L’ora più silenziosa
- Postato il 7 maggio 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“L’unico tiranno che accetto in questo mondo è la voce silenziosa dentro di me”, così si esprime il Mahatma Gandhi; credo che questo suo insegnamento ci inviti a riflettere su alcuni temi cruciali: l’imprescindibilità di non sottomettersi a nessun padrone se non a se stessi; l’importanza di darsi tempo e modo per ascoltare la propria voce interiore, la possibilità del silenzio di divenire sonorità libera dalla convenzionale grammatica della comunicazione. Questi temi, che sono anche precetti per incontrare se stessi, si fondano su alcune certezze per nulla banali: esiste una voce silenziosa che parla dentro di noi; è bene ascoltarla, comprenderne il messaggio, accettare i suoi suggerimenti; solo nella solitudine è possibile per ognuno comprendere le proprie parole e conoscere la propria voce di dentro o, per ricorrere a un intenso aforisma dello scrittore basco Hasier Aguirre, “solo ciascuno sa che voce ha il suo silenzio”. Uno degli aspetti più complessi nel compiere l’incarico più meraviglioso e impegnativo per la vita di ognuno, quello che Erich Fromm definisce “dare alla luce se stesso”, è determinato dal problema che, anche quando la voce di dentro decide di emettere suono, si limita a un delicato e intimo sussurro, d’altra parte sappiamo bene che “tutti quelli che non hanno niente da dire parlano ad alta voce” (Enrique Jardiel Poncela) mentre molto spesso le verità più profonde sono espresse sottovoce e solo per orecchie attente e partecipate. Sono convinto che il profumo della propria voce interiore possa rivelarci a noi stessi ancor più del suono, ma non allontaniamoci troppo lungo sentieri dell’io più profondo, almeno per ora, concentriamoci sul diverso alfabeto che inventa per noi la voce silenziosa che, come insegna il Mahatma, sussurra in ognuno di noi.
Come non ricordare il passo della seconda parte dello Zarathustra dal titolo “L’ora più silenziosa”?! Con buona pace dei troppi che si reputano i soli degni di proporsi come esegeti nietzscheani, mi concedo una liberissima rivisitazione del passo utilizzandone le righe per meglio chiarire il tema in oggetto chiedendo venia, da subito, agli ortodossi filologi di professione per aver piegato il filosofo a questa breve riflessione ma, ancora una volta parafraso, “la filosofia non è di chi la scrive ( ancor meno di chi si sente depositario della verità ) ma di chi la usa”, e proseguiamo con un sorriso. All’inizio del brano il profeta Zarathustra comprende che deve “tornare alla sua solitudine” poiché così vuole la sua “adirata signora”. Facile riconoscere in essa il tiranno gandhiano che, nello specifico, è ribattezzato “la mia ora più silenziosa”; nel più profondo silenzio, tanto da incutere paura al cuore coraggioso del profeta, la voce silenziosa esortò Zarathustra a portare a termine il suo incarico esistenziale anche se non se ne sentiva più all’altezza poiché avvertiva di aver fallito nel suo intento. Il profeta voleva raggiungere gli uomini, nella nostra prospettiva l’incarico vitale riguarda anche ognuno di noi, è nostro dovere raggiungere noi stessi o, per ricorrere all’espressione illuminante dello stesso Nietzsche, divenire noi stessi. Quante volte ci siamo smarriti, abbiamo creduto di aver fallito e che ogni nostro sforzo fosse andato perduto, ma la voce silenziosa ancora parlò: “La rugiada piove sull’erba proprio quando la notte è più taciturna – sussurrò per poi aggiungere – Le parole più silenziose sono quelle che suscitano tempesta. Pensieri che vengono su piedi di colomba, dirigono il mondo”. Il brano si chiude con la sofferenza del profeta che “pianse forte; e nessuno seppe consolarlo”. Nella nostra liberissima rilettura diviene impossibile che qualcuno ci consoli della consapevolezza: “debbo ritornare nella mia solitudine”; ma credo che necessariamente valga lo stesso per Zarathustra. Ebbene, è nel momento più sofferto che possiamo ripartire poiché è nella notte più nera che meglio si vedono le stelle.
