieste della Procura di Tivoli per disastro ambientale e fideiussioni irregolari, ottiene così il controllo dell’area. I residenti scoprono che il progetto prevede una cava a pozzo profonda 40 metri e larga 100 metri per 100, con potenziali effetti di amplificazione sismica, in un territorio appunto segnato dal terremoto. I geologi avvertono dei rischi di crollo, mentre gli abitanti temono polveri, rumori, traffico pesante e la svalutazione delle case, oltre a danni per le attività turistiche basate su silenzio e natura. Una cava che rischia di occupare il fabbisogno di tutta la regione, togliendo lavoro agli altri cavatori del posto.

A guidare il comune di Acquasanta Terme è Sante Stangoni, civico di destra, noto alle cronache locali per la sua amicizia con il sindaco di Ascoli, Marco Fioravanti e considerato vicino anche al commissario per la ricostruzione, Guido Castelli. Inizialmente Stangoni assicura che “non si farà nessuna cava”, ma pochi mesi dopo il consiglio comunale vota lo spostamento di una strada vicinale (delibera 159 del 30 ottobre 2024) indispensabile all’avvio dei lavori, giustificando la decisione con presunti benefici occupazionali. Un cambio d’idea repentino. In Comune non esiste un’opposizione e la volontà della politica sembra quella di assecondare l’idea di evitare intoppi burocratici. Così anche quando la Soprintendenza Archeologica certifica il rinvenimento di reperti di età romana, protostorica e medievale, ipotizzando la presenza di un antico monastero, la cosa passa sotto silenzio: nonostante due conferenze dei servizi abbiano evidenziato gravi criticità e perizie tecniche giudicate un “copia e incolla”, l’iter procede.

Il 20 agosto 2024 arriva il primo di una serie di esposti alla Procura di Ascoli Piceno presentati dall’avvocato Giovanni Galeota, per conto del residente Gianfranco Allevi. Nel documento si sottolinea che l’area individuata per la cava da 40 metri comprende particelle di terreno già segnalate dal Ministero della Cultura come di interesse archeologico, dove la legge impone assistenza costante di archeologi in ogni movimento di terra. Nonostante ciò, denuncia l’esposto, il sito è stato arato e fresato “in tempi non agricoli”, con il rischio di distruggere reperti. Non solo. Si contesta anche lo spostamento della strada storica, più breve e sicura, a favore di un tracciato tortuoso e pericoloso, ricadente in zona a rischio idrogeologico R2. Il legale evidenzia inoltre che il cratere previsto, capace di contenere fino a 350 mila metri cubi d’acqua, potrebbe interferire con le falde idrotermali che alimentano le celebri sorgenti solfuree locali. Nel mirino anche la Valutazione di Impatto Ambientale: mancano analisi su microclima, venti, fauna e flora, e non viene quantificata con precisione l’emissione di polveri sottili e anidride carbonica. Si segnala l’assenza di un piano dettagliato per il ritombamento e di una fideiussione credibile, a tutela del ripristino ambientale.

A complicare il quadro, le fideiussioni già menzionate in consiglio comunale: la delibera del 30 ottobre 2024 attesta una polizza protocollata lo stesso giorno, ma la convenzione cita una stipula successiva con una compagnia rumena, la Abc Insurance, mentre un altro punto rimanda a una società svedese, la Visentia Insurance, entrambe segnalate dall’Ivass – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – per irregolarità. In pratica, sui 10 anni previsti per coltivazione della cava, l’assicurazione ne copre soltanto due. Questo significa che la mega-buca potrebbe anche cambiare destinazione, magari venendo convertita a discarica e finendo a ospitare gli scarti edili della ricostruzione.

Le richieste di accesso agli atti da parte dei cittadini restano senza risposta. Oggi i pre-scavi sono iniziati, mentre il ricorso al Tar è in attesa di giudizio. Intanto due petizioni popolari, “Salviamo San Pietro”, hanno già raccolto oltre 400 firme. Colpisce anche il silenzio della struttura commissariale, guidata da Castelli che è stato sindaco di Ascoli Piceno dal 2009 al 2019. La stessa struttura che nel 2023 aveva chiesto al comune di Acquasanta una “verifica preventiva di interesse archeologico per l’intervento di recupero del Cimitero” di Arli”. Tradotto: sì all’interesse archeologico per un cimitero, no a quello per una cava di travertino.

La comunità da tempo denuncia un’amministrazione “opaca e troppo arrendevole” verso l’impresa privata, a scapito della sicurezza, dell’archeologia e delle acque termali. Così mentre la Procura di Ascoli ha aperto un’inchiesta – per ora modello 45, dunque senza indagati e senza ipotesi di reato – quella che doveva essere un’opportunità economica appare sempre più come un caso emblematico di conflitto tra interesse pubblico e interessi privati, con il futuro della montagna, e di un patrimonio storico e ambientale, affidato ora alle aule della giustizia.

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