L’onda lunga della tregua a Gaza dal Medio Oriente all’Ucraina. Scrive D’Anna

  • Postato il 15 gennaio 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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Pace a Gaza e agli uomini di buon a volontà, verrebbe da dire parafrasando l’invocazione del Vangelo di Luca. Hamas ha accettato la bozza d’accordo per un cessate il fuoco nella martoriata striscia di Gaza e nelle prossime ore rilascerà le prime 5 soldatesse israeliane in cambio di 250 detenuti palestinesi. Dopo il disco verde di Mohammed Sinwar, il nuovo leader ombra che guida Hamas, descritto come più feroce del fratello ucciso, il cessate il fuoco e la tregua sono stati sottoposti all’approvazione finale del governo di Gerusalemme.

Una ratifica non scontata viste le tensioni e le minacce di dimissioni del ministro ultra conservatore Bezalel Smotrich che ha definito senza mezzi termini l’accordo “una catastrofe”. Un evidente allarme riguardante il concreto rischio che i detenuti liberati da Israele, in particolare gli ergastolani condannati per attentati e stragi terroristiche, possano far risorgere dalle ceneri Hamas. La fragilissima intesa, raggiunta dopo 15 mesi di conflitto che ha completamente raso al suolo Gaza, prevede 3 fasi la prima delle quali prevede il rilascio graduale di 33 ostaggi nell’arco di 6 settimane, fra cui donne, bambini, adulti anziani e civili feriti, in cambio di centinaia di donne e bambini palestinesi detenuti da Israele. Fra i 33 ostaggi ci sarebbero appunto 5 soldatesse israeliane, ognuna delle quali verrebbe rilasciata in cambio di 50 prigionieri palestinesi, fra cui 30 militanti condannati all’ergastolo.

Alla fine della prima fase dell’accordo, tutti gli ostaggi, vivi o morti, e circa 1.200 palestinesi detenuti verrebbero rilasciati. Dopo questa prima fase l’esercito israeliano si ritirerà da diverse aree consentendo il rientro dei residenti. Completano gli accordi le clausole sull’istituzione di una zona cuscinetto di 1,5 chilometri su tutto il confine fra la striscia e Israele e per il cosiddetto asse Filadelfia, un corridoio lungo il confine fra Gaza e l’Egitto, mentre l’amministrazione di quel che resta della striscia sarà affidata all’Autorità nazionale Palestinese ed a un contingente delle Nazioni Unite.

Al di là dei terribili bilanci delle vittime, soprattutto civili fra la popolazione palestinese, usati come scudi umani per occultare e difendere il dedalo di tunnel sotterranei di Hamas, il cessate il fuoco assume diversi significati, militari strategici e politici che attengono agli assetti del Medio Oriente e agli equilibri internazionali. Il più evidente conferma il notevole rafforzamento dell’indiscussa superiorità militare in tutta l’area di Israele, che ha reagito con estrema durezza al disumano attacco compiuto sul proprio territorio, il 7 ottobre del 2023, da Hamas. Un blitz che ha fatto scempio di bambini, donne, anziani e si é concluso con la cattura di oltre 250 ostaggi.

La reazione delle forze di difesa israeliane ha fatto letteralmente tabula rasa in superficie e nelle viscere di Gaza delle roccaforti del gruppo terroristico e decimato uno dopo l’altro i suoi capi. Oltre ai due massimi vertici, Ismael Haniyeh, eliminato a Teheran e Yahya Sinwar, braccato e colpito a morte mentre fuggiva fra le macerie di Gaza, sono stati eliminati un centinaio fra leader e comandanti dell’organizzazione militare palestinese islamista e fondamentalista denominata Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya.

Nell’autunno scorso l’esercito e l’aviazione di Israele israeliane hanno inoltre disarticolato in Libano le milizie islamiche degli Hezbollah, alleati e fiancheggiatori di Hamas. Dopo una serie di bombardamenti, uno dei quali ha ucciso a Beirut il capo supremo delle milizie armate, Abbas al-Musawi, i reparti corazzati hanno poi ricacciato gli Hezbollah oltre il fiume Litani a 30 km dal confine con Gaza e Israele. La svolta conclusiva degli scenari si é verificata all’inizio del dicembre scorso, con la caduta in Siria dello spietato regime di Bashar Al-Assad che ha privato le milizie libanesi di una via di fuga e soprattutto dei continui rifornimenti di armamenti che attraverso il territorio siriano ricevevano dall’Iran.

Sconfitto su tutti i fronti e costretto ad uscire allo scoperto, rendendo palese il ruolo di mandante e coordinatore di Hamas e Hezbollah, il regime degli yahatollah iraniani ha ingaggiato una sorta di guerra diretta non dichiarata con Israele. Ma i ripetuti scambi di attacchi missilistici hanno determinato un notevole ridimensionamento di Teheran e la distruzione delle basi sul Mar Rosso dalle quali gli Houthi, le milizie sciite zaydite dello Yemen armate dai pasdaran iraniani, attaccavano le navi mercantili in transito per il Canale di Suez.

Dopo la fine della decennale guerra siriana, col diretto coinvolgimento armato della Russia, che ora sta abbandonando le basi concesse da Damasco a Putin, il depotenziamento e la tragica crisi economica e sociale dell’Iran, la riduzione ai minimi termini di Hamas, Hezbollah e Houthi, il cessate il fuoco a Gaza completa il quadro del netto predominio in tutto il Medio Oriente di Israele e degli alleati occidentali di Gerusalemme, a cominciare dagli Stati Uniti.
Temporanea o meno, perché nessuno si fa illusioni su una ripresa della conflittualità se con si risolve la storica questione palestinese, la fine della guerra a Gaza fa comunque convergere e concentrare gli sforzi internazionali sul versante del conflitto in Ucraina.

Un conflitto iniziato quasi tre anni addietro con la tentata invasione scatenata dalla Russia di Putin e caratterizzato dalla sorprendente ed eroica resistenza del popolo ucraino che, col supporto militare e dell’intelligence occidentale, in special modo americana e inglese, non solo ha tenuto fronte alla preponderante superiorità militare di Mosca, ma ha inflitto gravissime perdite all’armata di Putin e si é spinta oltre i confini russi occupando parte della regione di Kursk.

Ai commentatori e agli esperti di strategie geo politiche che si interrogano sulle analogie e le differenze fra Gaza e il conflitto russo-ucraino, gli ambienti diplomatici e militari euroatlantici rispondono che se scendere a patti con Hamas é al limite dell’umanità, trattare con Putin é come tentare di attraversare un fiume affollato di coccodrilli e piraña. Il fattore decisivo, che ad un certo punto imporrà il cessate il fuoco anche sul fronte ucraino, é rappresentato dalla convergenza dell’eterogenesi dei fini degli Stati Uniti di Trump, dell’Europa, della Cina e dei nove paesi Brics, dei quali con India, Brasile, Indonesia e sud Africa fa parte anche la Russia.

Una tale convergenza di interessi economici e commerciali che metterà con le spalle al muro Putin e, quanto meno, congelerà il conflitto sulle posizioni attuali. Una soluzione neo Coreana, dove da 72 anni vige un bellicoso armistizio mai seguito da una pace. Un pareggio che sa di impotenza e che é costato al popolo russo circa mezzo milione fra morti e feriti, la quasi distruzione delle forze armate convenzionali e un dissesto economico da Paese sud americano. Un impasse che nonostante tutti gli sforzi propagandistici potrebbe risultare esiziale per Vladimir Putin e fornire l’alibi decisivo per un cambio di guardia al Cremlino.

Autore
Formiche

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