Ma qualcuno legge ancora libri che cambiano la vita?
- Postato il 14 agosto 2025
- Di Panorama
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Non romanzi da ombrellone o manuali di autoaiuto, non storielle confezionate per far sorridere, commuovere a buon mercato o riempire un paio d’ore sotto il sole. Ma quei libri che sanno far tremare, che ti spostano qualcosa dentro, che ti mettono in crisi, ti interrogano, ti obbligano a pensare. Quei libri che non sono intrattenimento, ma esperienza. Quei libri che — per usare una definizione meravigliosa di Kafka — sono l’ascia che spezza il mare gelato dentro di noi. Girando tra mare e montagna, negli stabilimenti balneari come nei rifugi in quota, di libri così non se ne vede quasi nessuno. Si vedono cellulari, tablet, schermi ovunque, popolati per lo più di foto, chat, giochi. Qualche libro in formato kindle, forse ogni tanto un audiolibro in sottofondo, un buon podcast se va bene. E quando finalmente compare un lettore, spesso ha in mano qualcosa di leggero, veloce, scivoloso. Quasi mai un classico, quasi mai un libro difficile, faticoso, profondo.
Un’eccezione, a dire il vero, c’è: i libri candidati o vincitori dei grandi premi letterari, dallo Strega al Campiello, passano di mano in mano. Complice il battage mediatico, le vetrine delle librerie, le interviste, i post sui social, quei titoli si vedono sotto gli ombrelloni, nelle borse da weekend, impilati nei salotti. Regalati spesso, ma chissà letti davvero, fino in fondo, con il tempo e la profondità che meritano e che – eh sì – richiedono. Mah. Sembra che la lettura stia diventando un consumo come gli altri: un modo per passare il tempo, non per abitare il tempo. La cultura ridotta a intrattenimento, con l’aggravio di essere l’intrattenimento più faticoso. Peraltro non c’è nulla di male nell’intrattenimento, finché non resta l’unica forma di rapporto con la parola scritta: se leggiamo solo per distrarci e mai per capire, mai per confrontarci con qualcosa di più grande, di più complesso, allora stiamo perdendo la vera essenza della lettura e più in generale dell’essere umano. I libri veri — quelli che lasciano il segno, quelli che insegnano a guardare il mondo con occhi nuovi — sono sempre più rari nelle mani dei lettori. O meglio: lo sono tranne che in quelle dei ragazzi delle scuole superiori. Paradossalmente, i soli che ancora leggono i classici, oggi, sono proprio i giovani liceali. Leggono Svevo, Pirandello, Calvino, Levi. Li leggono per dovere, certo. Ma almeno li leggono, fino a prova contraria nei test di settembre. Poi, anche ad andar bene, finiscono la scuola…e smettono.
Perché? Forse perché ci si è convinti che i libri difficili siano roba da professori, o peggio da museo, da polvere, una palestra che deve essere frequentata dai giovani per esercizio, erudizione, convenzione. O peggio ancora, che servano solo a prendere voti. La lettura come compito, non come necessità. Eppure proprio lì, in quelle pagine complesse e stratificate, si gioca la possibilità di crescere, di capire, di diventare altro da sé, di cambiare il mondo cominciando a cambiare se stessi. Che fare, allora? Intanto, smettere di trattare la letteratura come un passatempo decorativo e ricominciare a raccontarla come qualcosa che ci riguarda, che ci provoca, che ci scuote. Leggere un grande romanzo non è un lusso da intellettuali: è un atto umano, profondamente umano. È il modo che abbiamo per allenare l’empatia, il pensiero critico, di vivere altre vite, di stare con se stessi, sviluppando la capacità di ascoltare voci diverse dalla nostra. Poi, forse, dovremmo smettere di pensare che dopo la scuola finisca anche il tempo della lettura seria.
Continuare a leggere, da adulti, dovrebbe essere una forma di resistenza. Una presa di posizione. In un mondo che premia la semplificazione, la velocità, l’istinto, leggere un libro vero — un libro che ti chiede tempo, attenzione, silenzio — è un gesto controcorrente. Ma è anche un atto di libertà. Perché leggere davvero vuol dire non accontentarsi delle risposte facili. Vuol dire tornare a farsi domande. Vuol dire non smettere mai di cercare. Kafka aveva ragione: un libro dev’essere un’ascia per il mare gelato che è dentro di noi. Il problema è che, se non leggiamo più quei libri, rischiamo di non accorgerci nemmeno che quel mare, dentro, si sta ghiacciando. E quando lo capiamo, forse è già troppo tardi.