Leone XIV rilancia l’unità del cristianesimo con “In unitate fidei”
- Postato il 24 novembre 2025
- Di Panorama
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Leone XIV comincia a rivelare la propria identità. Dopo mesi di riservatezza, pian piano il Papa sta indicando la direzione del suo magistero, senza venir meno alla sua proverbiale pacatezza. La rotta l’ha indicata domenica 23 novembre, presentando la lettera apostolica In unitate fidei, che traccia con chiarezza l’orizzonte del suo pontificato. Il momento non è casuale: tra pochi giorni, dal 27 novembre al 2 dicembre, il Pontefice si recherà in Turchia, con una tappa di forte valore simbolico a İznik, l’antica Nicea, dove nel 325 si tenne il primo Concilio Ecumenico.
“Il Concilio di Nicea non è solo un evento del passato, ma una bussola che deve continuare a guidarci verso la piena unità visibile dei cristiani”. Queste le parole di Leone XIV il 7 giugno scorso al Simposio Ecumenico, anticipando un concetto fondamentale espresso nel testo magisteriale di In unitate fidei.
Riscoprire il cristianesimo come speranza
L’apertura della Lettera va subito al cuore: richiamare la Chiesa a custodire con amore il dono della fede, espresso nel Credo di Nicea. “Crediamo in Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza”. Non è un richiamo a una formula del passato, ma la sorgente da cui deve nascere ogni rinnovamento.
Il Papa collega il documento all’Anno Santo della Speranza, invitando a un “rinnovato slancio nella professione della fede” in un tempo segnato da guerre, disastri naturali e ingiustizie. Il Credo diventa così non solo un richiamo dottrinale, ma una parola viva che genera speranza. Ritornare alla fede nicena è dunque la strada comune per superare divisioni che oggi appaiono meno insormontabili di un tempo.
Uno specchio per il presente
Leone XIV ricostruisce con precisione storica la crisi che portò al Concilio di Nicea. Ario negava la piena divinità del Figlio, causando una frattura che minacciava non solo l’unità della Chiesa, ma anche quella dell’Impero romano. L’imperatore Costantino convocò i vescovi proprio per sanare questa divisione.
Il parallelo con il mondo attuale è evidente: come allora, le divisioni dottrinali e le incomprensioni tra cristiani rappresentano una ferita che indebolisce la testimonianza del Vangelo. Il Papa aveva già evidenziato questo rischio parlando delle differenze nei calendari liturgici, che “dividono le famiglie e indeboliscono la credibilità” della Chiesa. La storia, dunque, diventa chiave interpretativa del presente.
La centralità di Cristo
Il cuore della Lettera è una catechesi cristologica. Il Papa spiega che i Padri di Nicea professarono che il Figlio è “generato, non creato, della stessa sostanza (homooúsios) del Padre”. L’uso di termini filosofici non fu, come alcuni sostengono, un tradimento del Vangelo, ma il modo più preciso per difendere la fede biblica dalle contaminazioni dottrinali.
Leone XIV sottolinea poi la dimensione soteriologica, citando sant’Atanasio: “Non divenne Dio da uomo che era, ma da Dio che era divenne uomo per poterci divinizzare”. La divinizzazione – tema centrale nella spiritualità orientale – viene presentata come la vera umanizzazione dell’essere umano. È un ponte teologico diretto verso il mondo ortodosso, che riconosce in questo insegnamento uno dei cardini della propria tradizione. Non a caso, il Papa aveva definito Nicea “il Concilio per eccellenza” per l’Oriente.
Il sensus fidei del popolo di Dio
La Lettera descrive in modo dettagliato le tensioni che seguirono al Concilio. Per anni gli ariani ebbero l’appoggio imperiale e la Chiesa attraversò una vera “notte ecclesiale”. Il passaggio più forte è la citazione di sant’Ilario: “Le orecchie del popolo sono più sante dei cuori dei sacerdoti”. Fu la fede semplice del popolo, il suo sensus fidei, a custodire l’ortodossia quando molti pastori vacillavano.
Anche questo è un messaggio per il mondo odierno: l’unità della Chiesa non dipende anzitutto dalle strategie istituzionali, ma dalla fedeltà del popolo al cuore del Vangelo. È lo stesso spirito con cui il Papa aveva invitato i partecipanti al Simposio a “pregare insieme implorando dallo Spirito il dono dell’unità”.
Un ecumenismo orientato al futuro
Nell’ultimo passaggio della Lettera, Leone XIV afferma che “quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide”. Il Papa esclude due vie: l’ecumenismo del ritorno, dove gli altri dovrebbero semplicemente rientrare in una forma preesistente, e l’accettazione passiva dello status quo. Propone invece un ecumenismo orientato al futuro, fondato su riconciliazione, scambio di doni, preghiera comune e ascolto reciproco.
Il Credo niceno diventa così la base per sviluppare forme nuove di sinodalità ecumenica: non un metodo solo cattolico, ma uno stile di vita cristiana che richiede il contributo di tutte le Chiese. L’unità sarà frutto non di strategie, ma di cammini condivisi e di conversione comune allo Spirito Santo.
La rotta del pontificato
In unitate fidei traccia con chiarezza la visione che guiderà Leone XIV. Al centro c’è Nicea come fondamento dell’identità cristiana: la fede nel Figlio consostanziale al Padre non è un retaggio storico, ma la sorgente attiva di ogni rinnovamento. Accanto alla dottrina, il Papa pone la sinodalità come stile universale e il Credo come motore della missione: una fede che si fa carne nella carità, nella prossimità ai poveri, nella ricerca della pace.
Il viaggio a İznik assume così un significato preciso: non un mero omaggio archeologico, ma un gesto sostanzialmente teologico. Andare a Nicea significa tornare alle radici per costruire il futuro, ripartire da ciò che unisce per affrontare ciò che divide. Sedici secoli dopo, il Papa torna nel luogo dove la Chiesa professò la sua fede con una voce sola, per rilanciare quella stessa chiamata all’unità di cui il cristianesimo ha oggi più che mai bisogno.