È nell’ora più silenziosa, quindi, che meglio potremo ascoltare la nostra voce di dentro o, come sarà inevitabile scoprire, le nostre voci di dentro. Certo, potrà far paura saperci folla, acqua che mugghia sussurrando “confuse parole”, accadrà l’inquietante momento dell’incontro, quando sarà possibile scoprirci impetuoso fiume che scorre e diviene perennemente, forse sarà possibile scegliere se divenire fiume, cascata o mare, ciò che conta è non fuggire abbandonando le nostre acque profonde nello stagno della vigliaccheria dove diverrebbero, col tempo, acqua putrescente, ma ricordare il sussurrato invito del poeta: “… ed ora guarda laggiù, vedi?/ … no, non là, più oltre,/ spingi lo sguardo più oltre,/ laggiù/ dove non è più mare/ e ancora non è fiume,/ dov’è il pullulare,/ insomma,/ quello che l’uomo chiama vita,/ quella meravigliosa/ terribile fatica/ del trapassare/ …”. Una volta indossate le nostre voci di dentro eccoci pronti a riprendere il cammino come Zharatustra che “durante la notte se ne andò via solo e abbandonò i suoi amici”, così anche noi saremo in grado di fare, abbandonare chi è stato forse anche un amico, non parlo degli amici di fuori ma solo di quelli che ci hanno accompagnato di dentro fino alle ultime lacrime e al nuovo abbandono, per incontrare i nostri nuovi sguardi interiori. Per riprendere un noto aforisma eracliteo, non ci si bagna due volte nel medesimo fiume, ebbene, noi siamo il fiume che scorre in noi e ogni volta che ne raggiungiamo le rive, dopo le lacrime e l’abbandono, lo scopriamo cambiato, come noi stessi, inutile tentare di fermarlo, di coglierne l’essenza attraverso la poca acqua contenuta nei palmi delle mani, la sua natura è mutevole e dinamica, non appena imprigionata in qualche certezza scompare come verità e diviene stagnante, non ci resta che restituirla alla sua corrente.
Quante volte ci siamo sentiti come Zarathustra, disperati per aver fallito, consapevoli di dover riprendere il viaggio accompagnati dalla speranza di riuscire finalmente a incontrare noi stessi, con il bisogno feroce di scoprire la nostra vera identità, ebbene, se l’abbiamo intesa come essenza immutabile dobbiamo renderci conto che, in quella forma, non esiste, è piuttosto il perenne fluire della vita in noi, la capacità di afferrarne le sfumature mentre la lasciamo scorrere liberamente. Questa ricerca è un assoluto atto d’amore verso noi stessi e amare, non dobbiamo dimenticarlo, è cogliere il mistero nell’amato per subito restituirglielo intatto. La necessità di trattenere lo scorrere del fiume, di impossessarci di un qualsivoglia permanere è un approccio falsante, l’unico ristare non è l’espressione della nostra volontà consapevole, per proseguire nell’allegoria, noi siamo il fiume e le sue coste e ancora chi da esse osserva lo scorrere, se ne intride scendendo nelle sue acque, lo ama e non prova a fermarlo ma se ne lascia accarezzare per poi tornare sulla rena delle sue rive per riconoscere anch’essa nuova, abitata da ciottoli apparentemente insignificanti che le correnti hanno rilasciato. Sarà bene osservare la sabbia sulla quale poggiamo i piedi, è ancora noi, così come il fiume, forse più lentamente, ma pur sempre mutevole, così come i nostri passi, e allora sarà sorriso anche il sostare, l’assaporare il permanere che nell’istante ci rasserena regalandoci il coraggio del prossimo divenire. Ci saranno forse ancora lacrime ad abitare l’ora più silenziosa, ma impareremo a coglierne l’incanto poiché sapremo amare le parole mute del fiume, e delle sue rive, e dei ciottoli confusi nella sabbia, e del nostro incedere e del nostro ristare. Chissà, potremmo infine comprendere che l’adirata signora nietzscheana e il tiranno gandhiano ci osservano con sguardi famigliari mentre ci accompagnano lungo il cammino.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.