L’economista Emanuele Felice: “Il capitalismo neoliberale è responsabile anche del collasso ecologico”

  • Postato il 24 giugno 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Non solo non ha portato vera crescita e benessere, mentre ha distrutto il clima e l’ambiente, ma, oggi è evidente, il capitalismo neoliberale privo di regole non ha giovato alla causa democratica. Anzi, ha facilitato l’avvento di regimi reazionari e perfino fascisti, come è sotto gli occhi di tutti in queste settimane. È l’accusa netta e forte contenuta nel libro dell’economista Emanuele Felice, Manifesto per un’altra economia e un’altra politica (Feltrinelli), professore ordinario di Storia economica presso lo IULM di Milano. “Altro che migliore dei mondi possibili”, afferma, “questo modello ha provocato la crescita incontrollata delle diseguaglianze, portando alla crisi delle nostre democrazie, e ha determinato un collasso ecologico e un amento della conflittualità che rischiano di condurci all’autodistruzione”.

Lei sostiene che il capitalismo neoliberale ha fallito sia sul piano politico che su quello economico.

Sì. L’ideologia neoliberale ci raccontava che con l’economia di mercato, e la conseguente ricchezza da questa generata e distribuita, la democrazia si sarebbe rafforzata ed estesa: invece negli ultimi quindici anni la Cina, pur continuando a crescere molto, non è progredita sulla via della democrazia, anzi è andata gravemente indietro; e gli Stati Uniti, che più di tutti in questi decenni hanno applicato le ricette neoliberali, stanno diventando un paese fascista. Il risultato è che oggi ci troviamo con un enorme potere economico e tecnologico non governato dalla politica democratica e non orientato all’etica dei diritti.

Quindi il neoliberalismo non ha difeso neanche i diritti umani?

Per nulla. Secondo la narrativa neo-liberale, il trionfo dei mercati era anche la via per una progressiva affermazione dei diritti umani. In concreto, però, all’ideologia neoliberale della democrazia e dei diritti non è mai importato granché, anzi li ha spesso considerati un ostacolo all’arricchimento economico di pochi. Da Pinochet in poi, il neo-liberalismo ha preferito una dittatura che facesse l’interesse dei poteri economici dominanti a una democrazia che redistribuisse la ricchezza. Peraltro, nei fatti, non è nemmeno vero che il neoliberismo promuova sempre il mercato e la concorrenza. Il neoliberismo storicamente realizzato, quello «reale» potremmo dire, è semplicemente a favore dei poteri economici dominanti, i quali non si rammaricano di calpestare la democrazia e l’ambiente, in nome del profitto, e schermandosi dietro la maschera della concorrenza. Che non c’è, perché i rapporti di potere, ben chiari, tendono piuttosto a posizioni di monopolio. Pensiamo a quello che è successo al mondo delle big tech negli ultimi 15 anni: dalla concorrenza si è passati a una crescente e preoccupante concentrazione, con la benevolenza complice della politica.

Le notizie di questi ultimi mesi confermano ciò che dice. L’Occidente liberale è diventato il suo contrario.

Stiamo assistendo al tracollo dell’Occidente e della sua ideologia universalista, sotto il macigno delle proprie contraddizioni. Se è giusta la condanna dell’attacco di Putin all’Ucraina, come io penso, come è possibile invece non condannare o addirittura sostenere quello che sta facendo il regime di Netanyahu? Come è possibile praticare un doppio standard morale così sfacciato, proprio sui diritti umani, il diritto internazionale e lo stato di diritto? Io penso che il pensiero universalista dell’Occidente orientato all’uguaglianza dei diritti, per tutte e per tutti, che risale all’Illuminismo, sia una conquista fondamentale dell’umanità e debba essere difeso a ogni costo. Ma c’è un solo modo per difenderlo: praticarlo con coerenza, a partire da noi stessi.

Chi è rimasto a difendere i diritti umani?

Alcuni organismi come la Corte Penale Internazionale, che ha condannato sia Putin sia Netanyahu. Non invece l’Occidente nel suo complesso, purtroppo: pensiamo al posizionamento del G7 rispetto alla guerra in corso fra Israele e Iran. Del resto, il G7 è ormai un organismo superato, tanto più se contrapposto ai Brics: ambedue questi organismi andrebbero sciolti, i Paesi aderenti dovrebbero concentrarsi sul G20, per affrontare insieme i grandi problemi dell’umanità, e sulle Nazioni Unite, da riformare e rafforzare. Più nello specifico, l’Occidente dovrebbe impegnarsi per creare un nuovo ordine globale, multilaterale, cercando un accordo con la Cina. Oggi invece siamo tornati a una visione muscolare nella quale, peraltro, della globalizzazione viene messo in discussione proprio l’aspetto che ha portato a maggiore crescita e benessere, cioè la libertà di commercio; non viene invece contestata la globalizzazione finanziaria, che è il vero punto critico che determina l’impotenza della politica democratica e per questa via favorisce le disuguaglianze crescenti e delegittima la democrazia liberale.

In che modo?

L’eccessiva mobilità del capitale, o peggio la speculazione finanziaria, ha impedito agli Stati nazionali occidentali di mettere in campo efficaci tassazioni progressive o anche solo di attuare politiche di investimento keynesiano, a debito; e quindi, ha impedito loro di attuare efficaci politiche sociali e industriali per compensare i ceti medi messi in difficoltà dalla globalizzazione commerciale, cioè per andare incontro alle giuste esigenze dei nostri cittadini, ed elettori, impoveriti. Quindi da un lato si è liberalizzato il commercio, cosa che in linea di massima ha consentito a oltre un miliardo di persone di uscire dalla povertà, nel sud del mondo; dall’altro con la liberalizzazione della finanza, avviata negli anni Ottanta e completata anche dalle forze di centro-sinistra negli anni Novanta, si è tolta agli Stati democratici la possibilità di intervenire per risolvere i problemi causati ai nostri cittadini dalla liberalizzazione del commercio.

Cosa dovremmo fare?

Oltre a un accordo con la Cina, serve la regolazione della finanza, vale a dire un nuovo sistema finanziario internazionale simile a quello di Bretton Woods messo in campo alla fine della Seconda guerra mondiale: volto a limitare i movimenti speculativi della finanza, a eliminare i paradisi fiscali, e a consentire quindi di attuare tassazioni progressive e investimenti anche con debito pubblico. Su queste basi sarà poi possibile attuare efficaci politiche ambientali e disinnescare, insieme, i teatri di guerra. IDovrebbe essere l’Unione Europea, assieme alle altre democrazie liberali dell’Occidente (Regno Unito, Canada, Australia), a farsi promotrice di questa intesa, fungendo da ponte fra Usa e Cina.

L'articolo L’economista Emanuele Felice: “Il capitalismo neoliberale è responsabile anche del collasso ecologico” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti