Luca De Meo lascia Renault e sceglie il lusso di Kering: «Il futuro dell’Europa non è più l’auto»
- Postato il 16 giugno 2025
- Di Panorama
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Luca de Meo saluta Renault sceglie Kering il gigante del lusso di casa Gucci. La Borsa di Parigi emette subito la sua sentenza: le azioni della storica casa automobilistica francese sono crollate fino al 7%, mentre Kering brindava con un +9,4%. In borsa, come nella vita, non ci sono dubbi: il futuro non è su quattro ruote. È nelle passerelle di moda. Ma dietro la notizia finanziaria si cela un messaggio politico-economico fortissimo: se anche De Meo molla tutto vuol dire davvero che l’automotive europeo è una nave che imbarca acqua. L’uscita suona come un campanello d’allarme, e insieme un atto d’accusa nei confronti di una transizione energetica gestita in modo schizofrenico da Bruxelles
Chi è De Meo? Arrivato nel 2020, ha preso una Renault mezza rottamata dalla pandemia e l’ha riportata in pista: ha tagliato i costi, rialzato i volumi, riscritto l’alleanza con Nissan, trasformato un carrozzone in una boutique industriale. In borsa, il titolo era salito del 90%. Eppure, oggi se ne va. Perché?
Perché anche i migliori manager non fanno miracoli se le condizioni di contesto sono ostili. E l’automotive europeo, stretto tra i prezzi cinesi, i dazi americani e le ossessioni ambientaliste di Bruxelles, è diventato un inferno. Il grande colpevole? Il Green Deal europeo. Un’ idea strampalata trasformata in un incubo normativo. Bruxelles ha deciso che dal 2035 non si venderanno più auto a combustione interna. Non importa se non c’è ancora una rete di ricarica adeguata. Non importa se il litio lo controlla la Cina. Non importa se un’utilitaria elettrica oggi costa più di uno stipendio medio. L’importante è sventolare la bandiera verde. Perché si chiede all’industria di raggiungere obiettivi senza fornirle strumenti. Un po’ come ordinare a un panettiere di produrre il doppio del panema tagliandogli in due la farina.
De Meo aveva proposto l’“Airbus dell’auto”: una grande alleanza industriale europea per produrre auto elettriche piccole, accessibili e redditizie. Ma senza una regia politica seria, e con una concorrenza asiatica così spietata, l’idea resta ferma ai box. Ora che anche lui lascia, chi guiderà questa fantomatica rivoluzione? Un burocrate con il bilancino delle emissioni? Un ecologista da salotto? Di sicuro, nessuno che conosca davvero la strada.
Intanto, Renault resta senza guida. E non è solo questione di governance: è una crisi di identità. Chi sarà il nuovo amministratore delegato? Come si gestirà l’alleanza con Nissan, che già oggi si allenta? Come si affronteranno le pressioni del governo Macron, che vuole far fare i droni a un’azienda nata per fare automobili? E soprattutto: chi difenderà Renault dai diktat verdi di Bruxelles?
Renault ha un 15% in mano allo Stato francese. Ma se lo Stato è il primo a seguire ideologie invece che mercati, allora il destino dell’automotive è segnato. Kering, dal canto suo, accoglie De Meo con entusiasmo. E come dargli torto? Il futuro, in Europa, è più facile farlo con le borsette che con i motori. Il lusso è leggero, profumato, immateriale. L’industria è pesante, energivora, malvista. Eppure è proprio l’industria che dà lavoro, export, tecnologia. Chi perde De Meo non è solo Renault. È l’idea stessa che l’Europa possa ancora avere una grande industria automobilistica. Ma se i politici non cambiano marcia, l’unico volante che resterà sarà quello della nostalgia.