Londra, il premier Starmer subisce la rivolta dei suoi parlamentari e fa marcia indietro sui tagli dei sussidi
- Postato il 27 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il primo ministro cede ai ribelli. Starmer costretto a capitolare. I giorni di Starmer sono contati. Il primo ministro costretto all’ennesima marcia indietro. I quotidiani britannici aprono tutti con questa notizia, con poche variazioni di toni fra destra e sinistra. Registrano un dato politico inoppugnabile: il primo ministro laburista britannico è dovuto scendere a patti con oltre 120 parlamentari del suo stesso partito, pronti a votare contro la sua riforma del welfare, una delle bandiere del suo programma di governo.
I fatti: martedì prossimo il parlamento è chiamato ad approvare una riforma onnicomprensiva del sistema di sussidi che sostiene, con interventi di varia entità, milioni di persone in difficoltà economica nel paese. Supporto economico spesso vitale, anche se insufficiente: poche sterline alla settimana che fanno la differenza. Ma è un sistema costoso e complesso, che non risolve problemi strutturali e pesa sulle casse semi vuote del paese. Starmer si è impegnato a non alzare le tasse, ma in quasi un anno di governo ha tentato e fallito nel trovare nuove risorse pubbliche che gli consentano di mantenere efficiente un sistema sanitario sempre più dispendioso e di rilanciare il comparto della Difesa, come promesso, per la presunta imminenza di una guerra con la Russia.
E ha scelto di risparmiare nel sostegno ai vulnerabili: fra le misure del Welfare Bill, il taglio del sussidio per almeno 800mila disabili, e un nuovo sistema di verifiche e requisiti per accedere ai contributi. È il Personal Independence Payment (Pagamento per l’Indipendenza Personale): un beneficio assistenziale destinato a persone di età compresa tra i 16 anni e l’età pensionabile che hanno difficoltà con attività quotidiane o mobilità a causa di problemi di salute fisica o mentale a lungo termine, anche se occupati. Contribuisce a coprire i costi aggiuntivi causati dalla disabilità, indipendentemente dal reddito, dai risparmi o dall’occupazione. È costituito da due parti: il Daily Living Component, aiuto con attività quotidiane come mangiare, vestirsi, lavarsi o comunicare, e il Mobility Component, per chi ha difficoltà a muoversi o a pianificare spostamenti. L’importo varia in base alle necessità valutate da una commissione; nel 2025, in Inghilterra e Galles ricevono il PIP circa 3,7 milioni di persone. Il costo totale dei benefits per malati e disabili è 48 miliardi l’anno.
Troppi, ragiona un esecutivo a caccia di risparmi, che quindi decide di restringere i criteri di ammissibilità ed escludere 800mila beneficiari. Il ragionamento è che la loro disabilità non sia tale da meritare il contributo, perchè hanno un reddito sufficiente, diagnosi deboli o la possibilità di lavorare: il risparmio per lo stato calcolato in circa 5 miliardi. Ma il messaggio viene recapitato malamente, percepito come neoliberista, indifferente alla vulnerabilità, e Starmer si chiude nel suo fortino, impegnato nei dossier internazionali, sordo alle richieste di dialogo dei colleghi di partito. Il primo segnale di allarme sono le dimissioni di Vicky Foxcroft, coordinatrice dei gruppo parlamentare ed ex ministro ombra per la disabilità. Il governo la ignora, ma le charities che si occupano di disabili alzano la voce.
Poi la presidente della Commissione Tesoro Meg Hiller, descritta come tutt’altro che una ribelle, propone un emendamento che di fatto bloccherebbe l’approvazione della norma, visto che non è stata elaborata in consultazione con le organizzazione che rappresentano i disabili e che non sono stati prodotti studi di impatto. Il conto è fatto dagli addetti ai lavori, che stimano che almeno 250mila beneficiari, fra cui 50mila minori, finirebbero oltre la soglia di povertà. I parlamentari britannici sono in stretto contatto con il loro elettorato, e molti hanno una crisi politica e di coscienza: firmano perchè l’emendamento Hillier venga ammesso al voto martedì. Starmer li ignora, è al summit Nato dell’Aja: ma la rivolta cresce, i ribelli non cedono, il rischio di perdere la votazione, umiliati dal sostegno dell’opposizione, diventa concretissimo.
Ieri sera Starmer è costretto a promettere significative concessioni: il compromesso, secondo le prime notizie, è proteggere dalla riforma i beneficiari attuali e allineare i contributi all’inflazione. Dovrebbe essere abbastanza per garantirsi il voto dei moderati, ma le critiche continuano: si crea un sistema a due velocità, argomentano molti, che non copre chi diventa disabile dopo l’approvazione della norma. Soprattutto, per Starmer è l’ennesima umiliazione, dopo la precipitosa marcia indietro su un’altra misura di risparmio contestatissima: il taglio ai contributi per il riscaldamento agli anziani. Anche su questo la rivolta è stata tale da imporre di ritirare la decisione.
Come nota Robert Shrimsley, editorialista liberale del Financial Times: “In definitiva, c’è una sola ragione costituzionale per cui qualcuno è primo ministro: può comandare una maggioranza alla Camera dei Comuni. Non cade più nell’istante in cui perde un voto, ma una volta che quell’incantesimo (e il potere sui propri parlamentari) si spezza, raramente si riprende”. E ancora: “Non si tratta della solita lotta per modificare una legge, già di per sé dolorosa ma comune. Invece, circa 120 dei parlamentari di Starmer – abbastanza da azzerare la sua maggioranza – hanno minacciato di affondare un’intera proposta di legge prima ancora che inizi la fase delle modifiche nel suo iter parlamentare. Compromettersi è una cosa, cedere a chi vuole sabotare un disegno di legge cruciale è un’altra”.
Il governo laburista compirà un anno il 4 luglio. Vinse trionfalmente, più per i demeriti di 14 anni di gestione Tory che per meriti propri. Ma i sondaggi sono impietosi: secondo il più recente, di YouGov, se si votasse oggi il Labour perderebbe 233 seggi. Il partito più votato sarebbe ReformUK, movimento personale del nazionalista filo trumpiano Nigel Farage. Che non avrebbe, però, i numeri per governare.
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