L’Ilva sull’orlo del precipizio: “Non c’è più tempo”. Urso smentito sull’altoforno sequestrato: può tornare attivo in 6 mesi
- Postato il 18 settembre 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un “crescente squilibrio economico” dovuto a “livelli produttivi non sufficienti” a garantire la tenuta dei conti a causa dei “costi fissi”. Insomma, l’Ilva ha troppi dipendenti rispetto a quanto produce in questo momento e quindi deve aumentare del 50% i lavoratori in cassa integrazione. I vertici di Acciaierie d’Italia, gestore dello stabilimento e in amministrazione straordinaria, hanno spiegato così ai sindacati la richiesta di ammortizzatori sociali per 4.450 operai e quadri rispetto ai 3.000 attualmente autorizzati. Anche perché “il mercato è in calo e i ricavi diminuiscono sempre più” e ogni giorno che passa è un “granello di difficoltà”.
L’Afo1 può tornare in marcia in 6 mesi: Urso smentito
E la luce non si vede in fondo al tunnel, hanno chiarito il direttore generale Maurizio Saitta e il responsabile delle Risorse Umane Claudio Picucci durante l’incontro al ministero del Lavoro di fronte ai rappresentanti dei metalmeccanici che chiedevano lumi e sottolineavano come il faccia a faccia sia arrivato dopo ben sei rinvii. Una buona notizia, però, i dirigenti sono riusciti a darla: la procura di Taranto deciderà entro una decina di giorni sul dissequestro dell’altoforno 1, quello incendiatosi a maggio, e – se la decisione dovesse essere positiva per l’azienda – potrà tornare in marcia entro la primavera del 2026. “Ci vorranno sei mesi e mezzo”, ha chiarito Picucci parlando del tempo necessario per i lavori necessari al ripristino. La previsione, in sostanza, smentisce l’allarme del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso che nelle settimane successive all’incidente, mentre tentava di scaricare ogni responsabilità dei danni alla magistratura, si era spinto a dire: “Verosimilmente l’impianto è del tutto compromesso”.
L’Ilva sull’orlo del precipizio
In ogni caso, la situazione è drammatica e destinata a non migliorare nel breve termine. I toni usati dai due dirigenti di Acciaierie d’Italia sono stati gravi e netti. Hanno garantito che l’altoforno 2 ripartirà “entro la fine dell’anno” e che le ispezioni sull’altoforno 4, l’unico attivo in questo momento, sono state positive, quindi l’impianto può rimanere acceso fino al termine del 2025. Dopo verrà fermato e si potrà produrre con due altoforni solo da “marzo del prossimo anno”. Anche per questo – è stato spiegato ai metalmeccanici – la produzione odierna “non è sufficiente a reggersi in piedi” e “ci riusciamo grazie ai finanziamenti pubblici”. Saitta è stato chiarissimo: “Abbiamo il dovere di gestire le risorse al meglio. Ogni giorno che un altoforno rimane fermo, perdiamo 5mila tonnellate di ghisa e i ricavi conseguenti”. Quindi l’allarme: “Bisogna fare l’accordo (sulla cassa integrazione, ndr) nel più breve tempo possibile, non abbiamo più tempo”. Per questo il ministero ha invitato a chiudere l’intesa sulla cassa entro il 24 settembre, data del prossimo incontro.
I sindacati
“È inconcepibile che ad oggi, i 20.000 lavoratori, diretti ed indiretti, interessati dalla vertenza, a distanza di 18 mesi di amministrazione straordinaria e di 13 anni dall’esplosione della crisi, non conoscano il loro destino ma, soprattutto, vedono aggravarsi le loro condizioni economiche con la persistenza e l’estensione della Cigs”, ha detto il segretario nazionale della Uilm Guglielmo Gambardella. “A tutto questo si aggiunge l’inadeguata dotazione finanziaria ed i ritardi ed il frazionamento dei diversi prestiti forniti all’amministrazione straordinaria per l’esecuzione del Programma di gestione dei commissari per l’aumento del valore dell’azienda ed il ripristino dell’operatività dopo la disastrosa gestione ArcelorMittal”, ha aggiunto. “L’incontro ha avuto toni drammatici. È ora di fare chiarezza: i lavoratori – ha detto Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom – non possono pagare il prezzo dei ritardi. Bisogna dare corso alla nostra richiesta di un incontro a Palazzo Chigi”. Per la Fim l’aumento del numero di lavoratori richiesto dall’azienda “non ci spaventa in sé, ma deve essere motivato da ragioni solide e inserito in un piano di rilancio che progressivamente riduca il ricorso alla cigs” e invece “assistiamo a un silenzio assordante da parte delle istituzioni locali e della politica nazionale, che crediamo abbiano oggi il dovere di accelerare i tempi e decidere con coraggio sul futuro”.
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