L’industria delle armi festeggia l’aumento della spesa in difesa. E chiede al governo una campagna per promuovere la sua immagine

  • Postato il 11 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Boom delle commesse statali, fatturato più che triplicato a oltre 70 miliardi di euro, incidenza sul pil destinata a toccare il 2,5%. È lo scintillante futuro che attende l’industria italiana della difesa e della sicurezza grazie all’aumento della spesa pubblica dedicata promesso dal governo Meloni per accontentare Donald Trump. A fare i conti è la lobby del comparto, la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), che lo scorso fine settimana ha presentato al Forum di Cernobbio un rapporto di 80 pagine sul “ruolo strategico della filiera industriale della difesa e della sicurezza per la crescita e la competitività nel sistema-Italia nel contesto europeo”. Lo “studio strategico”, curato da un gruppo di analisti di Teha group assistiti da un comitato guida in cui accanto al presidente Aiad Giuseppe Cossiga (manager del produttore di missili Mbda) compare l’editorialista del Corriere della Sera Federico Rampini, è un inno alle sorti progressive dell’industria bellica italiana. E un compendio di ulteriori richieste alla politica.

Il settore non si accontenta infatti del fiume di soldi pubblici in arrivo per il riarmo. Ma chiede al governo una serie di interventi che vanno dal rafforzamento della filiera ad “azioni di comunicazione e sensibilizzazione” nei confronti del grande pubblico. Perché, anche se l’associazione guidata fino al 2022 dall’attuale ministro Guido Crosetto non lo esplicita, il diffuso sentimento di contrarietà all’aumento delle spese militari è evidentemente considerato un problema. A fronte del quale occorre “una campagna” per promuovere una maggiore consapevolezza del suo “ruolo economico-sociale e di sicurezza nazionale”. Il suggerimento è quello di seguire l’esempio di Francia e Germania, con i loro “eventi aperti alla cittadinanza” per “sensibilizzare le nuove generazioni sugli aspetti economico-industriali e professionali della difesa” e presentare le attività industriali e di ricerca collegate. O, meglio ancora, imitare la Repubblica ceca con i suoi Nato Days, “maxi-evento gratuito per il pubblico il cui motto collega esplicitamente prosperità e sicurezza“.

L’export di armi “leva di azione geopolitica”

Il punto di partenza è che l’industria europea della difesa e sicurezza tra il 2019 e il 2023 – complice il boom successivo all‘invasione russa dell’Ucraina – ha visto il fatturato crescere in media del 7,4% annuo. L’export di armamenti, definito “elemento fondamentale per la sostenibilità economica del settore e leva di azione geopolitica“, è cresciuto addirittura del 9,4% medio annuo. Con il risultato, festeggia nel preambolo l’associazione nel cui cda siedono rappresentanti di Leonardo, Fincantieri, Elettronica, Avio Aero, Thales e Iveco-Oto Melara, che “nell’ultimo decennio, l’Ue-27 ha guadagnato 5,2 punti percentuali sulla quota mondiale di export dei principali sistemi di Difesa, passando dal 24,3% al 29,5%”. Nello stesso periodo la capitalizzazione in Borsa dei cinque maggiori player è salita da 110 a 423 miliardi, avvicinandosi a quella dei big statunitensi: sintomo di “una crescente fiducia da parte degli investitori“.

La difesa “volano virtuoso di sviluppo” del Paese

Un contesto in cui l’Italia “gioca un ruolo centrale” visto il suo “ecosistema industriale che nel 2024 ha generato oltre 22 miliardi di euro di fatturato e sostenuto oltre 62mila occupati diretti” che diventano rispettivamente 60 e 145mila considerando l’indotto e esportazioni autorizzate per 6,5 miliardi di euro nel 2024 sia in “mercati tradizionali” sia verso “nuove destinazioni di rilevanza strategica sul piano geopolitico” come Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Egitto e Indonesia. Un “volano virtuoso di sviluppo”, assicura lo studio, perché il “moltiplicatore economico della filiera industriale D&S è pari a 2,72″, ovvero “per ogni euro di fatturato diretto si attivano ulteriori 1,72 euro nell’economia nazionale“.

“Nei prossimi 10 anni +114 miliardi di spesa pubblica”

Guardando al futuro, a galvanizzare il comparto sono “gli impegni e le dichiarazioni del governo italiano” che ha sottoscritto l’obiettivo Nato di aumentare la spesa pubblica in Difesa e Sicurezza dall’1,5% nel 2024 al 5% del Pil nel 2035: equivale a “un aumento cumulato di 114,4 miliardi nei prossimi 10 anni, che significherebbe passare dagli attuali 32,7 a 147,1 miliardi al 2035″, calcola l’Aiad. Attraverso le commesse pubbliche, che potrebbero salire a oltre 48 miliardi, “tale aumento potrebbe permettere di triplicare il fatturato dell’industria nazionale della D&S ad oltre 70 miliardi di euro all’anno 2035 (considerando anche gli effetti indiretti e indotti, si arriverebbe ad una attivazione di 191,2 mld per l’economia del Paese) e più che raddoppiare l’incidenza del valore aggiunto del settore sul Pil nazionale dall’1,1% al 2,5%”. Questo dice il modello proprietario elaborato da Teha group, e poco importa se l’Ufficio parlamentare di bilancio, in un recente rapporto sulla politica di bilancio, ha certificato che “il moltiplicatore medio” della maggior spesa pubblica per la difesa “è stimato inferiore all’unità (0,5) visto che al momento gran parte dei soldi viene impiegata per comprare armi dall’estero. E la situazione non pare destinata a cambiare visti gli impegni presi con Washington.

Le richieste alla politica

L’industria nazionale non ci sta e auspica ogni sforzo per assicurare “una crescente autonomia strategica” all’Italia attraverso “il sostegno alla componente industriale, per garantire la sicurezza nazionale ed europea per cittadini e imprese”. Le richieste spaziano dal “potenziamento dell’apparato burocratico per il procurement militare” – cioè la gestione delle commesse pubbliche da cui è fortemente dipendente – all’aumento della spesa nazionale per la ricerca e innovazione militare, passando per la promozione di “collaborazioni paneuropee e internazionali con Paesi partner/alleati” e un piano per riattivare in Italia “produzioni strategiche per le attività dell’industria della Difesa e Sicurezza”, come la “filiera degli esplosivi“. Appello a cui il governo non è sordo: solo ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha ribadito che la filiera della difesa “coinvolgerà sempre più imprese piccole e medie” e in particolare “una parte del settore dell’automotive può produrre anche per l’industria della difesa”. Ultimo ma non ultimo, c’è l’appello a prendere esempio dai Paesi Ue che hanno già lanciato “iniziative governative o para-governative rivolte al grande pubblico” per evidenziare “il valore socio-economico della Difesa (occupazione, filiere, innovazione) oltre al ruolo di deterrenza militare”. Particolarmente apprezzato lo slogan dei Nato days di Praga, che i portali governativi definiscono “la più grande rassegna sulla sicurezza dell’Europa centrale”: “La nostra sicurezza non è scontata e non c’è prosperità senza sicurezza”.

Foto dal sito Natodays.cz

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Il Fatto Quotidiano