L’eterno ritorno dei cattodem

  • Postato il 19 luglio 2025
  • Di Panorama
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Quando sento odor di centro, che per me è piacevole come quello delle braciole, vado ad annusare più da vicino». Parole e musica di Clemente Mastella, che di fatto inventò il genere anche se da qualche tempo non passa a riscuotere le royalties. C’è voglia di centro in questa dolce estate della sinistra in panciolle. Ma non di un centro qualsiasi, non di una rotonda di periferia con il cartello del ferramenta sponsor. Qui si parla del centro cattolico, quello dei valori negoziabili (il «non» appartiene ormai alla destra), quello che «riempie di contenuti moderati il campo progressista» come sostiene l’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. In sintesi, quel centro vitale che dovrebbe innervare il Pd per fargli vincere le prossime elezioni.

Detto così, sembra che stiamo parlando di un esercito di voti perché l’area è percepita come culturalmente pregnante, straripante di “società civile” e di “bene comune”. Tutto ciò anche se da 30 anni, nelle urne, si rivela un’Area 51, più desertica di quella del Nevada, dove gli elettori vengono avvistati come gli Ufo. E ha ragione un altro campione del centro-campo, Gianfranco Rotondi, ad ammonire: «Il centro dei sette nani non esiste. Di federazioni o cose del genere ne abbiamo fatte dieci negli anni e la cifra elettorale è sempre stata preceduta da uno zero e da una virgola».

In casa dem ci riprovano, la sindrome da centro della Terra è sempre in agguato. Con due obiettivi: un campo larghissimo in vista delle elezioni Regionali d’autunno (si vota in Toscana, Campania, Veneto, Marche, Puglia, Valle D’Aosta) e le prove generali per l’assalto a Palazzo Chigi alle Politiche del 2027. Poiché al Nazareno l’area cattodem presidiata da Dario Franceschini e Graziano Delrio è consapevole che la gestione gruppettara di Elly Schlein ha creato macerie al centro, ecco che cento fiori spuntano per attirare l’elettore in arrivo dalla parrocchia. Il più lesto ad annusare l’odore di braciole è stato come al solito Matteo Renzi, nato mangiapreti ma disposto – pur di schiodarsi dal 2 per cento – a organizzare la prossima Leopolda anche in Santa Maria Novella.

«È finita la fase zen, solo con i moderati si vince e chi occupa il centro prende tutto». Poi il mini-ayatollah specialista nel passaggio dal riformismo al trasformismo arriva a parafrasare Alcide De Gasperi: «Quando il centro guarda a sinistra, i numeri non sono più quelli che ci si immagina. Italia Viva è a disposizione per una cosa più grande». L’ex premier che faceva coprire le statue dei Musei Capitolini per non urtare la suscettibilità del presidente iraniano Hassan Rouhani, improvvisamente adora le sacrestie. E guarda con vivo interesse quella che l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, sta costruendo come un presepe.

Prodiano di ferro, quest’ultimo ha ribadito che intende unire i riformisti che non si riconoscono nel Pd, per poi allearsi col Pd. Così ha varato i comitati Più Uno. Che non è un premio fedeltà dell’Esselunga ma un aggregatore «per la politica dell’uguaglianza». L’intento è costruire gruppi nelle 110 province italiane. «Ripartiamo ascoltando le persone perché i cittadini sono molti più dei partiti. Io sono cresciuto nei comitati per l’Ulivo, mi riconosco in un centrosinistra che non si arrende all’idea che il Paese dove siamo nati e cresciuti debba tagliare le sue radici, mortificare la sua creatività».

Non è l’unico a volersi parcheggiare all’ombra del campanile. Nei giorni scorsi a Roma, nella sala stampa della Camera, è sfilata una nuova rete civica con l’obiettivo – ma guarda un po’ – di colmare lo spazio al centro. Obiettivo non propriamente originale, ma Rete Civica Solidale ha un plus cattolico di lungo corso, l’ex direttore di Avvenire Tarquinio, oggi eurodeputato piddino indipendente, che ha presentato la creatura con il parlamentare Paolo Ciani (Pd – Demos) e l’assessora al Sociale di Roma Barbara Funari (Demos).

