Mal di testa, la svolta: ora si può curare, per sempre
- Postato il 5 ottobre 2025
- Di Panorama
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«Il mal di testa non è tutta me, è una parte di me». La bambina bionda che sorride, e, guardando dritto in camera e pronuncia questa frase nel documentario Una vita a metà, appena presentato al Festival del Cinema di Venezia, racchiude in poche parole la natura più intima e crudele dell’emicrania: una malattia quasi invisibile e non compresa, che però isola dal mondo ed è capace di invadere, letteralmente, la vita di chi ne soffre.
Patologia neurologica che colpisce oltre 6 milioni di italiani ed è – secondo l’Oms – tra le principali cause di disabilità sotto i cinquant’anni, non è un «banale mal di testa», ma un nemico che costringe a chiudersi in casa, spegnere la luce, rinunciare a giornate intere di lavoro, relazioni, progetti. Ancora oggi si accompagna a pregiudizi, diffidenza e incomprensione, e chi ne soffre viene spesso percepito solo come una persona pigra, che esagera i sintomi cercando una scusa per non lavorare o per non alzarsi dal letto.
La rivoluzione nelle cure
Fino a solo poco tempo fa le cure disponibili si limitavano, più che altro, a rimedi sintomatici e antidolorifici da somministrare al momento dell’attacco, sperando che funzionassero. Adesso, però, qualcosa sta davvero cambiando. «Ci troviamo in un momento di autentico “salto epocale”: oggi abbiamo terapie che servono sia a prevenire l’attacco di emicrania sia a spegnerlo, e questa è un’assoluta novità», dice a Panorama il professor Piero Barbanti, docente di Neurologia all’Università San Raffaele di Roma e componente del Board della International Headache Society (IHS), organizzazione scientifica internazionale dedicata allo studio e alla cura delle cefalee.
«I nuovi farmaci funzionano sui pazienti molto meglio che negli studi clinici, cosa che in medicina accade molto raramente: per fare un semplice esempio, è come se comprassi una macchina che dovrebbe fare 10 chilometri al litro e poi invece usandola ho la bella sorpresa che ne fa più di 20. Per i malati è finalmente arrivato il momento della svolta».
I protagonisti di questa rivoluzione sono di due categorie: da una parte gli anticorpi monoclonali, che si somministrano per iniezione, e dall’altra i gepanti, compresse da assumere per bocca. Entrambi vanno a colpire – ovviamente con modalità diverse – lo stesso bersaglio, e cioè il circuito del CGRP (Calcitonin Gene-Related Peptide), neuro peptide che viene “liberato” durante l’attacco e provoca infiammazione e vasodilatazione. «Si tratta di una sorta di interruttore che accende il dolore emicranico», continua Barbanti. «Gepanti e anticorpi agiscono su binari diversi ma ottengono lo stesso risultato: che tu “spenga” la spina o la presa, il circuito comunque non funziona più e il dolore scompare».
Risultati e nuovi farmaci
I risultati sono impressionanti. Per quanto riguarda gli anticorpi monoclonali, nei registri italiani – che oggi fanno letteratura internazionale – si osserva che dopo un anno il 91,3 per cento dei pazienti risponde alla terapia: dove rispondere significa almeno dimezzare i giorni di mal di testa, che nei malati possono arrivare anche a 15 o 20 al mese.
Dal canto suo, il nuovo farmaco rimegepant che solo da pochi giorni è stato reso rimborsabile, ed è prodotto da Pfizer (nome commerciale Nurtec e Vydura) ha rivelato poteri – se possibile – ancora superiori, perché può essere usato come terapia preventiva. «È come una moneta con la quale, sia che esca testa o croce, vinci sempre», prosegue Barbanti. «Se viene usato durante l’attacco, lo spegne: se si utilizza come terapia cronica, e quindi assumendolo a giorni alterni per tutto il mese, previene l’insorgenza delle crisi, arrivando a dimezzarle. Cosa che per un paziente che magari ha dieci attacchi al mese è un vero e proprio cambio di prospettiva di vita. Possiamo definirlo il primo farmaco “double face” della storia recente».
Il peso sul sistema sanitario
E naturalmente non si parla solo di qualità della vita dei pazienti, ma anche di tenuta del servizio sanitario nazionale, perché i giorni di emicrania hanno un peso non indifferente anche sui reparti di emergenza, sui ricoveri e sulle liste d’attesa degli esami.
