Lettere familiari

  • Postato il 18 settembre 2024
  • Di Il Foglio
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Lettere familiari

Con che coraggio ci addentriamo nella lettura delle scritture private di qualcuno? Scivolare tra le pagine di un diario o in un plico di lettere non ci rende forse colpevoli di troppa curiosità nei confronti di chi le ha scritte? C’è forse un’irrimediabile morbosità nell’atto di penetrare territori intimi come questi senza essere autorizzati ed è proprio con un simile atto di eccessiva curiosità che si misura Giorgio Vasta nel tracciare, attraverso un testo di ampio respiro, l’introduzione alle lettere familiari di Giorgio Manganelli, da poco edita per Nottetempo.
 

C’è, dice Vasta, un afflato a restituire un’immagine “totale” di Manganelli, autore tra i più variegati del secondo Novecento italiano nonché figura di spicco del mondo del giornalismo e dell’editoria, ma nonostante ciò rimane il fatto che introdursi nel suo epistolario privato mantenga il sapore di una violazione, che, tuttavia, non può semplicemente che essere rivendicata. Come clandestini, così, ci si addentra negli scritti quotidiani di Manganelli, organizzati in base al destinatario (la moglie, la figlia, il fratello) scoprendo le tende su un quotidiano “che è progetto, problema, fantasticazione, ricerca, inciampo, delusione, e dunque si leggono le circostanze minute delle giornate, le attese, i preparativi, i presentimenti e i dispiaceri, tutte le piccole vicende del corpo, si leggono i desideri, i tormenti, le ambizioni, le frustrazioni, tutti i ‘farò’ e ‘dirai’ e ‘andremo’ e ‘saremo’”.
 

Ecco che allora, leggere un epistolario significa entrare come ladri in uno spazio che non ci compete, ma in cui possiamo specchiarci, rilevando in questo modo uno dei compiti fondamentali della lettura e cioè l’esilio in mondi tanto alieni quanto necessari per interpretare ciò che siamo attraverso specifiche corrispondenze.
 

Manganelli si scopre così, appunto, nelle sue parti molli, di marito, di padre, di fratello, non solamente individuando la persona oltre l’autore, ma soprattutto esplicitando i legami tra le due figure. Ma è poi nella relazione sentimentale con Fausta Chiaruttini che l’autore vacilla, facendoci sorridere nell’impacciata immedesimazione che percepiamo e nella lingua che si intride di precari diminutivi e banalità, anche qui magistralmente rimarcata da Vasta: “Quando due si innamorano le parole di colpo non bastano più, nella loro percezione il linguaggio è del tutto inservibile ed è quindi necessario inventare altre parole: nomignoli, nomini, nometti”. Un Manganelli da leggere e rileggere.

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Autore
Il Foglio

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