L’estrema destra tedesca è un pericolo anche per l’Europa

  • Postato il 14 gennaio 2025
  • Di Il Foglio
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L’estrema destra tedesca è un pericolo anche per l’Europa

Al direttore - Avvicinandosi la fine della guerra, Thomas Mann, nel “Doctor Faustus”, scriveva: “Tutto muove e precipita verso la fine, il mondo sta sotto il segno della fine, almeno per noi tedeschi la cui storia millenaria, smentita, portata ad absurdum, sciaguratamente fallita e resa manifestamente erronea dal suo esito, termina nel nulla, nella disperazione, in una bancarotta senza precedenti, in una discesa all’inferno circondata da una ridda di fiamme assordanti. La spessa parete di quella camera delle torture in cui un potere indegno ha trasformato la Germania è crollata e la nostra vergogna è svelata agli occhi del mondo. E’ forse pura ipocondria dire a se stessi che ogni aspetto del carattere tedesco, anche la cultura tedesca, il pensiero tedesco e la parola tedesca sono stati colpiti e messi profondamente in discussione da questa infamante messa a nudo? Siano maledetti, maledetti quei portatori di distruzione che hanno iscritto alla scuola del male una specie umana in origine onesta, piena di senso della giustizia, solo un po’ troppo studiosa. Un po’ troppo incline a vivere di teorie! Ci furono anni in cui noi, figli del carcere, sognammo un anno di giubilo – il Fidelio, la Nona Sinfonia – per festeggiare il giorno della liberazione della Germania, della sua liberazione da se stessa. Adesso solo  ‘l’Apocalypsis cum Figuris’ il frutto del patto diabolico di Adrian Leverkühn può esserci utile, solo quest’opera può sgorgarci come un canto dell’anima, il lamento del figlio dell’inferno, il più spaventoso lamento dell’uomo e di Dio che mai sia stato intonato su questa terra, un lamento che muove dall’individuo e si dispiega sempre più fino ad abbracciare per così dire l’intero cosmo”. Il disperato sconforto di Thomas Mann è di 80 anni fa. Oggi leggo con raccapriccio dei successi di AfD e con incredulità del sostegno ad Alice Weidel da parte di Musk, e di leader di paesi che sacrificarono i loro figli per liberare il mondo dal nazismo.
Franco Debenedetti

 

Vuole l’uscita della Germania dalla Nato. Vuole l’uscita della Germania dall’Unione europea. Vuole riaprire il gasdotto Nord Stream. Vuole ristabilire i rapporti con la Russia a prescindere dal destino dell’Ucraina. Le destre di tutta Europa, non solo quelle tedesche, dovrebbero trovare un modo, quando sarà necessario, per spiegare perché l’estrema destra tedesca è un pericolo non solo per la Germania ma anche per l’Europa. Chissà se anche in Italia qualcuno troverà il tempo di farlo. 


Al direttore - Fanno rabbrividire le vicende raccolte da Ermes Antonucci nel suo resoconto di fine anno sulla malagiustizia. Una carrellata di nomi, date e numeri che riassumono altrettante storie di vite rovinate, e che ci ricordano per l’ennesima volta che “non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e con i colori della giustizia” (Montesquieu, “Lo spirito delle leggi”, 1748). Che questo 2025 possa essere un anno migliore, sia per le vittime che per chi ancora spera di vedere realizzato il proprio desiderio di vivere in un’Italia veramente garantista.
Giorgio Felici

