Leone XIV, il cambio rotta sulle Ong
- Postato il 14 giugno 2025
- Di Panorama
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Pur con la mitezza della carità cristiana, al 50 di via della Circonvallazione Aurelia a Roma non l’hanno presa benissimo: l’amico di Papa Bergoglio è a giudizio perché – questa è l’accusa – si faceva dare i soldi per salvare i migranti. Per la Conferenza episcopale che il cardinale di Bologna Matteo Maria Zuppi guida verso l’accoglienza se e senza ma – spendendo molti quattrini dello Stato e dei fedeli – non è un buon viatico nell’era di Leone XIV sapere che Luca Casarini – il leader della Ong Mediterranea Saving Humans – andrà alla sbarra dopo essere stato ricevuto e benedetto con tutti gli onori da Francesco.
Il caso è noto: la Mare Jonio, la nave di Casarini, aveva preso a bordo 25 migranti nel settembre 2020 che erano stati raccolti dalla portacontainer Maersk Etienne e poi li aveva fatti sbarcare a Pozzallo. Un mese dopo Idra Social Shipping, che è l’armatore della Mare Jonio, aveva ricevuto una «donazione» di 125 mila euro dalla Maersk stessa. Casarini – con lui alla sbarra vanno altre cinque persone – si è inalberato: «È un processo ai soccorsi». Al Tribunale di Ragusa il dibattimento è fissato per fine ottobre e nelle ovattate stanze dalla Curia ci si chiede se il cardinale di Bologna per allora sarà ancora al suo posto. Perché sui migranti, a quel che pare, Leone XIV vuol cambiare rotta. Un esempio – neppure troppo velato – è la nomina che papa Prevost ha fatto dopo una settimana dall’esser salito al soglio di Pietro. Ha creato inviato speciale – come avrebbero detto i Blues Brothers è uno che sta in missione per conto del vicario di Cristo e solo a lui riferisce – il cardinale guineiano Robert Sarah, forse la massima autorità morale della Chiesa africana, conservatore che più volte ha contestato Bergoglio. E che sui migranti ha idee molto distanti da quelle di Zuppi: «Se esiste il diritto di migrare» sostiene il cardinale guineiano «c’è un diritto ancor più forte di restare per non impoverire l’Africa».
In Polonia, dove partecipava a un raduno di Pax Christi nel Paese che ha eletto presidente Karol Nawrocki e ha posizioni nette contro l’Ue e la «retorica» dei migranti ha ribadito: «Ogni nazione ha il diritto di distinguere tra i rifugiati e i migranti economici che non condividono la cultura di quella nazione». Si capisce che dalla cabina di comando del Vaticano sono arrivati precisi segnali.
Per quanto riguarda Matteo Maria Zuppi sono immediatamente incidenti, ma aprono a possibili cambiamenti alla Segreteria di Stato. Il presidente della Cei era stato incaricato da Francesco come inviato papale della missione speciale in Ucraina e in Russia. A spingere Zuppi verso questo incarico furono due condizioni: la sua vicinanza con il cardinale Pietro Parolin, attuale segretario di Stato ed esponente del cosiddetto gruppo di Villa Nazareth (dove ha studiato anche Giuseppe Conte), forgiato dal cardinale Achille Silvestrini, l’uomo del dialogo con l’Islam e il comunismo, ma anche dei rapporti difficili con gli ortodossi. La seconda «condizione» di Zuppi è il suo essere integrale difensore della Comunità di Sant’Egidio dove Andrea Riccardi – è stato attivissimo per tutto il conclave cercando di sponsorizzare il suo candidato – aveva costituito il salotto buono di Bergoglio contando sul fascino delle Ong.
Così si spiega anche l’irritazione del presidente della Cei perché il governo ha ritoccato l’8 per mille. La riforma fu varata dall’esecutivo «Conte 2», e firmata da Pd e M5s, prevede che, oltre all’opzione di destinazione dell’8 per mille alla Chiesa, si possa donare per altre opere. Il governo Meloni ha aggiunto anche la possibilità di «finanziare» le comunità di recupero per tossicodipendenti, peraltro in gran parte gestite da organizzazioni cattoliche. Nel celebrare i 40 anni dell’8 per mille che ha sostituito la «decima» che lo Stato versava come paga ai sacerdoti, Zuppi ha tuonato: «Come Cei siamo delusi della decisione del governo di modificare unilateralmente le modalità di attribuzione dell’8 per mille». Consapevole il cardinal Zuppi che a rischio sono i soldi che con tanta generosità la Cei ha destinato, durante il pontificato di Bergoglio, alle Ong che si occupano di migranti.
