“Ma se dico Andreotti?”: il silenzio ‘assenso’ di Rita Dalla Chiesa alla domanda sull’omicidio del padre Carlo Alberto

  • Postato il 21 settembre 2024
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Ma se io dico Andreotti cosa dici?”. Un lungo silenzio e un sorriso amaro, un cenno con la testa. “Sembra un assenso”, la sottolineatura di Luisella Costamagna. La deputata di Forza Italia Rita Dalla Chiesa si è sbottonata fin quasi a un punto di rottura durante la puntata di Tango, in onda venerdì sera in seconda serata su Rai2, riguardo alle radici dell’omicidio del padre, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ammazzato a Palermo il 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, pochi mesi dopo l’inizio della sua missione di contrasto a Cosa Nostra nel ruolo di prefetto del capoluogo siciliano.

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La deputata ha sempre parlato di “omicidio politico” e ancora lo scorso agosto, in un post su Facebook, aveva descritto così la mattanza di via Carini: “Fu ucciso per fare un favore a qualcuno, chi fosse quel qualcuno puoi immaginarlo”. Nello studio di Tango, sollecitata da Costamagna, è tornata ad affermare con forza che c’era appunto un politico dietro la strage di 42 anni fa per la quale furono condannati all’ergastolo, come mandanti, i vertici di Cosa nostra dell’epoca: i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Nel 2002 è arrivata la condanna anche per gli esecutori Vincenzo Galatolo, Antonino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.

“Non è passato abbastanza tempo per dire quel nome?”, chiede Costamagna. Dalla Chiesa sottolinea che, sì, “potrebbe essere passato il tempo però c’è una famiglia di questo politico e io evito di parlarne”. Poi prosegue con qualche dettaglio in più: “Comunque era una persona che quando andò a Palermo aveva detto a mio padre: ‘Stia attento a non mettersi contro la mia corrente perché chi l’ha fatto è sempre tornato con i piedi… in una bara’”. A quel punto è la giornalista e conduttrice a fare un nome: “Ma se io dico Andreotti cosa dici?”. Dalla Chiesa non risponde, resta in silenzio, accenna un sorriso amaro e scuote per un attimo la testa come a confermare. “Un silenzio che mi sembra un assenso”, conclude Costamagna.

Nel 2017, come aveva raccontato Il Fatto Quotidiano, fu l’allora procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, ora senatore del M5s, a dire in Commissione Antimafia che Gioacchino Pennino, medico, uomo di Cosa nostra e massone, diventato collaboratore di giustizia aveva raccontato di aver saputo da altri massoni che “l’ordine di eliminare Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò a Palermo da Roma, dal deputato Francesco Cosentino”. Democristiano, andreottiano, massone, Cosentino era un potente parlamentare della Dc, segretario generale della Camera, fedelissimo di Giulio Andreotti e personaggio di rilievo della loggia P2 di Licio Gelli.

Nella sentenza di condanna degli esecutori materiali della strage si legge: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.

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Il Fatto Quotidiano

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