Lo sciopero del personale fa saltare la prima de La Fenice a Venezia: ecco perché protestano i lavoratori

Uno sciopero del personale fa saltare la “prima” del Gran Teatro La Fenice a Venezia, in programma il 20 novembre. Non andrà in scena “Otello” di Giuseppe Verdi, curato da Fabio Ceresa e con direzione del maestro coreano Myung-Whun Chung. I sindacati hanno deciso di bloccare l’avvio della stagione lirica in laguna a causa delle numerose e irrisolte questioni legate soprattutto alla pianta organica e al trattamento economico.

Sullo sfondo delle turbolenze c’è anche il tema del nuovo sovrintendente, visto che l’attuale, Fortunato Ortombina, a gennaio prenderà servizio alla Scala. Con la restituzione dei biglietti si profila un danno da 200mila euro per l’amministrazione, mentre sono confermate le repliche del 23, 26, 29 novembre e dell’1 dicembre. Per risalire nel tempo a una protesta così clamorosa bisogna andare al 1993, quando ai vertici del teatro c’era il socialista Gianfranco Pontel, già assessore comunale e vicepresidente della Biennale di Venezia.

Lo sciopero è stato proclamato dalle principali sigle sindacali del Teatro La Fenice, che fino a sabato avevano lanciato appelli alla trattativa per evitare una presa di posizione così drastica. La decisione era seguita alla bocciatura, da parte dell’assemblea dei lavoratori che si è tenuta il 12 novembre, di un abbozzo di accordo sindacale siglato con la Fondazione della Fenice. Il blocco segue altri due scioperi effettuati il 28 agosto e il 13 settembre e che avevano registrato una partecipazione molto alta.

“Avevamo proposto i nostri otto punti con le richieste già a luglio, mentre le trattative sono iniziate il 31 ottobre e già questo è significativo. Le nostre richieste sono legittime e non avrebbero alcun impatto sulle spese”, commenta Marco Trentin, del sindacato autonomo Fials. “Da due anni chiediamo alla Fondazione impegni precisi su alcuni argomenti per noi importanti e non ci sono mai arrivate risposte convincenti sia sulla pianta organica che sull’aspetto economico”. In particolare, nel 2021 i lavoratori della Fenice erano 315, oggi sono scesi a 271 unità.

In discussione c’è anche il permesso a svolgere attività esterne nelle giornate in cui non vi siano impegni particolari in sala, finora garantito, mentre la nuova impostazione sarebbe quella di considerare i lavoratori come assenti. “La Fondazione vuole bloccare le attività esterne come quelle che realizziamo in alcune associazioni musicali – ha spiegato Trentin – e vuole anche effettuare trattenute sugli stipendi”. Secondo i dipendenti, invece, “l’autorizzazione non ha mai avuto effetti sul bilancio, non c’è insomma alcuna spesa”.

Dai sindacati era partita la disponibilità a una convocazione straordinaria dell’assemblea, così da arrivare a una revoca dello sciopero, ma solo a fronte di sostanziali novità. La dirigenza ha risposto dando solo la disponibilità ad avviare tavoli tecnici, il che avrebbe richiesto tempi lunghi e avrebbe salvato la “prima”, senza però dare una risposta immediata ai lavoratori.

Nel futuro della Fenice c’è anche la problematica scelta del nuovo sovrintendente, con le candidature di Nicola Colabianchi, che è al Teatro Lirico di Cagliari, e di Pierangelo Conte, ora al Carlo Felice di Genova. Polemiche ha suscitato il nome di Colabianchi, un meloniano che fu portato a Cagliari dal sindaco Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia, con lontane frequentazioni di ambienti neofascisti e un recente inchiesta ancora in corso per presunte anomalie legate alla gestione del personale del teatro lirico sardo. Un’interrogazione in tal senso è stata indirizzata al ministro Alessandro Giuli dalla parlamentare dem Rachele Scarpa.

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Il Fatto Quotidiano

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