Mamdani, 200 avvocati per difendere New York dalle minacce di Trump. Ma i suoi poteri sul taglio dei fondi sono limitati

  • Postato il 6 novembre 2025
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Il guanto di sfida – l’ennesimo, in realtà – era già stato lanciato non appena si era delineata la vittoria che lo ha consacrato primo sindaco musulmano di New York. “So che ci guardi: alza il volume”, aveva detto Zohran Mamdani davanti ai suoi sostenitori, rivolgendosi a Donald Trump che nel corso della campagna elettorale aveva definito “stupidi” gli ebrei che lo avessero votato. E non si era risparmiato rispetto alle minacce di tagliare fondi federali alla Grande Mela se il 34enne – fino a gennaio deputato semisconosciuto dell’assemblea statale – fosse arrivato a Gracie Mansion. Come anticipato da tutti i sondaggi, Mamdani ce l’ha fatta e con uno stacco di rilievo dai suoi rivali, Cuomo e Sliwa. Non solo: si sta già attrezzando per difendere la città dagli attacchi della Casa Bianca. Promettendo di volersi muovere rapidamente, ha dichiarato al New York Times che si sta consultando con i suoi consiglieri e si avvia ad assumere 200 legali pronti a combattere l’amministrazione Trump in tribunale. “I miei sostenitori e il nostro movimento vogliono una politica coerente, che si concentri davvero sui bisogni dei lavoratori”, ha aggiunto precisando come a suo avviso il “sistema delle tasse è un esempio dei tanti modi in cui gli americani sono stati traditi”. Dopo la vittoria, per Mamdani arriva ora la fase più difficile, quella di adottare la sua ricetta per rendere la città più accessibile con il congelamento degli affitti, gli asili e i bus gratis e i negozi di alimentari comunali per controllare i prezzi. Promesse tagliate su misura per una città che ha visto lievitare il costo della vita, estromettendo le classi meno abbienti.

Quanto sono reali le minacce di Trump? – Durante la campagna elettorale, Trump ha ripetutamente di essere intenzionato a tagliare i trasferimenti federali per la Grande Mela nel caso in cui avesse vinto il candidato che non è socialista – ha dichiarato Trump – ma “comunista“. “È altamente improbabile che io contribuisca con fondi federali, oltre al minimo richiesto”, aveva dichiarato, sottolineando che una vittoria di Mamdani sarebbe un “completo e totale disastro”. Per quanto possa minacciare, non è il capo della Casa Bianca ad avere l’ultima parola, ma il Congresso: oggi è a controllato dai repubblicani che detengono 53 seggi al Senato, mentre i Democratici ne hanno 47; i Repubblicani hanno poi 220 seggi alla Camera, mentre i dem si fermano a 212. Al Jazeera riporta le osservazioni dell’avvocato costituzionalista Bruce Fein, secondo cui Trump non può legalmente bloccare i finanziamenti a uno Stato “a meno che il Congresso non abbia espressamente condizionato i finanziamenti a uno Stato e la condizione non sia correlata allo scopo del denaro”. Così come, precisa con un esempio, “non può sospendere i pagamenti Medicaid a uno Stato perché il suo governatore era un democratico”. Dunque, qualsiasi ente i cui fondi vengano tagliati da Trump avrebbe il diritto di citare in giudizio la sua amministrazione. New York, secondo quanto emerge da New York State Comptroller, un’analisi dei finanziamenti per la megalopoli pubblicata ad aprile 2025, “la città avrà bisogno di 7,4 miliardi di dollari di fondi federali per l’anno fiscale 2026”. Questi – si legge ancora su Al Jazeera – rappresentano il 6,4% della spesa totale e sono destinati in gran parte alle agenzie locali per l’edilizia abitativa e i servizi sociali. Il Fondo di Assistenza Temporanea per le Famiglie Bisognose (TANF) è stato il più grande fondo federale non pandemico per gli anni fiscali 2025 e 2026. Dunque i poteri del presidente rispetto all’elargizione dei fondi sono tutt’altro che illimitati e ben contenuti nel perimetro della legge.

Le aperture al dialogo dopo la vittoria – Dopo le reazioni a caldo – in cui Trump ha dichiarato che Mamdani avrebbe vinto perché il suo nome non era sulla scheda e a causa dello shutdown, il più lungo della storia Usa – il presidente Usa ha dichiarato a Fox News di “amare New York”, aggiungendo poi che il discorso del neo sindaco “è stato un discorso arrabbiato, dovrebbe essere molto gentile con me. Deve essere un po’ più rispettoso nei confronti di Washington. Io voglio che la città” di New York “abbia successo”, ha continuato, e che Mamdani “dovrebbe contattarci. Io sono qui, sarebbe più appropriato che lo facesse lui”, ha aggiunto. Dopo avere duramente attaccato il neo sindaco – preconizzato che con lui vi sarà una fuga di newyorkesi dal “comunismo” e paragonato il nuovo governo della Grande Mela ai regimi di Cuba e VenezuelaTrump, nello stesso discorso all’American Business Forum di Miami, è apparso cambiare tono, suggerendo anche una disponibilità ad aiutare la città. “Vedremo quello che succede, e noi li aiuteremo, noi vogliamo che New York abbia successo, li aiuteremo un po’, forse”, ha detto ancora. Anche Mamdani, dopo la vittoria, ha aperto al dialogo con Washington più di quanto non avesse fatto in campagna elettorale, pur ammettendo di non essere stato chiamato per le consuete congratulazioni dal presidente. “La Casa Bianca non mi ha contattato per congratularsi. Continuo a essere interessato a parlare con il presidente Trump su come possiamo lavorare insieme per New York“, precisando: “Non userò mezzi termini quando si tratta del presidente Trump. Continuerò a descrivere le sue azioni così come sono e lo farò sempre lasciando una porta aperta al dialogo”.

“Nel voto Usa la principale preoccupazione è stata l’economia” – Stando al sondaggio Ap Voter Poll su oltre 17 mila elettori in New Jersey, Virginia, California e New York, l’economia è stata la preoccupazione dominante nelle elezioni. I cittadini che hanno votato il 4 novembre negli Usa hanno dato priorità all’economia rispetto all’immigrazione e alla criminalità, rimasti in secondo piano. A un anno dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca con la promessa di domare l’inflazione e stimolare la crescita, molti americani lamentano prezzi alti, salari fermi e meno opportunità, mentre il lungo shutdown federale alimenta l’incertezza. La maggioranza degli intervistati dice che le proprie finanze sono “stabili” ma non in miglioramento, e oltre la metà degli elettori in New Jersey e Virginia si è dichiarata “arrabbiata” o “insoddisfatta” per come stanno andando le cose nel Paese. Le sfide economiche si sono manifestate in modi diversi a livello locale: in New Jersey pesano le tasse, in Virginia i tagli federali e i licenziamenti, a New York City il costo degli alloggi.

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