Le sanzioni a Mosca hanno funzionato, ma occhio al post-conflitto
- Postato il 27 febbraio 2025
- Economia
- Di Formiche
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È un po’ l’eterno dibattito: ma le sanzioni dell’Occidente contro la Russia hanno funzionato o no? Hanno fiaccato la sua economia o invece l’hanno semplicemente resa più resiliente? Nei giorni in cui l’Europa mette a terra il sedicesimo pacchetto di misure contro Mosca, mentre si fa sempre più consistente l’ipotesi di un’apertura dei negoziati per la pace con l’Ucraina, tali domande tornano ricorrenti. Ma per gli esperti del Center for strategic international studies (Csis) di Washington, non ci sono dubbi: le sanzioni hanno fatto il loro lavoro. Di più, hanno riscritto certi equilibri storici e sedimentati nell’ex Urss. D’altronde, che l’economia della Russia sia in affanno, è sotto gli occhi di tutti. Anche quelli del Cremlino.
“Negli ultimi tre anni, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dai loro alleati hanno inflitto notevoli danni economici alla Russia e costretto Mosca a ristrutturare la propria economia attorno alla produzione militare. È fondamentale riconoscere il profondo impatto di queste azioni, non solo come prova della loro efficacia, ma anche come un duro promemoria del fatto che l’economia russa di tre anni fa non esiste più”, si legge nel documento del Csis. “Le sanzioni hanno inequivocabilmente compromesso le capacità economiche della Russia, limitando la sua capacità di sostenere i suoi sforzi militari in Ucraina. Certo, nel 2022, il Pil russo ha subito una contrazione del 2,1% e, sebbene sia stato in grado di riprendere a crescere mentre la guerra si trascinava, questa crescita è stata il risultato del suo passaggio a un’economia di guerra basata sulla produzione (seguita dalla distruzione) di armi da guerra”.
“Personaggi chiave del governo russo, funzionari militari e oligarchi hanno dovuto affrontare congelamenti di asset e divieti di viaggio, limitando ulteriormente la manovrabilità economica della Russia. Tra questi asset congelati e l’impatto del tetto del prezzo del petrolio, l’Occidente ha già privato la Russia di oltre 500 miliardi di dollari che avrebbe potuto destinare al suo sforzo bellico. Oltre a ciò, le sanzioni e i controlli sulle esportazioni di prodotti degli Usa e dei suoi alleati hanno ridotto l’accesso della Russia a componenti di fondamentale importanza e le hanno fatto pagare costi fino a 10 volte i prezzi mondiali per gli input industriali chiave”.
Il discorso, però, si allarga al resto del mondo secondo gli esperti del Csis. Perché le stesse sanzioni hanno impattato, in modi diversi, sugli equilibri globali, accelerando “una notevole riorganizzazione dell’ordine economico internazionale, con la Russia che si è sempre più orientata verso la Repubblica Popolare Cinese, per esempio, per mitigare l’impatto dell’isolamento occidentale. Questa relazione in crescita ha visto il commercio bilaterale tra le due nazioni raggiungere livelli senza precedenti”.
Tanto basta a spingere l’Occidente stesso a guardare a dopo la fine della guerra. “Data questa realtà, ovvero la trasformazione dell’economia russa, la comunità internazionale si trova di fronte a una decisione cruciale su come interagire con l’ecosistema militarizzato della Russia nell’era post-conflitto. La revoca delle sanzioni senza garantire cambiamenti tangibili nella politica estera e nella postura militare della Russia potrebbe inavvertitamente accelerare la rinascita della sua forza armata. Un quadro strategico che condizioni la revoca delle sanzioni non solo alla cessazione delle ostilità, ma anche a riforme verificabili sarà essenziale per prevenire future aggressioni e garantire una stabilità duratura”.