L’Italia nell’Indo-Pacifico. Sfide e opportunità oltre il Mediterraneo

  • Postato il 20 settembre 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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Negli ultimi quattro anni, l’Italia ha compiuto un salto operativo che pochi analisti avrebbero immaginato. Tra il 2021 e il 2024, Roma ha progressivamente intensificato il proprio impegno nell’Indo-Pacifico, un’area che per decenni era rimasta ai margini della sua agenda di sicurezza. La missione del Cavour Carrier Strike Group nel 2024, durata oltre cinque mesi e sviluppata tra Oceano Indiano e Pacifico, ha rappresentato il culmine di questa svolta. Accordi di cooperazione con India, Giappone e Australia, nuove intese con partner regionali e un rafforzamento delle capacità navali e industriali hanno proiettato l’Italia in un teatro strategico che, fino a pochi anni fa, sembrava lontanissimo dalle priorità nazionali.

L’Indo-Pacifico è oggi il centro nevralgico della competizione tra grandi potenze. Qui si concentrano le principali sfide per la sicurezza globale: la stabilità dello Stretto di Taiwan, le tensioni nel Mar Cinese Meridionale, la protezione delle rotte marittime e la resilienza delle catene globali del valore. Per un Paese come l’Italia, che fonda buona parte della sua economia sulle esportazioni e sulla libertà di navigazione, si tratta di questioni di rilevanza vitale. Circa il 40% del commercio marittimo mondiale transita da questa regione: garantirne la sicurezza non è più un tema marginale, ma un obiettivo che intreccia politica estera, industria e sicurezza nazionale.

L’aspetto economico, tuttavia, è solo una tra i tanti da prendere in considerazione per comprendere il nuovo attivismo italiano nell’area. L’Indo-Pacifico, d’altronde, è diventato il crocevia in cui si ridefiniscono alleanze, equilibri e rapporti di forza. Londra e Parigi vi hanno già rafforzato da tempo la loro proiezione navale, dimostrando la volontà di esercitarvi influenza. Successivamente anche Berlino ha iniziato a contribuire maggiormente alla stabilità regionale. Per Roma, quindi, restare completamente spettatrice rispetto a queste dinamiche avrebbe potuto comportare non solo il rischio di una certa marginalità politica, ma anche quello di restare priva di un’utile leva negoziale nei rapporti con Washington

Pressioni esterne e scelte interne

Dietro la scelta italiana di “guardare a Oriente” si intrecciano fattori esterni e dinamiche interne. La spinta decisiva è arrivata dagli Stati Uniti che, a partire dal 2021, hanno cambiato il loro modus operandi con Roma. Da una posizione difensiva, incentrata nel dissuadere l’Italia dal rafforzare i legami con Pechino – come nel caso della Belt and Road Initiative o delle infrastrutture 5G – Washington è passata a una strategia proattiva, volta a coinvolgere gli alleati, Italia compresa, nella gestione della sicurezza regionale. Questa pressione si è esercitata attraverso sia canali bilaterali, legati all’uscita italiana dal Memorandum BRI firmato nel 2019, che piattaforme multilaterali come la NATO e il Multinational Strategy and Operations Group (MSOG), dove è stato promosso un coordinamento sempre più stretto tra i Paesi like-minded nel contenimento dell’espansione cinese.

I risultati sono stati evidenti. Nel 2023, la PPA Morosini ha toccato diciannove porti in diciotto Paesi, prendendo parte all’esercitazione multinazionale Komodo 23 nel Mar Cinese Meridionale e contribuendo alla missione EMASoH/AGENOR nello Stretto di Hormuz, a difesa della libertà di navigazione. Nel 2024, in aggiunta alla crociera della Cavour, il PPA Montecuccoli è stato la prima unità italiana a partecipare attivamente alla RIMPAC, la più grande esercitazione navale al mondo, rafforzando la cooperazione con Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti. Nello stesso anno, l’Italia ha assunto il comando della Task Force 153 delle Combined Maritime Forces, incaricata di garantire la sicurezza del Mar Rosso e del Golfo di Aden. Il 2025 si è aperto con l’invio di nave Marceglianella regione, ritornata a La Spezia a luglio dopo aver condotto esercitazioni con l’India e aver partecipato a KOMODO25. Come ha sottolineato l’Ammiraglio Enrico Credendino davanti alla Commissione Esteri, il 2024 ha segnato l’ingresso dell’Italia nel ristretto ‘club’ dei Paesi capaci di dispiegare portaerei e caccia di quinta generazione. “Essere presenti – ha spiegato – significa essere credibili; chi è assente, al contrario, rischia di rimanere irrilevante”.

L’impegno italiano non si è limitato al piano militare. Roma ha intensificato la cooperazione diplomatica, infrastrutturale e industriale con gli attori principali della regione. Con il Giappone, il partenariato strategico è stato consolidato attraverso il Global Combat Air Programme (GCAP), che porterà allo sviluppo di un caccia di sesta generazione in collaborazione con il Regno Unito. Con l’India, l’Italia ha firmato un Memorandum di Cooperazione sulla Difesa e un Piano d’Azione Strategico quinquennale, aprendo nuovi spazi di collaborazione tecnologica e militare, nonché la partnership IMEC nel 2023 per la costruzione di un corridoio economico capace di collegare il subcontinente all’Europa. Con l’Indonesia, infine, sono stati conclusi importanti contratti per la fornitura di otto fregate (prima, poi interrotto) e due pattugliatori PPA (poi realizzato), rafforzando la posizione di Fincantieri come attore di primo piano nel mercato navale della regione. Parallelamente, Leonardo ha consolidato la propria presenza nei mercati dell’aerospazio e della difesa attraverso la vendita di elicotteri AW139 all’Australia e aerei ATR 72 MPA alla Malesia, mentre nuove collaborazioni tecnologiche si stanno sviluppando in Corea del Sud e nelle Filippine. Queste iniziative hanno permesso all’Italia di rafforzare la propria credibilità internazionale.

