Magi: la verità sulla strage dimenticata, voluta da Tito e dai comunisti

  • Postato il 8 febbraio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Magi: la verità sulla strage dimenticata, voluta da Tito e dai comunisti

Quante ricorrenze legate agli ottant'anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Non solo i campi di concentramento mostrati al mondo nel '45, ma anche gli orrori da parte dei vincitori, e a lungo ignorati con gelido distacco. Non solo gli infernali delitti delle foibe con le cordate umane precipitate negli abissi, ma le tante innocenti vittime di ritorsioni e vendette personali, che nulla avevano a che fare con gli eccidi fascisti, come ci raccontò Giampaolo Pansa, finito nel tritacarne dei sinistri per aver sdoganato la verità, nel 2003, con Il sangue dei vinti.

In questi giorni sono ottant'anni anche dall'eccidio di Porzûs, in provincia di Udine, un balcone verde, le malghe, terra di alpeggio e turismo, declinante dolcemente sul Friuli Venezia Giulia, a poca distanza dall'attuale confine italo-sloveno. In un'allucinante sequenza di sangue, durata dal 7 al 18 febbraio 1945, sotto l'aura complice e nefasta dell'allora maresciallo Tito, venne assassinato dai Gap (partigiani rossi), un'intero reparto della Brigata Osoppo (partigiani bianchi).

Morirono in diciassette, fra i quali Guido Pasolini, fratello del regista Pier Paolo (un dolore indelebile per tutta la sua vita), e Franceso De Gregori, zio, omonimo, del noto cantautore, nome di battaglia “Bolla”.

A capitanare la mattanza ci fu Mario Toffanin, detto “Gabba”, poi processato, condannato, e infine graziato da Sandro Pertini. Una curiosità: il presidente, molto amante dell'arte, nella sua collezione privata, poi donata alla Pinacoteca del Comune della natìa Savona, aveva anche un grande ritratto di Tito, ricevuto in dono. Come accaduto con le foibe (anche quelle volute dal sanguinario despota jugoslavo), per anni, nessuno osava parlarne.

Quando, nel 1997, fu presentato alla mostra del Cinema di Venezia il film sull'eccidio, diretto da Roberto Martinelli, si scatenò una furibonda querelle e il film, i cui diritti erano stati acquistati dalla Rai, andò in onda soltanto nel 2012: censura politica?

Ma la nemesi, o la giustizia, chiamatela come volete, prima o poi arriva, in questo caso impugnata dalla penna di Tommaso Piffer, professore associato di storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Udine, con il suo saggio Sangue sulla Resistenza-Storia dell'eccidio di Porzus (le Scie Mondadori, pag.257, euro 23), per raccontarci tutta la verità, anche con documenti inediti, su «un eccidio che non ha uguali nella storia della resistenza italiana».

 

L'ORRORE TRA LE MALGHE

Come Caino e Abele in una proiezione gigantesca, poiché comunque di fratelli italiani si trattava. Il suo racconto inizia pochi mesi dopo il fatale febbraio del '45, quando un giovane prete si aggirava sulle colline tra Gorizia e Cividale, tra quelle dolcissime malghe, diventate il simolo della tragedia già testimoni del sangue versato durante la prima guerra mondiale.

Si chiamava don Aldo Moretti, don Lino il nome di battaglia nella brigata Osoppo da lui fondata, aveva trentasei anni e cercava invano i suoi amici e compagni di lotta, tra di loro anche giovanissimi carabinieri che si erano uniti alla resistenza nell'estate del '44.

C'era stata tensione con le divisioni slovene, in sintonia con i Gap comunisti. In realtà era questione di prevaricare gli italiani nella futura spartizione del territorio, in vista della vittoria, gli alleati avanzavano ed era imminente l'insurrezione delle città del nord, Milano prima di tutte. Infatti alla fine della guerra ci sarebbe stata la cacciata degli italiani dalle terre istriane, diventate jugoslave, una diaspora paragonabile agli esodi dei tempi biblici.

Tornando all'orrore di Porzus, il libro contiene anche foto significative dell'intesa fra la divisione Garibaldi Natisone (i Gap) e il IX Corpo Sloveno. Giravano voci sulla possibilità di attacchi alla Osoppo, pressioni affinché mollassero il territorio, a fiutare per primo il pericolo era stato proprio Francesco De Gregori. Gli inglesi avevano lanciato l'allarme, ma non bastò. Il vicesegretario del PCI di Udine inviò una lettera al comandante Toffanin con l'ordine di preparare 150 uomini «completamente armati con viveri a secco per 3-4 giorni».

Questa lettera fa parte dei documenti che per la prima volta ci fa conoscere Piffer, non più soltanto una storia italiana, ma testimonianza nel crocevia del Novecento europeo. Sotto il profilo umano, restano le foto delle diciassette vittime, incluso il bel volto dolce dell'unica donna, Elda Turchetti, nome di battaglia “Livia”. Illuminato da una vana luce di speranza.

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Libero Quotidiano

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