“L’emotività elemento mancante della socializzazione maschile. I ragazzi sono nativi digitali, ma meno consapevoli dell’impatto dei messaggi online”
- Postato il 21 aprile 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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Da anni, negli angoli più oscuri di Internet, cresce indisturbato un mondo dove la maschilità si racconta attraverso rabbia, frustrazione e disprezzo per le donne. È la manosfera, un insieme di forum, podcast, influencer e account social accomunati da un’idea tossica: che siano gli uomini, e non le donne, le vere vittime di una società ingiustamente femminista secondo loro. Un universo virtuale che un tempo si muoveva ai margini del web, ma che oggi — complici gli algoritmi di piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok — arriva sempre più spesso davanti agli occhi di adolescenti in cerca di risposte.
Nel cuore di questa cultura troviamo figure come gli incel (involuntary celibates), i pick up artist, gli attivisti dei cosiddetti “diritti maschili” e personaggi come Andrew Tate, autoproclamato “re della mascolinità tossica”, che costruiscono consenso diffondendo un’idea di virilità aggressiva, dominatrice, in opposizione a ogni principio di uguaglianza.
È in questo contesto che si inserisce Adolescence, serie Netflix ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, che racconta la vicenda di Jamie, un ragazzo accusato di omicidio e violenza sessuale. La sua storia, come scrive lo stesso Thorne, non è solo il prodotto della manosfera, ma anche di un vuoto educativo: “Jamie non è semplicemente il prodotto della manosfera. È il prodotto di genitori che non hanno visto, una scuola a cui non è importato nulla e una mente che non l’ha fermato”. Per capire come e perché queste narrazioni attecchiscano, e cosa può essere fatto per contrastarle, ilfattoquotidiano.it ha intervistato la professoressa Raffaella Ferrero Camoletto, sociologa all’Università di Torino, esperta di processi di costruzione di genere, corpo e sessualità, che ha lavorato a lungo su giovani, affettività e sessualità.
La serie Netflix Adolescence propone un’immagine cruda della mascolinità giovanile: rabbiosa, fragile, incapace di esprimere emozioni. Secondo lei, quanto questo racconto riflette il malessere reale che vivono oggi molti adolescenti maschi?
Il fenomeno messo in scena nella serie Adolescence tocca una questione che ha una lunga storia, ovvero la socializzazione all’emotività come elemento mancante nella socializzazione maschile. Gli uomini sono socializzati alla repressione delle emozioni che possono esprimere fragilità – si pensi a frasi come “non fare la femminuccia”, “non piangere” – oppure sono socializzati a esprimere prevalentemente un certo tipo di emozioni, come l’aggressività, la determinazione, la padronanza delle emozioni, l’autocontrollo. Quindi manca, nella socializzazione maschile, una alfabetizzazione alle emozioni nella loro varietà.
E cosa ci dice questo disagio, antico ma sempre più presente tra i giovani, sulle trasformazioni attuali della mascolinità che spesso trovano espressione negli ambienti della manosfera?
Questo aspetto è forse aggravato, nella generazione degli attuali adolescenti, dalla mancanza di tessuto relazionale e dal prevalere di interazioni tecnomediate, ovvero attraverso i social media. Non si tratta ovviamente di negare che esiste un mondo relazionale e di interscambio tra adolescenti, ma di riconoscere che le forme di complicità maschile e di socializzazione tra pari si sono spostate da contesti come la strada, la scuola, i centri aggregativi, a spazi virtuali dei social media. Ed è qui che entra in gioco anche la manosfera. La serie Adolescence fa riferimento alla presenza di un vocabolario di riferimenti terminologici e di un immaginario tra gli adolescenti che è parte della cultura della manosfera: dal riferimento all’80/20 – quindi che l’80% delle donne guarda il 20% degli uomini – all’affermazione del protagonista di essere brutto e per questo di non avere nessuna chance, come nella legge LMS (Look, Money and Status) che viene veicolata dai Redpillati. Dal punto di vista sociologico uno degli aspetti interessanti della serie è proprio questo: l’idea che da una manosfera adulta ci sia un effetto di sgocciolamento, per cui certe immagini, un certo vocabolario, giungono anche agli adolescenti ed entrano a far parte del loro modo di leggere la realtà.
