Lo Schermo dell’Arte: l’arte che si vede al cinema nell’edizione 2024 di Firenze

Diciassette anni fa non era così scontata l’idea di proiettare in sala cinematografica l’arte in video prodotta dagli artisti, che sempre più facilmente passavano il guado e costruivano intere narrazioni con linguaggi e tecnologie sempre più cinematografici. Il genere è maturato, la settima arte diventa così l’ottava arte nelle mani di artisti visivi sempre più capaci di sondare un mezzo che la tecnologia arreso sempre più facile da usare sempre più economico. Nel 2007 Silvia Lucchesi ha intuito che i film d’artista meritavano il tempo dilungato e la posizione comoda della sala e così ha fondato Lo schermo dell’Arte, portandolo nel tempo ad profilarsi come una piattaforma con un centro di produzione, grazie alla competenza di Leonardo Bigazzi, ed una sempre più ampia attività educativa che, grazie ai bandi ministeriali, porta l’audiovisivo perfino tra i banchi delle scuole materne.

Lo schermo dell’arte: documenti d’artista

Quest’ultima edizione ha proposto oltre 30 titoli, alcuni delle quali capaci di rileggere il formato del documentario con una libertà creativa che include l’intelligenza artificiale, il deepfake, l’elaborazione digitale e antiche pratiche analogiche. Uno dei documenti più straordinari della manifestazione è “Exergue – On Documenta 14” di Dimitris Athiridis, un monumentale film di 14 ore che segue per due anni il direttore di dOCUMENTA 14 Adam Szymczyk nella costruzione della più importante mostra d’arte contemporanea al mondo, nonché l’edizione più contestata. Si tratta di un’operazione di trasparenza sorprendente, di un efficace tutorial per curatori oltre che di un buon esempio di “cinema verità” à la Zavattini; racconta le vicende del team, i dibattiti, gli scontri politici, le decisioni ed il deficit finanziario susseguente all’idea di spostare ad Atene parte della mostra.

Schermo dell’arte: le proiezioni

Più tradizionale è il ritratto che Maria Anna Tappeiner dedica a Wolfgang Laib, un artista fuori dal coro grazie alla sua capacità di tradurre in arte una vita spirituale profonda. Agli antipodi si pone invece Alreadymade di Barbara Visser, l’ironica indagine sulla paternità dell’opera che ha inaugurato la contemporaneità, su quella Fountain di Marcel Duchamp, considerata una delle opere d’arte più influenti del XX secolo e che, mostrata per la prima volta alla Society of Independent Artists a New York nel 1917, fu gettata, rifiutata e ricomparve fotografata da Steiglitz su una rivista che imbastì la sua prima notorietà. Il film, a tratti divertente e irriverente, sconfessa Duchamp e ipotizza la maternità dell’opera da parte dell’artista dadaista Elsa von Freytag-Loringhoven, scomparsa nel 1927.

Schermo dell’arte: la questione femminile

Prima regista donna afroamericana ad essere premiata al Sundance, Garrett Bradley è una delle voci più significative del cinema contemporaneo. Lo Schermo dell’arte le dedica un focus, in partnership con la Fondazione Gucci, mostrando alcuni dei suoi film tra cui Time, la storia di una madre afroamericana che alleva sei figli e lotta per la liberazione del marito dal carcere soprannominato Angola, in Louisiana. Il film, che è stato girato in due decenni ed ha ricevuto oltre cinquanta nomination, incluso l’Oscar, vincendo venti premi, celebra la resilienza femminile afroamericana ed il trattamento pregiudiziale della giustizia americana. Capolavoro sperimentale è invece il film documentale della giovane regista iraniana Maryam Tafakory, che in Raze-Del racconta la storia di Zan, la prima rivista femminile post-rivoluzione. La fanzine conterà 174 uscite, diventando un oggetto di culto sul finire degli anni Novanta ma anche un bersaglio della cultura oppressiva di un paese diviso tra modernità e teocrazia. La storia del cinema iraniano, in cui la censura fa la parte del leone ed in cui le protagoniste finiscono spesso uccise, fa il paio con l’analisi impietosa di una rappresentazione femminile gestita dal patriarcato più intransigente. Il film denuncia come proprio sul controllo ossessivo della donna, del suo abbigliamento, l’Iran degli ayatollah pare aver costruito una sorta di identità di resistenza alle influenze del “grande satana” occidentale.

Schermo dell’arte: un’altra natura

Se l’antropocene e la crisi climatica dettano l’agenda, alcuni cortometraggi qui esposti provano a guardare più in profondità per ridefinire il nostro rapporto con la natura: il warburghiano Daphne was a torso ending in leaves di Catriona Gallagher sfoglia, come pagine di un libro, la storia mitologica della naiade amata da Apollo che si trasforma in pianta di alloro per sfuggirgli: la regista, infatuata dalla celebre statua del Bernini alla Galleria Borghese, elenca come e quanto la pianta compaia nella storia offrendo una onnipresenza affascinante. Il film è stato sviluppato con una soluzione a base di caffè ed è sonorizzato con il rumore dei cocci di Monte Testaccio.  In The Speech l’artista lituana leone d’oro a Venezia Lina Lapelytė filma l’ultima grande performance organizzata alla Bourse de Commerce Pinault Collection: bambini e adolescenti si trasformano in uccelli, vocalizzando i loro versi. Una visione poetica e spiazzante. Il georgiano Andro Eradze gira Flowering and fading, un film denso di presagi ambientato nella casa memoriale del celebre costumista georgiano Soliko Virsaladze. Un cane dorme con la sua padrona e il film sembra quasi essere il suo sogno.

Schermo dell’arte: e l’Italia?

Nell’anno felix dell’Arte Povera, l’Italia appare a SdA con un nuovo documentario: Arte Povera, appunti per la storia di Andrea Bettinetti mentre il grande Tonino Guerra appare con Andrej Tarkovskij in quel Tempo di viaggio che nel 1983 entrava nei processi creativi del grande regista attraverso la peregrinazione comune sui possibili luoghi del capolavoro NostalgiaLa Gola di Diego Marcon è un must see che farà parlare ancora di sé, mentre una vera scoperta è il lavoro di Roberto FassoneCon i denti tra i coltelli è un film inedito che intreccia le vicende esilaranti della sua squadra di basket, impegnata a vincere un campionato indiavolato, con opere d’arte contemporanea a fungere da contraltare simbolico, ma anche come meccanismo autoironico che incanta per la sua ingenuità soltanto apparente. Il sipario cala su un’edizione che in parte è stata visibile in streaming su MYmovies One, il che sembra negare il postulato del festival, ma per essere inclusivi occorre fare anche ciò sperando che la fruizione on line possa suscitare il desiderio di vivere l’esperienza potenziata della realtà “vera” rappresentata ormai, ironia della sorte, dalla sala cinematografica.

Nicola Davide Angerame

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Artribune