Luca Zaia, il Veneto e il nodo del terzo mandato: ecco che cosa può accadere
- Postato il 17 gennaio 2025
- Di Libero Quotidiano
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Luca Zaia, il Veneto e il nodo del terzo mandato: ecco che cosa può accadere
Il giorno dopo, a Palazzo Balbi, sede della Regione, è quello delle telefonate. Non era ancora mezzogiorno e Luca Zaia aveva già bruciato tre cariche del telefonino. Metà Veneto ha chiamato il suo presidente per rallegrarsi e mettersi a disposizione: «Con te, qualunque cosa tu decida» è stato il ritornello recitato da militanti, quadri ed esponenti del tessuto imprenditoriale e produttivo. Dal suo quartier generale, tengono a precisare: lui non ha voluto attaccare Giorgia Meloni né Fratelli d'Italia, le cui ambizioni comprende anche se non condivide, tantomeno Matteo Salvini e la Lega, che viene «prima del centrodestra e prima del governo», anche se «dopo i veneti» e della quale si è dichiarato «a disposizione».
In vista non c'è nessuna rivoluzione annunciata, il doge ha voluto consegnare, a chi ne fosse interessato, solo una fotografia della situazione, che il partito discuterà nel consiglio federale di oggi, anche se l'argomento non era in agenda. Lo scatto dice che, sul candidato presidente, «o si trova un punto di caduta tra gli alleati, o si rischia di andare ciascuno per la propria strada».
DUE LINEE DEL FRONTE
Ci sono due linee del fronte. A Roma, la vicenda del tetto dei due mandati, avviso di sfratto sia a Zaia sia al governatore campano, Vincenzo De Luca, non scuote gli animi, è percepita come lontana, una questione interna alla Lega in Veneto e al Pd a Napoli. Fratelli d'Italia, che rivendica una Regione del Nord, tra Venezia e Milano, è convinta che si troverà un accomodamento senza traumi e che stiamo assistendo solo a schermaglie di rito tra alleati, fisiologiche a una lotta di posizione. Replica al governatore, invita a «non fare personalismi», ma fa capire di essere pronta a trattare.
Un po' più aggressiva è Forza Italia, con Maurizio Gasparri che irride il doge, «troveremo un modo per sfamarlo quando finirà il suo incarico» e Flavio Tosi, chiodo nel costato della Lega, che minimizza e provoca: «Se le tensioni durano, arriverà Meloni a richiamare tutti all'ordine; Fdi pretende legittimamente il Veneto, poiché è il partito più forte in tutto il Nord, ma se invece toccasse agli azzurri, il candidato sarei io».
Più imperscrutabile la posizione di Matteo Salvini, che non sfiora l'argomento, prima di affrontarlo oggi davanti ai suoi. I veneti si sentono un po' abbandonati e alzano la voce, avvertono di avere un doge e invocano la discesa in campo al loro fianco anche del capitano. Lombardi e friulani, pure loro con governatori molto amati ma al secondo mandato e quindi al momento non ricandidabili, tacciono, osi limitano a discorsi di principio in favore di terzi e quarti incarichi; è un borbottio e non un urlo solo perché la data di scadenza è più lontana, ma non stanno poi molto meglio dei loro sodali della Serenissima.
Il leader è a Roma. Ieri ha ricevuto il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saàr, attirandosi attacchi e ironie da parte dell'opposizione, che lo esorta a occuparsi dei disagi ferroviari e sottolinea che l'incontro poco ci azzecca con i treni. Però Saàr aveva difeso Salvini per il processo per sequestro di persona, “un fatto che non sussiste”, per il quale i parlamentari di sinistra che oggi lo attaccano, avevano mandato l'attuale vicepremier alla sbarra. Una stretta di mano faccia a faccia era al contempo un dovere e un piacere.
Su quel che agita i suoi al Nord il capitano prende tempo. Sa che non ci sono i numeri per far saltare il tetto ai due mandati, difeso sia da Fdi e Fi sia dal Pd, ritiene di aver sparato tutte le cartucce sull'argomento e non vuole insistere su una battaglia persa in partenza. Vorrebbe mantenere alla Lega tanto il Veneto quanto la Lombardia, naturalmente, ma è consapevole che è impresa ardua. In ogni caso, dipenderà dalla sua interlocuzione con Meloni, che ora non ha l'argomento in agenda, a riprova che la questione è ritenuta importante ma non vitale per la tenuta di maggioranza e governo. Salvini non staccherà la spina, sta a lui però trovare la soluzione per evitare il caos non tanto nel centrodestra, quanto nel suo partito.
E qui si arriva alla seconda linea del fronte, quella del Piave. Zaia non ha parlato per sé, non minaccia per ottenere incarichi, non si starebbe preoccupando in questo momento di quale sarà il proprio futuro dopo aver abbandonato Palazzo Baldi. In tanti lo vorrebbero sindaco di Venezia, ma è soltanto un'ipotesi non ancora valutata seriamente dall'interessato, oltre a essere tutt'altro che una battaglia vinta, perché la città è storicamente difficile per il centrodestra. Il doge pone una questione esistenziale per la Lega. Teme che si sfascerà tutto, se il partito perderà la Regione.
La sua maggioranza conta 43 consiglieri regionali su 50, 34 dei quali della Lega. Tutta gente destinata per i due terzi ad andare a casa anche se si vincesse, qualora davvero il centrodestra cambiasse il proprio gruppo dirigente in Veneto. Dopo dieci annidi maggioranza bulgara in Consiglio Regionale, la macchina è abituata a viaggiare senza i ritmi lenti e barocchi imposti dalla politica e la preoccupazione è che, cambiando la formula, si blocchi tutto.
LA POSTA IN PALIO
Se non sarà terzo mandato, comunque la soluzione non può che passare per lui, che è convinto di avere ancora un gradimento del 75% e si ritiene il collante tra il centrodestra e gli elettori, non accetta che qualcuno arrivi da fuori a spiegargli chi sono e cosa vogliono i veneti. Di certo il doge troverà il modo per non abbandonare la sua squadra e il suo popolo e molto difficilmente Salvini potrà abbandonare lui senza rischiare una spaccatura del partito in Veneto; non come ritorsione, ma come naturale sviluppo delle cose: c'è un sistema di potere che ha dimostrato capacità e non ci sta a essere pensionato da Roma anziché dagli elettori. Sondaggi riservati dicono che un'alleanza tra Lista Zaia, Lega, autonomisti vari, e magari anche Azione, arriverebbe almeno al 40%. Fdi è avvisata. Questo verrà messo sul tavolo nel federale di oggi. Nella partita di poker i veneti si sentono forti e chiedono al segretario di difendere il punto, in attesa di capire se Meloni deciderà di vedere le carte del doge o sceglierà di rilanciare su altro.
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