L’etica della parola come antidoto ai discorsi d’odio. Cos’hanno detto Fassino, Scalfarotto e Migliore
- Postato il 19 giugno 2025
- Politica
- Di Formiche
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“Le parole possono essere uova di serpente. Evocano idee, crescono indisturbate e, se trascurate, si schiudono in atti di violenza”. Le immagini diventano plastiche, come a restituire la portata del fenomeno e la gravità del momento.
È con questa immagine potente e al contempo inquietante che Gennaro Migliore, direttore del Consiglio consultivo di ICCEHS, ha aperto l’evento “Voci contro l’odio: insieme per una comunicazione responsabile”, promosso dal senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto ieri a Palazzo Madama, in occasione della Giornata internazionale contro i discorsi d’odio proclamata dalle Nazioni Unite. Un’occasione per fare il punto, con lucidità e preoccupazione, su quanto le parole – d’odio – possano costruire o distruggere il tessuto civile, fino a sfociare in radicalizzazioni e conflitti.
Non un dibattito astratto, ma un confronto urgente. A trentuno anni dal genocidio del Ruanda – ricordato più volte, proprio da Migliore, come esempio paradigmatico di quanto la propaganda possa precedere e giustificare lo sterminio – è il presente a preoccupare: social media, disinformazione, radicalizzazione giovanile e delegittimazione della parola “compromesso” stanno facendo dell’odio un linguaggio quotidiano.
“Ho vissuto sulla mia pelle quanto sia difficile contrastare i discorsi d’odio nel dibattito pubblico – così il senatore renziano, da anni in prima linea per estendere le garanzie previste dalla Legge Mancino -. Per decenni abbiamo cercato di rafforzarla, ma non sempre è stata considerata una risorsa. Oggi, i social sono veicoli potentissimi per l’odio: è scomparso il tempo dell’attesa e del pensiero, è venuto meno anche il pudore”. Il senatore ha denunciato, come rappresentazione emblematica dell’odio diffuso, gli attacchi dalla comunità ebraica romana durante l’ultimo Pride: “In un luogo nato per essere inclusivo, sentire accuse gravissime, come quella di ‘assassini’, è un segnale inquietante. Le folle possono diventare pericolose”.
Sulla stessa linea è anche Nidal Shoukeir, direttore del consiglio esecutivo di ICCEHS, che allarga lo spettro entrando nel vivo dell’attualità. “Il linguaggio d’odio è il carburante dei conflitti. Il nostro pianeta è percorso da guerre e tensioni crescenti: in Medio Oriente, in Ucraina, in Africa. E le parole non restano parole, diventano fiamme”. Da qui, un appello accorato alla responsabilità, rivolto a leader, influencer e cittadini: “La pace non è un’utopia, ma richiede azioni quotidiane. Serve un’etica della parola, un fronte comune per una cultura della comunicazione responsabile”.
A proposito di segnali allarmanti, è Massimo Khairallah, direttore delle relazioni internazionali di Med-Or Foundation, a mettere a fuoco la vulnerabilità giovanile in particolare in alcune aree del Mondo. Sono i numeri a parlare. “Il 60% di chi si affilia a organizzazioni terroristiche – scandisce Khairallah – è orfano. Nei campi in Siria o a Gaza rischiamo di perdere una generazione cresciuta nel risentimento. Se non interveniamo oggi, in particolare nelle scuole, rischiamo di trovarci tra dieci anni davanti a una nuova ondata di odio”. Khairallah ha indicato come modello l’esperienza degli Emirati Arabi Uniti, che attraverso una narrazione culturale hanno evitato la diffusione dell’antisemitismo: “Là – chiude – la leadership emiratina ha scelto di educare al rispetto. Serve una contro-narrazione globale, condivisa, strutturata”.
Di taglio decisamente più politico, da profondo conoscitore di queste dinamiche, è l’intervento di Fassino che analizza nel profondo la relazione tra parola, conflitti e media (vecchi e nuovi). “Assistiamo a una crescente radicalizzazione, che avvelena la società – è il giudizio netto del vicepresidente della Commissione Difesa – . Il discorso pubblico ha delegittimato perfino la parola ‘compromesso’, confondendola con il tradimento dei valori. Ma governare significa trovare punti di incontro, non alimentare lo scontro. È una sfida che si vince anche educando i giovani e rafforzando il sistema informativo”.
Fondamentale anche il riferimento al “ritorno dell’antisemitismo” in relazione alla polarizzazione del dibattito creato attorno al conflitto fra Israele e Iran e più in generale sulla situazione mediorientale.
A emergere dall’evento è stato un messaggio chiaro che, come ha precisato lo stesso Fassino in chiusura di intervento, delinea i contorni di una responsabilità collettiva. “Il contrasto all’odio non può essere appannaggio di una parte politica o di una comunità. È una responsabilità trasversale, che richiede collaborazione tra istituzioni, società civile, mondo dell’informazione e cittadini – dice in chiosa -. Non esiste neutralità di fronte all’odio: ignorarlo significa alimentarlo”.
D’altra parte, come ha ricordato Gennaro Migliore, “tutto nasce dalle parole. E se continuiamo a sottovalutarle, continueremo a ritrovarci a contare le vittime”. Le vittime delle radici dell’odio.