Al direttore - La recente polemica sollevata dalla Cgil in tema di pensioni è un concentrato di ignoranza, malafede, bieca strumentalizzazione e complicità. L’Inps è stato accusato di cambiare – spostandoli in avanti nei propri applicativi – i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata. In sostanza dal 1° gennaio del 2027 sarebbero serviti 43 anni e un mese di contributi; dal 2029, poi, il requisito sarebbe aumentato ulteriormente a 43 anni e 3 mesi. Stesso destino per le pensioni di vecchiaia, con l’età minima che sarebbe passato da 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029. L’accusa, rilanciata in pompa magna da alcuni quotidiani, aveva suscitato un mare di polemiche con ricadute in sede parlamentare tanto da indurre il governo – nella sua componente leghista – a dissociarsi attribuendo allo stesso Inps la responsabilità dell’incidente. L’Istituto – anziché chiarire la questione (ammesso e non concesso che ne sarebbero state comprese le motivazioni) – aveva rimosso dal sito la pietra dello scandalo, dando così modo alla Cgil di vantarsi della denuncia. Nessuno si è preso la briga di spiegare come stavano effettivamente le cose, trattandosi di procedure consuete che dovrebbero essere a conoscenza dei sindacalisti, degli operatori dei patronati e dei giornalisti che si occupano di pensioni. In breve, una tempesta in un bicchiere d’acqua, sia pure in una materia abbastanza complicata, tanto da lasciare il dubbio che neppure il ministero si fosse reso conto delle conseguenze di quanto aveva disposto nelle leggi di bilancio. Vediamo di riavvolgere la moviola al 2010, quando il governo Berlusconi introdusse un meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile agli incrementi dell’attesa di vita. Nella riforma Fornero il meccanismo fu esteso anche al requisito dell’anzianità contributiva necessario ad andare in quiescenza anticipata a prescindere dall’età anagrafica. Ovviamente gli adeguamenti non sono mai stai delegati all’Inps: spettava all’Istat accertare l’incremento dell’aspettativa nel periodo di un triennio (poi ridotto a un biennio); al ministero di certificarlo emanando le relative disposizioni all’Inps. Con dl n. 4 del 2019, il governo gialloverde si spartì le materie: il RdC al M5s, le pensioni alla Lega. Il partito di Salvini aveva un solo interesse: tutelare il più possibile il pensionamento anticipato col pretesto del turnover anziani/giovani. Venne disposta, per la durata del triennio 2019-2021 l’uscita tramite quota 100 (62 anni di età e 38 di contribuzione) che si prese la scena del dibattito, mentre rimase defilata un’altra misura ben più insidiosa e onerosa: il blocco fino a tutto il 2026 dei requisiti del pensionamento anticipato al livello a cui erano nel frattempo arrivati, 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne. In questo quadro legislativo l’Inps ha tracciato le simulazioni rivolte – anche ai fini informativi per i lavoratori interessati – a definire quali fossero, col passare degli anni e il procedere dell’adeguamento dei requisiti – il momento della maturazione della pensione per le coorti di futuri pensionandi. La demografia è quasi una scienza esatta, ma negli anni a venire gli effetti dell’aggancio all’attesa di vita sono necessariamente presunti: ed è per questo motivo che sono previste periodiche procedure di accertamento e di certificazione che dipendono da diverse istituzioni (Istat, ministero, Inps) ciascuna nell’ambito delle sue funzioni. Come poteva regolarsi l’Inps nel definire le simulazioni: lasciare inalterati i requisiti per il pensionamento anticipato (non per la vecchiaia che ha raggiunto i 67 anni nell’indifferenza generale) fino a tutto il 2026, ma tenere conto del fatto che dal 1° gennaio 2027 sarebbe ripartito l’adeguamento automatico e che, a sua volta, sarebbe stato aggiornato dal 1° gennaio 2029. Tutto ciò a legislazione invariata. Nel frattempo però, l’attuale governo in un conato di riformismo (inconsapevole?) ha anticipato dal 2027 al 2025 il rientro del meccanismo dell’adeguamento automatico. Che cosa succede allora – a blocco scaduto – nel 2025 e nel 2026? Corre voce che non vi sia un’apprezzabile variazione dell’attesa di vita (effetto del Covid?) tale da giustificare una revisione dei requisiti prima del 2027. Anche in questo caso, però,sarebbe occorso un decreto (non pervenuto) del governo che attestasse l’invarianza. In tutta questa confusa vicenda c’è un elemento di continuità: Claudio Durigon, nel ruolo di sottosegretario con delega alle pensioni in due governi differenti ha gestito sia il blocco che la sua fine. E sicuramente saprà che la sterilizzazione degli effetti economici di una norma richiede la copertura finanziaria.
Giuliano Cazzola
 

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Il Foglio

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