Manovra, controllori dello Stato in tutte le imprese che ricevono almeno 100mila euro di aiuti pubblici. Anche in 80 giornali, ecco quali

  • Postato il 26 ottobre 2024
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Rappresentanti del ministero di Economia e Finanza “nei collegi di revisione o sindacali di società, enti, organismi e fondazioni che ricevono, anche in modo indiretto e sotto qualsiasi forma, contributi a carico dello Stato, di entità significativa”. Lo prevede la legge di Bilancio appena trasmessa alla Camera. L’articolo 112 si intitola infatti “Misure di potenziamento dei controlli di finanza pubblica”. Un modo di verificare come vengono spesi i soldi pubblici che entrano nel mondo produttivo, attraverso la nomina di un rappresentante del MEF che andrà a sostituire uno dei sindaci di nomina aziendale a partire “dalla prima scadenza del collegio successiva all’esercizio in cui si verificano le condizioni stabilite”, dice il secondo comma. Nel frattempo, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, andranno operate “modifiche statutarie, regolamentari e organizzative” in tutte le imprese che ricevono contributi “di entità significativa”.

“Il livello di significatività del contributo è stabilito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, precisa il primo comma del 112. Ma intanto, dal primo gennaio prossimo, “in sede di prima applicazione il predetto livello di significatività è stabilito nell’importo di 100.000 euro annui“. Escluse le società controllate o partecipate da regioni ed enti locali, precisa la norma, chi supera la soglia dovrà aprire la porta al controllore di Stato. Quanti non vogliono un funzionario del ministero tra i piedi dovrà rinunciare ai contributi, almeno nella misura eccedente al livello minimo stabilito.

Che faranno questi rappresentanti dello Stato lo dice il terzo comma: “Assicurano le necessarie attività di monitoraggio della spesa e di resoconto al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato delle risultanze delle verifiche effettuate”. Tutto per “favorire processi di efficientamento della gestione di società, enti, organismi e fondazioni” percettori di contributi, “nella prospettiva di realizzare processi integrati e sistematici di revisione della spesa pubblica e di rafforzare l’efficacia allocativa delle risorse pubbliche erogate”, spiega il comma 4. Che prevede l’estensione a tali soggetti delle “misure di contenimento della spesa” già utilizzate per enti e organismi pubblici, con l’obbligo di non aumentare le spese per beni e servizi oltre la media di quelle sostenute nel triennio 2021-2023, a meno di maggiori risorse proprie acquisite rispetto al stesso periodo.

Non c’è dubbio che si tratti di una scelta invasiva, soprattutto vista la parte politica che l’ha intrapresa, che comprende chi ha tante volte urlato “fuori lo Stato dalle imprese“. E invece adesso un piede glielo fa mettere. Anzi, di piedi il ministero di Giancarlo Giorgetti dovrà averne parecchi, perché le aziende interessate potrebbero essere un’infinità. A lardare solo quelle che pubblicano giornali e periodici, in base ai dati del Dipartimento per l’informazione e l’editoria sono 80 le imprese che ricevono “contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici editi e diffusi in Italia” oltre la soglia iniziale di 100mila euro. Tra i più noti, a partire da quelli che ne hanno ricevuti di più nel 2023, troviamo Famiglia Cristiana, Avvenire, Libero, Italia Oggi, il Manifesto, Il Foglio e il Secolo d’Italia.

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Il Fatto Quotidiano

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