Una politica estera tra ambizione e cautela

Nonostante il protagonismo crescente, l’Italia non dispone ancora di una strategia nazionale sull’Indo-Pacifico. Seppur le principali istituzioni – Ministero degli Esteri, Ministero della Difesa e Presidenza del Consiglio – agiscano spesso senza una cabina di regia unica, emerge una linea di continuità nell’approccio italiano alla regione: da un lato, un’attività intensa e visibile, fatta di accordi industriali, missioni militari e nuove relazioni diplomatiche con partner like-minded; dall’altro, un approccio molto prudente che mira a evitare attriti con Pechino e a preservare margini di flessibilità.

Non è un caso che le unità navali italiane abbiano deliberatamente evitato lo Stretto di Taiwan, segnalando la volontà di conciliare l’allineamento con Washington con una gestione pragmatica dei rapporti con la Cina, ad esempio anche evitando di etichettare le manovre navali come FONOPs. Roma, pur incrementando la sua presenza nell’Indo-Pacifico, ha elevato il suo livello di impegno anche nel Mediterraneo allargato, area sempre più afflitta da fragilità statale, crisi economiche e alimentari nonché minacce dirette agli interessi nazionali.

L’Italia, pertanto, è chiamata a sbrogliare una matassa quanto mai intricata: da un lato deve proiettarsi globalmente, senza perdere di vista le priorità regionali; dall’altro deve contribuire allo sforzo collettivo di deterrenza nei confronti di Russia e Cina, ma senza inficiare i commerci con Pechino. A ciò si aggiunge l’assenza di una postura europea condivisa. Francia, Germania e Regno Unito seguono strategie differenti nella regione e la mancanza di un quadro comune rischia di ridurre la portata delle iniziative italiane. In un contesto internazionale segnato dalla crescente competizione tra Stati Uniti e Cina, inoltre, Roma deve preservare un margine di autonomia strategica. Limitarsi a seguire passivamente le agende altrui significherebbe rinunciare alla possibilità di definire priorità autonome e di negoziare spazi di manovra più ampi. Si veda ad esempio l’incertezza – se non la confusione – che è seguita all’insediamento della nuova Amministrazione Trump sul coinvolgimento delle potenze europee nell’Indo-Pacifico. Dopo anni di pressioni perché gli europei facessero di più nella regione, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth allo Shangri-La Dialogue ha candidamente dichiarato che Washington sta “spingendo gli alleati in Europa a prendersi maggiormente cura della propria sicurezza, a investire nella difesa” e che “la ‘N’ di Nato sta per Nord Atlantico”. Gli “alleati europei dovrebbero”, dunque, “massimizzare il loro vantaggio comparato sul continente” cosicché gli Stati Uniti possano “concentrarsi maggiormente sull’Indo-Pacifico, il [loro] teatro operativo prioritario”.

Il crescente impegno dell’Italia nell’Indo-Pacifico potrebbe costituire molto più di un semplice allargamento del suo raggio d’azione profilando, qualora continuasse nel medio-lungo termine, l’emergere di un “quarto cerchio” della sua politica estera.

Da un lato, le pressioni esterne provenienti dagli Stati Uniti hanno avuto un effetto catalizzatore, spingendo l’Italia a guardare al di là del Mediterraneo per contribuire alla stabilità di un’area cruciale per l’equilibrio globale. Dall’altro, Roma persegue l’obiettivo della preservazione del prestigio internazionale e della valorizzazione delle proprie capacità industriali e militari, cercando di rafforzare la sua posizione nei consessi multilaterali e di consolidare legami strategici con i principali attori regionali.

Questa proiezione, tuttavia, si colloca in una fase di transizione ancora incompiuta. L’Italia non dispone di una strategia nazionale sull’Indo-Pacifico che definisca priorità chiare, strumenti coerenti e un coordinamento istituzionale efficace. Le decisioni adottate finora mostrano un approccio reattivo, dettato più dalla necessità di rispondere alle sollecitazioni degli alleati e di cogliere opportunità contingenti che da una visione organica di lungo periodo. Il risultato è un posizionamento ambivalente: l’Italia si propone come attore responsabile e proattivo, ma evita con attenzione di assumere posizioni troppo nette che possano generare attriti con Pechino o richiedere un impegno militare superiore alle proprie capacità. La retromarcia impressa dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sul coinvolgimento europeo nell’Indo-Pacifico ha lasciato spiazzati i partner del Vecchio Continente e messo in dubbio la sostenibilità nel medio periodo dell’accelerazione conosciuta nell’ultimo quinquennio dall’Italia.

Le implicazioni di tale scelta sono profonde. La proiezione nell’Indo-Pacifico apre a Roma spazi di influenza, rafforza la sua visibilità internazionale e sostiene la competitività delle proprie industrie strategiche. Ma comporta anche nuove possibili criticità. L’Italia deve ora misurarsi con il rischio di sovraestensione militare, con la possibilità di trovarsi coinvolta in crisi lontane dai propri confini e con la sfida di bilanciare correttamente l’utilizzo delle proprie risorse tra diversi quadranti: il Mediterraneo allargato, dove le minacce restano concrete e immediate, e l’Indo-Pacifico, che rappresenta invece un investimento strategico di lungo periodo.

Autore
Formiche

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