Lo spillover in mostra al Maxxi di Roma: un paesaggio di forme che nasce dagli scarti
- Postato il 5 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Tappi di bottiglia, stuzzicadenti, cemento, carta vetrata: elementi quotidiani e industriali che si rigenerano in un linguaggio organico, pulsante, capace di evocare la vitalità della materia e la memoria dei luoghi. Dal 19 ottobre al 27 novembre 2025, il Corner MAXXI ospita “Spillovers: Notes on a Phenomenological Ecology”, la prima grande mostra personale in Italia di Chris Soal, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, prodotta dalla Fondazione D’ARC in collaborazione con Piero Atchugarry Gallery e Montoro12 Gallery. Un progetto che attraversa dieci anni di ricerca e restituisce, in un unico ambiente, la traiettoria di un artista tra i più influenti della nuova generazione, che ha ridefinito la relazione tra scultura, materia e percezione, costruendo un linguaggio scultoreo riconoscibile per rigore e tensione poetica, in cui l’inerte si fa sensibile, il residuo diventa pensiero, e la materia marginale si carica di valore etico ed estetico.
Protagonisti di questo atto artistico sono i materiali espulsi dal sistema produttivo e reintegrati in un nuovo ciclo vitale, oltre il concetto stesso di riuso. Ogni opera, concepita come site-specific per il Corner MAXXI, nasce dall’osservazione della fisicità dello spazio e dalla sua tensione percettiva: sculture che si espandono come corpi in crescita, superfici che mutano alla luce, strutture che respirano insieme al visitatore. Un equilibrio di materia e percezione, in cui il visitatore è chiamato a fare la sua parte, ad attraversare le opere con lo sguardo e con il corpo, a scoprirne la struttura solo avvicinandosi. A distanza, la superficie si presenta compatta, quasi mimetica, come un camouflage percettivo che disorienta e affascina, mentre da vicino si rivela per ciò che è realmente – un insieme di elementi poveri e quotidiani, assemblati con rigore e meraviglia.
È il concetto di spillover a sorreggere questo ecosistema poetico, paesaggio di forme vive che nascono da ciò che è stato scartato: la “tracimazione”. Un debordare che non è perdita, ma conquista di un nuovo statuto esistenziale. Tracima la materia, che perde la sua funzione di scarto quotidiano – stuzzicadenti o tappi di bottiglia – per assurgere a forme nuove e ipotetiche: conformazioni cellulari, fenomeni geologici, architetture naturali, ectoplasmi al microscopio. Tracima la percezione, che supera le categorie inorganiche per aprirsi al biologico, al vitale, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.
Alcuni titoli presenti in mostra offrono appigli per letture e rimandi: “se la tracimazione è il concetto cardine, The Deluge ne è l’epica, come l’atto della materia che, liberata, si manifesta come potenza e rigenerazione, evocando insieme il caos fertile e la catastrofe ecologica, la distruzione e la rinascita. Nei toni viscerali dei materiali e nelle vibrazioni cromatiche, Soal costruisce una dimensione carnale e spirituale, un dialogo tra materiale e spirito, natura e soprannaturale. Opere come The Transfiguration e The Ascension evocano una tensione mistica, richiamando azioni che travalicano l’immanente per connettersi al trascendente, mentre lavori come Cascade o Torrent restituiscono, nella serialità dei tappi di bottiglia, il moto naturale dell’acqua, il suo scorrere formante e vitale. Fino ad arrivare a A Paradoxical Proliferation, in cui la combinazione tra alluminio e cemento diventa metafora del tempo dei materiali, dell’incontro tra vitalità e deperimento, dell’eterna dialettica tra movimento e immobilità” scrive in catalogo Giuliana Benassi.
Il legame con il Sudafrica attraversa come un sottotesto tutta la ricerca di Soal, radicandosi nella memoria fisica e politica dei luoghi. “La riflessione di Soal su cosa significhi scolpire o intagliare possibilità all’interno delle organizzazioni sociali e creare risposte collettive negli spazi di crisi si svolge, pertanto, attraverso l’impiego di materiali “emarginati/espulsi” (prodotti in massa, rapidamente usati e scartati nonostante il loro valore intrinseco superi la semplice funzione d’uso) di cui l’artista svela nella loro integrità la carica generativa, per assemblare un più ampio racconto sulla dimensione universale della marginalità e dell’emancipazione verso la dimensione continentale africana. I suoi lavori riprendono narrazioni, dal registro mai didascalico, che sono spesso trascurate o deliberatamente soppresse nel flusso di informazioni e che sollevano, al contempo, domande fondamentali sulla responsabilità, l’empatia e il potere” spiega il curatore Cesare Biasini Selvaggi. La mostra è accompagnata da una monografia edita da Silvana Editoriale con testi del curatore Cesare Biasini Selvaggi e di Giuliana Benassi e Alessandro Romanini.
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