Legge Ue per l’accessibilità digitale: ora anche le imprese devono adeguarsi. “Ma in Italia mancano le competenze”

  • Postato il 30 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il 28 giugno 2025 è entrato in vigore l’European Accessibility Act (EAA), recepito in Italia con il Decreto legislativo 82/2022: impone obblighi di accessibilità digitale anche alle imprese private con oltre 10 dipendenti e fatturato superiore a 2 milioni di euro. La normativa coinvolge siti web, app mobili, e-commerce, servizi bancari digitali e digitalizzazione dei trasporti. Le aziende devono garantire la compatibilità con tecnologie assistive, testi alternativi, navigazione da tastiera e contrasto visivo adeguato, al fine di rendere i servizi digitali fruibili anche da persone con disabilità. La novità riguarda sia i prodotti che i servizi digitali: in Italia, per i prodotti, il controllo spetta al ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT); mentre per i servizi, la vigilanza è affidata all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che ha elaborato delle linee guida, attualmente in consultazione pubblica, che mirano a garantire l’interoperabilità con le tecnologie assistive e l’inclusione digitale.

Tanto dalla normativa quanto dalle linee guida emergono delle criticità, individuate da Roberto Scano, esperto di accessibilità digitale internazionale. “Le linee guida in bozza sono di fatto una copia della normativa e danno indicazioni non sempre chiare, che, talvolta, contrastano con le reali esigenze delle persone con disabilità, creando ambiguità per chi deve applicare la normativa. Ad esempio, impongono regole che a breve saranno obsolete, considerando che ci sarebbe bisogno anche di valutazioni soggettive e di adeguarsi, caso per caso, alle singole disabilità che hanno esigenze diverse. Prendiamo, ad esempio, il caso dell’utilizzo dei colori: l’uso delle coppie di colori online avviene tramite un algoritmo per ottimizzare contrasto, leggibilità ed estetica, ma non si tiene conto spesso di specifiche disabilità che certe coppie di colori non le riconoscono”, spiega. Ecco che, in molti casi, certe indicazioni non sono sufficienti a soddisfare realmente ed efficacemente le necessità dell’utenza.

Anche la normativa può essere migliorata: “Di per sé sancisce una serie di principi che sono anche autoesplicativi ma che richiedono – per una garanzia di tutti – dei riferimenti tecnici condivisi e applicabili. Sul tema a livello europeo si stanno creando ben sei norme tecniche, alcune nuove e alcune in aggiornamento, perché solo con documenti stabili e condivisi chi deve implementare e chi verificare ha dei riferimenti oggettivi. E questo garantisce all’utente finale una migliore qualità del servizio”.

Ad oggi, il limite maggiore del nostro Paese è ancora di tipo culturale e riguarda la consapevolezza e la considerazione del concetto di accessibilità digitale, ancora poco familiare: “L’Italia non riesce ancora a vedere l’accessibilità digitale come opportunità di crescita e sviluppo e occasione per espandere il bacino di utenza, ma per le aziende e le persone resta qualcosa di superfluo, su cui fare il minimo indispensabile. La criticità più grande, secondo me, almeno in questa fase è proprio far capire il beneficio che può derivare dell’accessibilità digitale, per le persone e per le organizzazioni”, sostiene Roberto Scano, che individua nella formazione e nel poco supporto da parte dello Stato i tasselli mancanti per un reale cambio di passo: “per riuscire a far percepire e comunicare bene il valore dell’accessibilità serve la formazione del personale; ad esempio, nella pubblica amministrazione, che su questi temi è attivata prima, sono stati impiegati fondi PNRR per formare il personale, sia tecnici sia amministrativi, ma soprattutto il management. Nelle aziende, anche medio-grandi, non solo in Italia personalmente noto che mancano le competenze sull’accessibilità digitale e competenze essenziali per vendere in modo inclusivo, si sta iniziando a muovere qualcosa solo adesso. Tuttavia, in Italia lo Stato non ha mai previsto di erogare fondi da destinare alle aziende per la formazione su questi temi. Se vogliamo trovare un risvolto positivo, ma che lascia un po’ di amaro in bocca, è che gran parte anche delle soluzioni che sono accessibili in Italia sono sviluppate a livello internazionale; quindi, sono prodotti che hanno un mercato globale e molti miglioramenti in Italia si avranno anche in via indiretta, grazie ai prodotti che non nascono qui. Questo fa capire che bisogna lavorare sulle competenze dei professionisti del digitale, perché servono professionisti completi, con conoscenza del tema; non esperti di accessibilità che compensino la scarsa competenza in materia di altre persone, incrementando costi e tempi di sviluppo”.

Un ultimo, ma non meno importante, aspetto che segnala Scano è l’assenza di comunicazione realmente efficace in Italia per sollecitare le aziende a migliorare la propria accessibilità digitale. “Mi aspettavo che a livello nazionale si comunicasse meglio, magari attraverso una campagna governativa, che da qui in avanti le aziende dovranno soddisfare determinati criteri di accessibilità, ma non ci sono state iniziative di questo tipo e questo non aiuta di certo a comunicare adeguatamente il valore dell’accessibilità”.

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