“L’Fbi è una nave alla deriva”. Il dossier dei veterani federali che punta il dito sul capo Patel, fedelissimo di Trump

  • Postato il 2 dicembre 2025
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Randy Bish, fumettista editoriale che nel 2012 ha vinto il Clarion Award per la migliore vignetta pubblicata sui media americani, parlando di Kash Patel, il capo dell’Fbi designato dal presidente Trump, sui social lo scorso giugno scrisse così: “Patel sembra sempre uno che usa il bidet per la prima volta”. Una battuta, certo, ma impietosa per uno che partendo da una carriera legale è diventato responsabile di una delle istituzioni a stelle e strisce divenute leggendarie a livello internazionale.

In queste ore, su Patel casca un’altra tegola: il quotidiano New York Post pubblica un dossier – si tratta del National Alliance of Retired and Active Duty FBI Special Agents and Analysts basato su 24 fonti e sotto-fonti dell’FBI e una raccolta di annedoti – in cui funzionari federali veterani, sia in servizio che in pensione, descrivono la struttura come “tutta incasinata” e una “barca alla deriva”, con il direttore e il suo vice Dan Bongino preoccupati solo di arricchire il proprio curriculum. Il fatto che sia stato un giornale popolare di destra – fa parte dell’impero dei media dei Murdoch – a mettere il dito nella piaga potrebbe essere indicativo del malessere che si vive nelle sedi principali – il J. Edgar Hoover Building a Washington, l’Accademia a Quantico e il complesso del Criminal Justice Information Services Division a Clarksburg – della struttura investigativa che si occupa di crimini federali e antiterrorismo per quel che riguarda la sicurezza interna.

Il motto “Fedeltà, Coraggio, Integrità” sembra sbriciolarsi. Il giudizio su Patel è lapidario: “Non ha né l’esperienza né la capacità di cui un direttore dell’FBI ha bisogno per avere successo”. Bongino viene definito in modo impietoso: “Una specie di pagliaccio”. Entrambi vengono criticati per la loro “arroganza” e per una “ossessione per i social media”. Uno dei racconti che il New York Post snocciola riguarda ciò che accadde il giorno dopo l’omicidio di Charlie Kirk, l’attivista di ultra destra ucciso il 10 settembre 2025 sul palco della Utah Valley University. Secondo una fonte indicata con la sigla Alpha99, Patel si rifiutò di scendere dall’aereo in quanto non aveva un giubbotto con le insegne dell’Fbi; gli agenti ne trovarono uno da donna, ma lui si lamentò perchè non era della sua misura. Patel scese dall’aereo solo dopo che gli agenti della Swat gli diedero una delle loro giacche utilizzate per le incursioni. Quel che traspare dal racconto è questo: invece di appurare se le indagini sull’omicidio di una persona che diceva essere sua amica stessero accelerando, Patel si impuntò per una questione di vestiario e di immagine.

Nel dossier c’è spazio anche per giudizi positivi, che arrivano sulle collaborazioni tra Fbi e Ice per rintracciare i migranti illegali, sull’attività della Joint Task Force dell’FBI Field Office che “a differenza della precedente amministrazione alla Casa Bianca” è “completamente supportata dal Dipartimento di Giustizia” e sulla “efficacia operativa migliorata, perché i procuratori stanno agendo in modo più aggressivo per restare in sintonia con l’amministrazione”.

Dai pareri raccolti, in linea di massima, emerge l’idea che una parte degli agenti federali non dimentichino il percorso fatto da Patel prima di ricevere la nomina da Trump. Nel 2018 Patel era un collaboratore del deputato Devin Nunes, principale esponente repubblicano della Commissione Intelligence della Camera. Patel ha avuto un ruolo importante nei tentativi di Nunes di contrastare l’indagine dell’FBI sui legami della campagna di Trump con la Russia. Nel dicembre 2024, il Time scrisse che fu proprio il lavoro di Patel in quel frangente a garantirgli un posto nella prima amministrazione del tycoon.

L’attuale direttore dell’agenzia federale è stato poi un noto critico della struttura investigativa tanto che nel suo libro “Government Gangsters” scrisse che l’Fbi era lo strumento principale del Deep State tanto vituperato dai sostenitori dell’America Maga: “La leadership politicizzata ai vertici l’ha trasformata in uno strumento di sorveglianza e repressione dei cittadini americani”. Toni che se da un lato erano musiche per le orecchie di Donald Trump, dall’altro suscitavano sdegno e apprensione in agenti e analisti impegnati da anni a fare onestamente il proprio lavoro. Salvo poi ritrovarsi Patel come capo.

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