Se si vanno a vedere i conti – gli ultimi pubblicati sono quelli relativi al 2023 – su un miliardo e 44 milioni di euro che la Chiesa riceve dallo Stato italiano 389 milioni vanno al sostentamento del clero, 380 milioni alle esigenze di culto e 277 alle opere caritatevoli, ma l’80 per cento di questi soldi è destinato alle Ong che operano nei salvataggi dei migranti. Al punto che due diocesi hanno integrato versando altri 200 mila euro a Casarini e che l’organizzazione cattolica Migrantes – don Mattia Ferrari, cappellano dell’associazione di promozione sociale Mediterranea Saving Humans ne è l’animatore – a spese della Cei e delle diocesi ha messo in mare due unità d’appoggio della Mare Jonio, la nave di Casarini finita sotto processo.
Ce n’è abbastanza perché in circonvallazione Aurelia si agitino. In fibrillazione è però tutto il fronte progressista della Chiesa italiana perché ha capito che dal palazzo apostolico dove Robert Francis Prevost è tornato a vivere – da indiscrezioni si è saputo che la scelta di Francesco di abitare a Santa Marta per far vedere che contestava l’opulenza vaticana in realtà ha significato un aggravio di spesa di 200 mila euro all’anno rispetto al costo di gestione dell’appartamento papale – spira un forte spirito di cambiamento.
Per chi secolarizzando la Chiesa ha incassato offerte – Casarini era considerato amico fraterno di Francesco e non gli sono mai stati negati aiuti e così tutto il variegato mondo delle cooperative, delle Ong impegnate sul fronte migranti – o costruito relazioni politiche di grande prestigio – è il caso di Andrea Riccardi – obbedendo alla trinità del vecchio pontefice: pace, poveri e ambiente. O per chi lo faceva in Curia, come l’arcivescovo Edgar Peña Parra, il cardinale Kevin Farrell, diventato il plenipotenziario economico del Vaticano, don Marco Pozza che gestiva la comunicazione confidenziale di Bergoglio – era il grande orecchio di Francesco – sono tempi di «riflessione» come s’usa dire nelle sacrestie.
Oggi oltre le mura leonine l’interrogativo più consistente è quello che riguarda il futuro della Segreteria di Stato. Leone XIV ha (per ora) confermato piena fiducia al cardinale Parolin, ma è anche vero che Prevost pare avere una sua «linea» diplomatica. Il primo vertice – il giorno della sua intronizzazione – ha segnato con l’udienza concessa al vicepresidente americano JD Vance un riavvicinamento con la Casa Bianca, nell’incontro con i leader religiosi il 19 maggio scorso ha ribadito la volontà ecumenica, ma anche la centralità cattolica, ha avviato un rapido riavvicinamento con il rabbinato attraverso la citazione della Nostra aetate – uno dei documenti perno del Concilio Vaticano II – ed egualmente ha fatto con gli ortodossi, avendo constatato che la sua offerta del Vaticano come sede per il dialogo Russia-Ucraina incontrava proprio nella sotterranea ostilità di Kirill III – il patriarca di Mosca – forse il maggiore degli ostacoli.
Per questo al fianco di Leone XIV compare sempre più spesso Antons Prikulis, un monsignore che viene dalla Lettonia, «interprete» di Prevost in ucraino, in russo e in polacco. C’era lui quando il Papa ha incontrato Volodymyr Zelensky. Così come in Segreteria di Stato emerge la figura dell’arcivescovo inglese Paul Richard Gallagher, che è il responsabile per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali. Non è un mistero che Leone XIV guarda molto di più a Occidente e l’origine anglosassone conta!
Ma il vero banco di prova è il rapporto con la Cina. Parolin è stato il tessitore degli accordi con Pechino, Prevost è molto attento al grido di dolore che si leva dal cardinale Joseph Zen Ze-kiun, che ha conosciuto le galere di Pechino e per adesso mantiene un dialogo aperto sia con il cardinale Luis Antonio Tagle – sino-filippino che era dato tra i sicuri papabili – sia con il primo cardinale di Singapore William Goh Seng Chye, ma pare avviato a riconsiderare il ruolo della Chiesa nell’Estremo oriente e soprattutto i rapporti con Xi Jinping. In fin dei conti il cambio di rotta prevede che qualcuno prima o poi sbarchi. Casarini docet.