Leone XIV a Beirut: una missione diplomatica decisiva che rafforza la pace nel Mediterraneo
- Postato il 2 dicembre 2025
- Di Panorama
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L’immagine più bella della giornata è il corteo di 15mila ragazzi che urlano, ballano, piangono mentre il Pontefice passa a Bkerké. Vengono anche da Siria e Iraq: Paesi che sanno cos’è la guerra meglio di chiunque altro, e cosa significa incontrare qualcuno che almeno prova a spegnerla. Leone XIV passa lento sulla papamobile e loro si attaccano a lui quasi come chi vede ossigeno dopo una lunga apnea.
L’arrivo del Papa è una festa, sì, ma esprime anche il dolore di una città ferita, forse a morte: Beirut non si illude più, martoriata da anni di guerre, pandemia, default dello Stato. Per una sera, comunque, il Libano ha tolto la benda dal volto e ha guardato in faccia un Pontefice in veste di “medico” che cerca di curare il malato.
Il dialogo con i giovani
Con i giovani, il Papa parla di futuro senza retorica: costruire «un mondo migliore di quello che avete trovato». Si può insomma vivere una vita più bella, senza guerra e paura. Ma non con le bandiere: con i gesti: «dall’accoglienza del vicino e del lontano, dalla mano tesa all’amico e al profugo, dal difficile ma doveroso perdono del nemico». In un Paese dove tutto è frattura, queste parole appaiono come un invito a guardare a un futuro che può essere radioso, e mettersi alle spalle un passato di povertà e conflitti.
La questione israeliana
Il palco interreligioso è il momento più politico della visita. Il vicepresidente del Consiglio islamico sciita, Ali El-Khatib, affonda le parole: «Siamo convinti della necessità dell’esistenza dello Stato, ma, in sua assenza, siamo stati costretti a difendere noi stessi resistendo all’occupante che ha invaso la nostra terra, e non siamo certo amanti delle armi, né del sacrificio dei nostri figli». E offre al Papa il dossier Libano come un paziente semi-agonizzante sul lettino: blocchi, occupazioni, guerra con Israele, confini che non respirano più: «Poniamo la questione del Libano nelle Sue mani, con tutte le Sue capacità a livello internazionale, affinché il mondo possa aiutare il nostro Paese a liberarsi dalle crisi accumulate, in primis l’aggressione israeliana e le sue conseguenze sul nostro Paese e sul nostro popolo».
Accanto a lui, il patriarca siro-ortodosso Ignazio Efraim II parla del «feroce nemico israeliano», mentre il mufti sunnita Darian ricorda il Patto di Medina: ebrei, cristiani e musulmani come un’unica nazione.
È un Medio Oriente spaccato che tenta una foto di famiglia.
Leone XIV in veste di diplomatico
Il Papa non si lascia intimidire e replica con grande sagacia diplomatica: «Talvolta l’umanità guarda al Medio Oriente con un senso di timore e scoraggiamento, di fronte a conflitti così complessi e di lunga data. Eppure, in mezzo a queste lotte si può trovare speranza e incoraggiamento quando ci concentriamo su ciò che ci unisce: la nostra comune umanità e la nostra fede in un Dio di amore e misericordia ». Ecco perché «paura, sfiducia e pregiudizio non hanno qui l’ultima parola. In una globalità sempre più interconnessa, siete chiamati a essere costruttori di pace, a contrastare l’intolleranza, superare la violenza e bandire l’esclusione».
Beirut, la capitale che sopravvive
Piazza dei Martiri è l’emblema della memoria nuda: qui correva la linea verde, il confine della guerra civile. Oggi non si spara più da un lato all’altro, ma la guerra è entrata dentro le case: banche crollate, default dello Stato, pandemia come martello, e poi l’esplosione del porto nel 2020 — 200 morti, 300mila senza casa. La “Svizzera d’Oriente” è un mito ormai sbiadito. Il celebre Hotel Saint George è ora un guscio vuoto.
Il Papa, poi, si trasferisce alla Nunziatura Apostolica, dove è stato organizzato un incontro privato con i capi delle comunità religiose musulmane e druse. Oggi ultimi appuntamenti a Beirut e poi il ritorno in Italia. Un primo viaggio apostolico che, nel complesso, è stato molto più politico che spirituale, nel tentativo di far capire che l’Occidente è vivo e vuole la pace. Resta l’immagine di una città a cui resta la speranza, e che ha accolto il Papa come si accoglie un bicchiere d’acqua nel deserto. L’immagine di un Libano che vuole rinascere partendo dalle radici cristiane.