I forum della manosfera e i gruppi incel sembrano attrarre giovani uomini in cerca di risposte. Cosa li spinge lì? Solo solitudine o anche una crisi più ampia?
Il successo di spazi di complicità maschile come la manosfera certamente riflette elementi come quelli citati nella domanda: dalla crisi dei modelli educativi maschili all’assenza di un’educazione affettiva efficace. Mi verrebbe però da aggiungere che vi è una ragione più macro e strutturale: ovvero la trasformazione delle relazioni di genere e dei modelli di genere nella direzione di una maggiore agency e soggettività femminili. Questo è vissuto da molti uomini come una messa in crisi dei modelli a cui erano stati socializzati e di sistemi di privilegio a cui erano abituati.
La violenza contro le donne che viene espressa in ambienti come la manosfera, in cui la negazione del femminile si accompagna alla negazione del femminismo e le donne sono etichettate come “non persone”, si traduce spesso in una ipersessualizzazione e oggettificazione del corpo femminile. Ma quest’ultima è una strategia per “rimettere le donne al loro posto” e ha quindi a che fare più con le relazioni di genere che con la sessualità.
I social media – in particolare TikTok, Instagram, YouTube – sembrano amplificare questi messaggi. Come agiscono sulla percezione dei giovani?
È assolutamente centrale la circolazione di queste culture misogine attraverso canali tecnomediati, anche per le caratteristiche stesse di tali canali, come ad esempio l’effetto echo chamber, per cui si amplificano le opinioni maggioritarie e quindi si riproduce un ambiente sempre più omogeneo. A questo si può aggiungere la forma con cui questi messaggi vengono veicolati, che vanno dalle teorie pseudoscientifiche – come quella che ho menzionato sopra, la teoria LMS – a forme molto più semplificate, come appunto i meme, che attraverso un meccanismo come quello dell’ironia riescono però a legittimare l’espressione di contenuti d’odio.
I giovani d’oggi sono immersi in questi spazi virtuali e in queste tecnologie, sono nativi digitali, e proprio per questo forse sono molto attrezzati da un punto di vista tecnico – ad esempio in grado di produrre meme o di accedere a spazi criptati – ma meno consapevoli dell’impatto sociale che i messaggi fatti circolare possono generare.
In che modo il linguaggio e l’immaginario della manosfera possono contribuire a creare un terreno favorevole alla violenza contro le donne, fino ad arrivare ai femminicidi?
Il linguaggio della manosfera si caratterizza per essere esplicitamente misogino, con una de-umanizzazione e oggettivazione delle donne, ricondotte a “non persone” (usando spesso acronimi, in questo caso n.p.). Attraverso asserzioni pseudoscientifiche, si giustifica questa posizione sulla base di una presunta congenita ipergamia delle donne, ovvero la tendenza a cercare partner con un punteggio sulla scala LMS superiore al proprio, grazie al fatto che la risorsa di cui dispongono (il proprio corpo) è risorsa scarsa e ricercata.
Addirittura in alcuni gruppi della manosfera si sostiene che le donne dovrebbero pagare una vagin tax, in quanto dispongono di una risorsa molto richiesta e che spesso scelgono di non mettere a disposizione. Questa visione fortemente negativa del femminile può ingenerare un passaggio da discorsi d’odio ad altre forme di violenza di genere: certamente un ambiente come quello della manosfera – con differenze poi tra i vari gruppi che la compongono e quindi con posizioni più o meno radicali – costituisce un contesto di possibile maturazione e proliferazione di una cultura dello stupro.
Che tipo di risposta culturale, educativa e politica sarebbe necessaria oggi per prevenire il disagio maschile che alimenta queste comunità e per costruire una cultura affettiva e relazionale più sana?
Il punto di partenza potrebbe essere l’introduzione dell’educazione alle differenze di genere, all’affettività e alla sessualità come materia obbligatoria all’interno del sistema scolastico. In aggiunta, vi sono associazioni che promuovono percorsi educativi e di sensibilizzazione, soprattutto a partire da una condizione di omosocialità maschile, creando uno spazio di confronto tra uomini: per citarne alcuni, Il Cerchio degli Uomini a Torino, Maschile Plurale con varie ramificazioni nazionali, e realtà più recenti come Mica Macho.
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