Lotta al narcotraffico, accerchiamento militare e operazioni della Cia: Trump e le tappe dell’escalation contro Maduro
- Postato il 4 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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All’inizio erano dichiarazioni di guerra degli Stati Uniti ai narcotrafficanti venezuelani. Poi la tensione è progressivamente aumentata, prima con l’affondamento di imbarcazioni che presumibilmente trasportavano droga fino ad arrivare all’invio della portaerei Gerald Ford davanti alle coste venezuelane e il via libera alla Cia per condurre operazioni a Caracas. Negli ultimi mesi le azioni del presidente Donald Trump nei confronti del regime di Nicolas Maduro – su cui pende una taglia da 50 milioni di dollari – sono diventate sempre più aggressive. Nonostante le recenti dichiarazioni del capo della Casa Bianca minimizzino lo spettro di guerra imminente, gli Usa sono impegnati nel più grande dispiegamento navale nella regione caraibica dalla crisi dei missili di Cuba nel 1962. Di certo Trump ha dichiarato che Maduro ha i giorni contati e le sue intenzioni esplicite di regime change hanno indotto il leader chavista a chiedere aiuto a Russia – che ha ampliato la collaborazione militare col Venezuela -, Cina e Iran. A questo proposito, Mosca valuta anche l’invio di missili. Intanto dal 4 settembre gli Stati Uniti hanno effettuato almeno 15 raid – definiti “inaccettabili” dall’Onu – contro presunte imbarcazioni di trafficanti uccidendo 64 persone.
Le tappe dell’escalation
Le tensioni tra Usa e Venezuela sono significativamente aumentate da marzo, quando Washington ha deportato a El Salvador e in Honduras centinaia di prigionieri venezuelani. La mossa rientrava in una generale strategia di inasprimento delle leggi sull’immigrazione da parte della Casa Bianca e i deportati erano accusati di far parte del Tren de Aragua, organizzazione criminale transnazionale inserita nell’elenco federale delle organizzazioni terroristiche, accusata di “omicidi di massa”, “tratta di persone”, “narcotraffico” e altri reati. Una gang che per il segretario di Stato Marco Rubio è “peggio di Al Qaeda“. A luglio, poi, nell’ambito di una complessa trattativa tra Washington e Caracas, sono stati rimpatriati da El Salvador i venezuelani accusati di appartenere alla gang, in cambio della liberazione di alcuni prigionieri americani, rientrati negli Usa. Le minacce al regime di Maduro, intanto, arrivavano apertamente da parte di esponenti del partito repubblicano vicini a Trump, mentre in Venezuela l’accerchiamento politico di Washington alimentava ulteriormente il clima di sospetto, con arresti e detenzioni.
All’inizio di settembre, poi, la prima azione plateale: il South Command statunitense rivendica un raid aereo nel Mar dei Caraibi, in acque internazionali, contro un’imbarcazione proveniente dalle coste venezuelane e – secondo la versione della Casa Bianca – carica di droga e riconducibile al Tren de Aragua. Un attacco che rientrava nella crociata contro i cartelli della droga, e che conta sull’appoggio logistico in Paesi sotto l’orbita Usa tra cui Guyana, Panama, Porto Rico, Trinidad e Tobago. A fine settembre gli Usa hanno dispiegato otto navi, sei F-35, droni e 4.500 marines con l’ordine di bombardare imbarcazioni presumibilmente cariche di droga, mentre Caracas coglieva il pretesto delle tensioni per rinsaldare ulteriormente le alleanze con Mosca e Pechino. Ad agosto, poi, l’accerchiamento militare sempre in chiave antinarcotraffico: tre cacciatorpedinieri Usa si sono avvicinati al confine delle acque territoriali venezuelane. In risposta agli Usa, la presidenza venezuelana ha schierato 4.500 miliziani – numero pari a quello dei marines nei Caraibi -, attivato il sistema di missili antiaerei e vietato acquisto e vendita di droni.
Poi, a metà ottobre, la rivelazione del New York Times, dopo settimane in cui le forze militari Usa hanno preso di mira imbarcazioni al largo delle coste di Caracas, giustificando gli attacchi come operazioni antidroga: Trump ha autorizzato la Cia a condurre azioni segrete in Venezuela per intensificare la campagna contro Maduro e arrivare alla sua estromissione. La pressione sul regime è salita ulteriormente, negli stessi giorni, col Nobel per la Pace assegnato a Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, ma descritta da alcuni come una “trumpiana“ che invoca l’uso della forza per ribaltare Maduro e accusata di essere troppo vicina agli interessi della Casa Bianca. Un premio fortemente politico che ha suscitato reazioni di giubilo soprattutto a destra. Poi, il 24 ottobre, è arrivato l’ordine del Segretario alla Difesa Pete Hegseth al gruppo d’attacco di portaerei più avanzato della Marina, attualmente di stanza in Europa, di dirigersi nella regione caraibica per un massiccio rafforzamento delle forze statunitensi. Due giorni dopo la nave lanciamissili statunitense Uss Gravely, insieme a un’unità di marines, è arrivata a Trinidad e Tobago, il piccolo arcipelago situato a circa dieci chilometri dalle coste del Venezuela: una mossa che avviene ufficialmente per esercitazioni con l’esercito di Trinidad, ma in un contesto estremamente delicato. E mentre il senatore trumpiano Graham non esclude attacchi via terra a Caracas e il Wall Street Journal riporta che l’amministrazione americana ha individuato eventuali bersagli da colpire, Maduro rivela di avere smantellato una cellula della Cia che stava preparando un finto attacco nei confronti di una nave statunitense. Il 2 novembre l’ultimo tassello: arriva un nuovo attacco ai narcos e l’avvicinamento della Gerald Ford accompagnata da altre tre navi da guerra, per un totale di quattromila militari a bordo e l’ammodernamento di una vecchia base navale abbandonata a Porto Rico. “La competizione per l’uso di queste navi è enorme perché ne vengono impiegate solo tre contemporaneamente”, ha spiegato al Washington Post Ryan Berg, direttore dell’Americas Program presso il Center for Strategic & International Studies. Una volta che la Ford arriverà nei Caraibi la prossima settimana, ha proseguito, “inizierà un conto alla rovescia e Trump avrà circa un mese per prendere una decisione importante su un possibile attacco prima di dover spostare la nave altrove”.