«Chi deve fronteggiare un attacco e non riesce a calmare il dolore con i rimedi che ha a disposizione, spesso si presenta in Pronto soccorso», spiega Alessandro Riccardi, presidente di Simeu (Società italiana di emergenza urgenza). «Sono pazienti che a causa del dolore magari vomitano da ore e sono anche disidratati, o che hanno aspettato troppo, sperando che il dolore passasse, e quindi hanno bisogno di forti terapie endovena con farmaci ospedalieri: solo nei reparti di emergenza riescono a trovare una risposta idonea».
Il problema è che spesso, proprio su questi pazienti che molte volte sono anche giovani, si finisce per esercitare un’eccessiva medicina difensiva. Perché davanti a un’emicrania molto intensa, il medico con poca esperienza, lo specializzando o lo pseudo-gettonista in prestito che magari deve fare solo un turno, preferisce far eseguire subito una tac o magari anche una risonanza, e “mettersi al sicuro” da eventuali problemi.
«Questo però può far danni al paziente: ricordiamo che una sola tac cerebrale “pesa” come numero di radiazioni come circa 40 radiografie al torace. Andrebbe evitata se non in caso di alto rischio clinico, e di certo non va effettuata per una emicrania conosciuta e già diagnosticata», dice ancora Riccardi. «Ma non solo. Questo eccesso di esami influirà negativamente su tutto il sistema, andando a ingolfare le liste d’attesa e ad allungare i tempi per i pazienti che hanno effettivamente bisogno. È come un cane che si morde la coda».
Costi e accesso alle cure
Il fatto di avere finalmente una terapia efficace che consente di prevenire gli attacchi ha quindi una enorme ricaduta positiva, che va oltre il “piccolo mondo” del singolo malato. E qui veniamo, però, alle dolenti note: i costi. Una singola compressa del nuovo farmaco rimegepant “double face” costa 33 euro: dovendo assumerla un giorno sì e un giorno no, per prevenire le crisi il paziente spenderebbe 500 euro al mese.
Infatti, proprio a causa dei costi ingenti, il farmaco finora non è praticamente mai stato utilizzato dai malati. Ora però è stato reso rimborsabile, senza alcun ticket, sia per l’attacco acuto che per la terapia preventiva: ma, secondo le regole dell’Agenzia italiana del farmaco, può essere prescritto soltanto a quei pazienti che non abbiamo ricevuto benefici da almeno tre classi di farmaci di prima linea (Fans, triptani, antiepilettici, antidepressivi, betabloccanti, etc) e che però spesso hanno effetti collaterali molto alti: mentre queste nuove molecole ne hanno pochissimi.
Questa scrematura dei malati, ovviamente, crea molto malcontento. «Il nodo dell’accesso alle nuove terapie così efficaci è davvero cruciale», afferma Alessandra Sorrentino, presidente dell’Associazione Alleanza Cefalalgici (Al.Ce). «Il fatto di poterle ottenere solo dopo aver fallito tre terapie precedenti vuol dire perdere almeno un anno e mezzo. È un paradosso: sappiamo che i nuovi farmaci sono efficaci e hanno pochi effetti collaterali, ma noi malati dobbiamo ancora aspettare, soffrire e peggiorare. È vero che parliamo di spese significative, ma bisognerebbe considerarle un investimento, perché prevenire la cronicità significa alleggerire il servizio sanitario. Oggi, invece, il sistema fa finta di non vedere».
L’impatto economico
Servizio sanitario a parte, in Italia il peso complessivo della malattia è stato stimato – dagli studi più recenti – in circa 20 miliardi di euro all’anno.
La gran parte di questo danno economico è dovuto alla perdita di produttività, non solo all’assenteismo ma anche al presenteismo: chi soffre di emicrania, infatti, spesso si reca comunque al lavoro, per evitare lo stigma di colleghi e superiori, ma ovviamente non riesce a rendere come dovrebbe.
«L’emicrania è un ostacolo che va saltato, per poi proseguire la propria corsa», dice l’olimpionico di canottaggio Matteo Sartori, 23 anni, uno dei protagonisti del documentario presentato a Venezia. Oggi quella corsa può davvero ricominciare: abbiamo le armi per combattere l’emicrania, speriamo solo che la burocrazia italiana non le spunti.