L’Europa (disarmata) osserva la tregua tra Iran e Israele
- Postato il 27 giugno 2025
- Esteri
- Di Formiche
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“L’Unione europea mantiene il suo fermo impegno a favore della pace, della sicurezza e della stabilità in Medio Oriente”, così recita il paragrafo 8 delle Conclusioni del Consiglio europeo del 26 giugno. Il testo accoglie con favore la cessazione delle ostilità e riafferma la necessità che l’Iran non acquisisca armi nucleari (“l’Ue è sempre stata chiara sul fatto che all’Iran non debba mai essere consentito di acquisire armi nucleari e che tale Paese debba rispettare gli obblighi giuridicamente vincolanti in materia di salvaguardie nucleari che gli incombono in virtù del trattato contro la proliferazione delle armi nucleari”).
Bruxelles rilancia la disponibilità a “contribuire a tutti gli sforzi diplomatici”. Ma l’enunciazione dei principi, per quanto coerente con la tradizionale postura dell’Unione e con le oggettive quanto ovvie necessità del dossier, evidenzia al tempo stesso la sua marginalità nel contesto di una delle crisi più acute della regione mediorientale negli ultimi anni.
La tregua tra Iran e Israele, raggiunta dopo l’intervento diretto degli Stati Uniti — che hanno colpito siti nucleari iraniani con bombe anti-bunker — è stata facilitata da attori esterni al quadro euro-atlantico, in particolare dal Qatar e, secondo alcune ricostruzioni, dalla Russia. L’Unione europea, pur formalmente coinvolta, non ha esercitato un’influenza diretta sugli esiti del confronto. La gestione della crisi è rimasta saldamente nelle mani di attori dotati di strumenti di hard power, e senza timore di utilizzarli, oltre che di relazioni strategiche con le parti in causa.
L’impossibilità dell’Ue di agire come attore geopolitico proattivo in contesti dominati dalla forza è una debolezza strutturale più volte riconosciuta anche da voci interne. Francesco Talò, ex ambasciatore italiano in Israele e oggi inviato speciale per l’India-Middle East-Europe Corridor dell’Italia, ha osservato con Poltico che “quando è in tempo di guerra, l’Ue di solito ha meno strumenti”. Secondo Talò, l’Unione può svolgere però un ruolo significativo nella costruzione di progetti di stabilizzazione a lungo termine, come i corridoi connettivi appunto, ma non possiede strumenti sufficienti per influenzare le dinamiche militari in atto: “L’Europa può essere un protagonista, ma forse lasciando la diplomazia di guerra a coloro che hanno un hard power”.
Questa valutazione è stata confermata dall’andamento della crisi. Nel momento in cui Washington ha deciso di intervenire militarmente contro le infrastrutture nucleari iraniane, Londra e Parigi sono state informate preventivamente e in forma bilaterale. Le istituzioni dell’Ue, invece, non sono state coinvolte. È possibile che la mancanza di forze armate proprie limita la possibilità di partecipare alle decisioni strategiche? L’Ue si è ritrovata così ad affrontare una crisi di prima grandezza senza strumenti autonomi né una strategia coerente. Le tensioni interne tra gli Stati membri — in particolare sulla gestione del dossier israelo-palestinese e sulle ripercussioni del conflitto con l’Iran — hanno ulteriormente ostacolato una risposta unitaria.
Eppure, in questo quadro segnato da una sostanziale impotenza operativa, si è distinto un tentativo di visione strategica. Un gruppo di membri del consiglio dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr) ha lanciato un appello ai leader europei affinché promuovano una de-escalation militare e guidino una risposta diplomatica strutturata. Il documento, firmato da figure di alto profilo come Carl Bildt e Arancha González Laya, suggerisce una serie di misure concrete, dalla protezione dei civili iraniani in fuga alla mobilitazione di canali diplomatici multilaterali. Sebbene apparentemente priva di un seguito operativo istituzionale, questa iniziativa segnala che all’interno del dibattito europeo esiste una consapevolezza crescente dei limiti attuali dell’Ue e della necessità di superarli.
Il caso della crisi Iran-Israele conferma una realtà consolidata: in assenza di una politica estera e di sicurezza realmente integrata, l’Unione resta un attore secondario nei teatri dove prevale la forza. L’investimento diplomatico e normativo dell’Ue in Medio Oriente — storicamente rilevante — si scontra con l’asimmetria delle capacità strategiche. Finché questa frattura non sarà colmata, l’Europa continuerà a essere una potenza normativa e diplomatica, ma non geopolitica.
Nello specifico della crisi israeliano-iraniana, Bruxelles appare un osservatore delle dinamiche in atto, attore a supporto della tregua, ma non determinante. Dopo l’ultimo video in cui la guida suprema Ali Khamenei ha rivendicato la vittoria dell’Iran contro i nemici storici — Israele e Usa — il cessate il fuoco resta instabile. L’amministrazione Trump ha discusso della possibilità di aiutare l’Iran ad accedere a fino a 30 miliardi di dollari per costruire un programma nucleare di produzione di energia civile, allentando le sanzioni e liberando miliardi di dollari in fondi iraniani limitati, tutto parte di un tentativo di intensificazione di riportare Teheran al tavolo dei negoziati. Ma Teheran non può ancora abbandonare una postura severa.
Il cancelliere tedesco Friederich Merz evidenzia che se la tregua non sarà “permanente” non c’è spazio per riaprire i negoziati con Teheran sul programma nucleare, mentre Emmanuel Macron fa notare che per Parigi lo “scenario peggiore” è che l’Iran lasci il Npt (trattato di non proliferazione nucleare) — e dunque suggerisce indirettamente contatti per evitarlo. I due hanno rappresentato riferimenti per approcci differenti all’interno dell’Unione, con Merz che diceva di Israele “sta facendo il lavoro sporco per noi” e Macron che chiedeva l’immediato stop delle operazioni dello Stato ebraico.