Le manovre anti-cinesi di Trump in America Latina
L’accerchiamento di Trump nei confronti di Maduro è inoltre da inquadrare in un engagement degli Stati Uniti che si spinge oltre il Venezuela. Nel mirino è finito anche il leader della Colombia Gustavo Petro, che è stato inserito nella lista dell’Office of Foreign Affairs assets control per i suoi “legami con il narcotraffico”. La strategia della Casa Bianca in America Latina ripropone dinamiche da guerra fredda e contrasta l’influenza di Pechino, che a tratti sembra aver strappato il continente sudamericano a Washington. Sotto il controllo Usa sono tornati anche l’Ecuador, che punta all’installazione di basi militari Usa nell’Isola di Galapagos, previa riforma della Costituzione, e la Bolivia, espulsa dall’Alba dopo la vittoria del moderato Rodrigo Paz, che ha escluso Cuba, Nicaragua e Venezuela dalla sua cerimonia di insediamento. Da ricordare anche il sostegno alla destra argentina con il recente intervento di 20 miliardi di dollari per dare ossigeno al governo di Javier Milei, con tanto di indicazioni all’elettorato argentino per le elezioni legislative del 26 ottobre. La manovra anti-cinese nella regione risale al dicembre 2024, quando, prima di assumere il secondo mandato, Trump ha parlato del ripristino del controllo statunitense sul Canale del Panama accusando il Paese centroamericano di aver violato l’accordo di neutralità, cioè di aver concesso la “gestione” e il “controllo” dell’area strategica alla Cina.
Le ipotesi sull’ex base navale di Porto Rico
L’obiettivo dichiarato quindi resta la lotta ai cartelli, ma la concentrazione di uomini e mezzi fa pensare a ben altro. Un altro segnale allarmante è che l’esercito Usa sta ammodernando una base navale nei Caraibi, abbandonata dopo la Guerra Fredda, suggerendo preparativi per eventuali azioni all’interno del Venezuela. L’attività di costruzione nella ex base navale Roosevelt Roads a Porto Rico, chiusa dalla Marina più di 20 anni fa, era in corso il 17 settembre, quando le squadre hanno iniziato a liberare e riasfaltare i raccordi che conducono alla pista, secondo foto scattate dalla Reuters. Fino al ritiro della Marina nel 2004, Roosevelt Roads era una delle più grandi stazioni navali Usa al mondo. La base occupa una posizione strategica e offre molto spazio per concentrare equipaggiamenti. Oltre ai miglioramenti delle capacità di decollo e atterraggio a Roosevelt Roads, Washington sta ampliando le infrastrutture anche presso aeroporti civili a Porto Rico e a Saint Croix, nelle Isole Vergini americane. I due territori statunitensi si trovano a circa 800 chilometri dal Venezuela. “Tutte queste mosse, credo, sono pensate per far tremare il regime di Maduro e i generali che lo circondano, nella speranza di creare delle fratture interne”, ha dichiarato alla Reuters Christopher Hernandez-Roy, senior fellow presso il Center for Strategic and International Studies di Washington. L’obiettivo, secondo alcuni media Usa, potrebbe essere in effetti quello di costringere Maduro all’esilio o di indurre qualcuno del suo entourage a tradirlo. Intanto il Dipartimento di Giustizia ha comunicato al Congresso che l’amministrazione Trump può continuare i suoi raid contro presunti trafficanti di droga in America Latina e non è vincolata dalla War Powers Resolution del 1973, che richiede l’approvazione del Parlamento per proseguire operazioni militari ostili oltre il termine di 60 giorni dalla prima. La War Powers Resolution era stata approvata all’indomani della guerra del Vietnam per evitare un altro conflitto lungo e non dichiarato. Ma Elliot Gaiser, capo dell’Ufficio del Consulente Legale del Dipartimento di Giustizia, ha affermato che l’amministrazione non ritiene che tali attacchi rientrino nella definizione di “ostilità” prevista dalla legge, anche perché i militari statunitensi non corrono pericoli. Si tratta invece di un “conflitto armato non internazionale” contro i narcos per garantire la sicurezza nazionale. Se l’obiettivo fosse un cambio di regime, del resto, il tentativo di Trump non sarebbe molto diverso da quello (iniziale) di Vladimir Putin in Ucraina, rispolverando la vecchia Dottrina Monroe che autorizzava gli Usa ad intervenire militarmente nel continente per “mantenere l’ordine” nel loro “cortile di casa”.
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