Magneti Marelli presenta istanza di fallimento, 1.600 lavoratori a rischio
- Postato il 13 giugno 2025
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- Di Virgilio.it
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Una brutta notizia al giorno: Torino ormai ci ha fatto l’abitudine. Ma quella dell’11 giugno ha un peso diverso. Un boato. Magneti Marelli, storica azienda della componentistica auto, ha chiesto ufficialmente il fallimento, attivando il Chapter 11 negli Stati Uniti, spiegano dall’azienda. Ma il segnale è chiaro: anche i colossi traballano. E a Torino, dove Marelli conta due stabilimenti e un centro di ricerca a Venaria, l’aria è tesa. Anzi, tesissima.
Trattative in corso
Nata nel 1919 su iniziativa di Giovanni Agnelli e Ercole Marelli, la società ha legato la propria storia per decenni al gruppo Fiat, diventandone un punto fermo. Poi la cessione: prima ai giapponesi di CK Holdings nel 2019, quindi il passaggio di mano al fondo americano KKR, attuale proprietario. Oggi, gravata da oltre 4 miliardi di debiti, Marelli prova a respirare con la protezione offerta dalla legge fallimentare Usa, fanno sapere.
Il nome in ballo? Il colosso indiano Motherson, con cui i contatti erano in corso da mesi. Intanto, a Torino, si resta col fiato sospeso: 1.600 dipendenti nella zona di Venaria su circa 6.000 in tutta Italia. Personale da anni tra le forze traino del Made in Italy, e adesso appeso a una trattativa lontana, in corso tra tribunali americani e fondi internazionali. Ma che ha ricadute dirette, quotidiane, sulle famiglie piemontesi.
I sindacati non stanno a guardare. “Siamo preoccupati, e non solo per i lavoratori torinesi”, dice Toni Inserra della Fiom Cgil. “Il settore sta andando fuori strada. E il problema di Torino resta Stellantis”. Già, perché i conti in rosso spiegano solo in parte i problemi. “La crisi dell’indotto è legata all’ex Fiat. Finché non si capirà il ruolo di Stellantis in Italia e in Piemonte, difficilmente la filiera potrà tornare a prosperare”.
Il nodo
L’azienda stessa ammette le difficoltà. Uno dei nodi più grossi? La crisi di Nissan, uno dei principali clienti del gruppo. Ma secondo chi presta servizio da anni nei capannoni, il problema non è congiunturale. È strategico. A lungo l’azienda ha rappresentato un polo di innovazione, in particolare grazie al centro R&D presente a Venaria, fiore all’occhiello della produzione tricolore. Un gioiello. Ora rischia di finire dentro una manovra finanziaria senza garanzie. E i lavoratori temono che la prossima proprietà decida di tagliare proprio qui.
“Nonostante la crisi dell’auto, Marelli in Italia è un’azienda sana e innovativa. Va tutelata”, dichiara Enrico Dettori della Fim Cisl. “L’avvio della procedura fallimentare era necessario, ma ora vogliamo capire quale sarà l’evoluzione. Non possiamo restare alla finestra”. Dopo un confronto tra rappresentanti sindacali e vertici aziendali, il 19 giugno si passerà a un livello istituzionale con un appuntamento al ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Le sigle sindacali — Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr — si sono mosse con una nota congiunta: “Abbiamo chiesto e ottenuto dall’azienda un incontro urgente. Ma serve un tavolo stabile al Ministero. È fondamentale che il governo segua da vicino la vicenda”. Il futuro? Incerto. Se l’intesa coi finanziatori, già approvata da circa l’80% di loro, dovesse reggere, Marelli potrebbe ottenere una finestra utile per riposizionarsi. Lasciarla cadere sarebbe un segnale devastante. Per l’auto. E per Torino.