Tutti sotto il grande ombrello della Comunità di Sant’Egidio, che da decenni li rappresenta. Tutti legatissimi ad Andrea Riccardi, vero deus ex machina dell’iniziativa che mira a diventare la stampella pacifista certificata del Nazareno. Con la benedizione solenne del presidente della Cei, cardinal Matteo Zuppi, nume tutelare della sinistra vaticana. Spiega Tarquinio: «Questa è una rete che nasce dall’unione di esperienze politiche e amministrative, non da una scissione. È un luogo aperto in una posizione certa, il centrosinistra».

E siamo a tre. Ad ascoltarlo, non a caso, c’erano i referenti delle Coop bianche (soprattutto Angelo Chiorazzo, vicepresidente regionale della Basilicata) e la marescialla di Renzi, Maria Elena Boschi.

Il quarto centrino spuntato con i temporali di luglio è si chiama Viva Roma sempre e fin dal nome si intuisce che è meno pio. È una civica da declinare con la città di riferimento (Viva Milano sempre, Viva Firenze sempre e così via), guidata dall’assessore al Turismo capitolino Alessandro Onorato e si rivolge al mondo delle imprese, dello sport, dei giovani senza bussola. Dietro ci sono la lista civica di Roberto Gualtieri, quella di Beppe Sala, il guru della sinistra Goffredo Bettini, qualche riformista post-renziano, insomma quella parte di Pd che vede Schlein come una fattucchiera da centro sociale. Sottolinea Onorato: «Le più grandi città italiane sono governate da una coalizione di centrosinistra dove l’esperienza civica è decisiva. Tutto questo è un patrimonio da non disperdere, anzi da aggregare». Musica di Achille Lauro, sipario.

Non ce n’eravamo accorti, ma è in atto la clonazione politica. Perché a osservare meglio i movimenti di truppe (un tempo mastellate) si scopre che liste, associazioni, reti, che confluiscono al centro arrivando da sinistra formano un ingorgo in tangenziale.

Come dimenticare Libertà Eguale? Si definisce la casa di liberal-democratici e socialisti, vuole contribuire al «processo di innovazione politica del Pd» ma è incarnata da grisaglie della sinistra postmarxista: Enrico Morando, Stefano Ceccanti, Claudio Petruccioli, Gianni Cervetti, Irene Tinagli. E come non illuminare con i riflettori Comunità democratica? È la creatura di Delrio e Pierluigi Castagnetti, nasce dentro il Pd, di fatto è una lista civetta che rielabora l’appello «ai liberi e forti» di don Luigi Sturzo, alla tonaca del quale non c’è centrino che non si aggrappi con gli artigli nella speranza di intenerire suore e sacrestani.

I nomi della Cosa si somigliano tutti, sono tutti mattarelliani, hanno l’obiettivo di sostituire la Margherita e sono colorati di rosso, con qualche tonalità rosè. L’ultimo vagito arriva da Trieste, dove si è costituita appunto La rete di Trieste per concretizzare la Settimana Sociale cattolica che si tiene ogni anno nella città giuliana. La rete raccoglie 400 amministratori locali «di ispirazione cristiana, per provare dal basso ad aprire spiragli di dialogo» ed è gettata in mare dal vicepresidente regionale del Friuli Venezia Giulia, Francesco Russo. Alla presentazione a Roma c’erano i soliti noti di area: Giuseppe Notarstefano (Azione Cattolica), Paola Binetti (evergreen) e i già citati Ruffini e Ciani in visita di cortesia, nell’intento di lanciare un’Opa al profumo d’incenso.

In attesa di litigare col Pd su aborto, suicidio assistito, utero in affitto, cambio di sesso dei minori, guerre assortite, diritti dei lavoratori, Nato, Gaza, passato bolscevico dei compagni di banco, i centrini si illuminano di «democrazia, diritti, generosità, popolo» per tirare Ferragosto. Esattamente come i loro predecessori che costruivano barchette di carta presentandole come corazzate. Ci provò Bruno Tabacci con il Centro democratico. Ci provarono Mastella, Francesco Rutelli, Totò Cuffaro e pure Giuseppe Conte tre anni fa, quando partecipava ai convegni vescovili organizzati da Leonardo Becchetti e non aveva ancora infilato Beppe Grillo in un parallelepipedo di cemento.

Il tentativo più bizzarro fu quello di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, passate da Silvio Berlusconi a Carlo Calenda. Per poi entrare in Noi Moderati, area centrodestra. Fu allora che Calenda sbottò con la finezza che lo contraddistingue: «La parola centro mi fa schifo». Non aveva ancora capito che, essendo un’entità liquida, non conosce argini.

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Panorama

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