Le regioni si difendano dai “mostri” della politica. L’opinione di Sterpa
- Postato il 28 agosto 2025
- Politica
- Di Formiche
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Sturzo insisteva sul fatto che le Regioni avrebbero dovuto essere libere autonomie nell’ambito della nazione. Dentro, insomma, ad un patto unitario, ma libere di essere diverse per scelte politiche sulla base della propria vocazione culturale e sociale.
Ancor più chiaro per i liberali che elessero il federalismo a metodo formale di governo anche per frenare l’accentramento del potere pubblico ne Il federalista negli Stati Uniti.
Libertà e diversità costituiscono un binomio indissolubile della dinamica delle autonomie territoriali nei confronti dello Stato: però non sono scontate e vanno difese per garantire il corretto funzionamento dell’impianto costituzionale.
In questi anni, nella difficoltà dovuta alle sempre più forti esigenze di accentramento statale – vere o strumentali che siano state, dalla pandemia al controllo della spesa pubblica – le Regioni si sono ben difese, mostrando dove e come possono fare meglio dello Stato: unite dalla rinnovata veste istituzionale della Conferenza dei Presidenti hanno prodotto uno scatto di classe dirigente e di politiche pubbliche (chi più, chi meno) che le ha tutelate più del diritto formale.
Ma può non bastare, c’è dell’altro.
Sì, perché c’è un piano della difesa della libera diversità regionale che passa per la credibilità della singola Regione e, quindi, dell’intero sistema delle autonomie: si chiama responsabilità e la sua gestione ha effetti sulla credibilità dell’ente, sia per i suoi cittadini che per lo Stato.
Chi non ricorda gli anni orribili delle spese folli dei gruppi dei Consigli regionali che resero necessarie, anche d’intesa con le Regioni, norme statali che impattarono sulla vita istituzionale regionale, tagliando monogruppi e seggi, regolando retribuzioni e pensioni, ma anche le spese ammissibili della politica. Fu un momento duro anche perché quelle vicende – già riprovevoli per l’etica pubblica – avvenivano mentre il Paese tirava la cinghia con il Governo Monti chiamato a salvare le finanze pubbliche alla fine del 2011.
Oggi si rischia una nuova caduta di credibilità delle Regioni, ma per responsabilità dei propri attori politici e non per scandali, più o meno tali, e inchieste più o meno fondate. Ma per mera sete di potere politico.
Lo ha ben detto il collega e amico Vincenzo Tondi della Mura (Quotidiano di Puglia, 23 agosto): la volontà di due ex Presidenti della Regione Puglia di candidarsi, dopo aver governato ognuno dieci anni, a consiglieri regionali per “garantire” gli interessi che legittimante rappresentano appare un attacco alla stessa logica della forma di governo regionale.
Tema simile, anche se il “mostro” sarebbe bi-cefalo e non a tre teste come in terra pugliese, il caso Veneto con Zaia che, bravo e apprezzato Presidente da tre mandati grazie ad un “legittimo trucco” normativo, potrebbe correre e farlo con la sua lista personale che, ricordiamolo, nel 2020 arrivò al 44,5% dei consensi.
Il tema, infatti, non è solamente la mancanza di ricambio e il rischio di una cristallizzazione della rappresentanza regionale e della vita democratica locale, come ha sottolineato di recente (ancora una volta) la Corte costituzionale nella sentenza che ha visto (prevedibilmente) soccombere la legge campana per il terzo mandato di De Luca. C’è di più.
La Regione, diversamente dallo Stato, non può adottare atti legislativi dell’esecutivo come accade con il Governo che ha decreti-legge e decreti-legislativi. E neppure esistono, salvo soluzioni solo parzialmente simili, istituti come quello della questione di fiducia. Il Consiglio è il centro forte della normazione, unico titolare della potestà legislativa quindi della realizzazione dell’indirizzo politico della maggioranza.
Cosa succederebbe se un gruppo di consiglieri (o più di uno) di stretta osservanza di un ex Presidente (con lui stessi in aula magari garanti della loro elezione) si mettessero a “fare blocco” su misure che la Giunta porta in aula anche, perché no, per modificare le politiche dei precedenti anni?
Si contraddirebbe di fatto il divieto dei tre mandati consecutivi ma, soprattutto, si indebolirebbe la forza dell’elettore che sceglie un Presidente direttamente come guida della Regione e il suo programma che si intende realizzabile per come esposto al momento delle elezioni e non sulla base di infinite trattative costantemente con lo sguardo rivolto al passato.
Sia chiaro, la legge n. 165 del 2004 non prevede e non vieta che l’ex Presidente non sia eleggibile a consigliere; ciò significa che nulla impedisce che sia la legge regionale a prevederlo.
L’art. 2 della norma quadro statale, infatti, dice espressamente che spetta alla Regione valutare la “sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati”; e dice anche che è possibile la “differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali”.
Questa volta, se un problema locale esiste, non serve chiedere norme statali: le Regioni possono farsi in autonomia ossia da sole le norme che ritengono adeguate, nei limiti del principio di ragionevolezza.
La costruzione di una classe dirigente regionale pronta al ricambio è una esigenza costituzionale, vitale per il sistema democratico, che è ben assecondata dal positivo circuito tra i diversi livelli di governo. Quanti ex Sindaci passano poi alla competizione regionale?
Molti, ed è un bene, sintomo del fatto che i Comuni restano un fruttuoso campo di costruzione della classe dirigente della Repubblica.
Oggi alcuni ex sindaci competono dopo essere stati intanto suffragati con un seggio al Parlamento europeo (Ricci nelle Marche, Decaro in Puglia e in Tridico Calabria e forse senza il secondo mandato Giani anche in Toscana sarebbe successa una cosa simile dove per il centrodestra corre infatti un sindaco e un sindaco ha vinto in Umbria pochi mesi fa).
Non si vedono parlamentari in lizza ma neppure impegnati a commentare queste vicende.
Il quadro sintetizzato potrebbe dirci che Sindaci e parlamentari europei sono gli unici, con i Governatori, che in questo Paese si sudano davvero l’elezione alla carica e che hanno consenso reale espresso in competizioni con voto diretto alla persona da parte degli elettori; non è un caso che le uniche voci critiche alla Segreteria del Pd vengano da parlamentari europei (Pina Picerno e Giorgio Gori) e siano poche le voci di quelli nazionali, alcuni dei quali appaiono troppo spesso in composta attesa della conferma in lista tra meno due anni. Non dissimile l’“effetto silenzio” in altre forze politiche anche di maggioranza ovviamente.
La classe politica comunale e regionale merita di essere aiutata a continuare a svolgere la decisiva funzione di creatore e contenitore di classe dirigente.
Per farlo deve essere sostenuta contro le logiche di cooptazione delle èlite che Pareto tanto condannava ricordandoci che se le èlite non hanno “circolazione” (ossia ricambio) il livello delle persone scende in qualità nell’intero sistema e a danno di tutti.
Potrebbe aiutare la politica nazionale – se solo i partiti politici non fossero troppo spesso la mera somma di potentati locali – impedendo che si creino queste candidature avversative sia di ex Presidenti che di Presidenti in carica che vogliono fare tre mandati. Ma non riescono nello scopo.
Soluzione più forte – che peraltro accrescerebbe la credibilità delle Regioni – sarebbe allora l’esercizio della l’autonomia regionale: una legge regionale per la libertà della politica da chi assume scelte che rischiano di non rispettare la forma di governo regionale scritta in Costituzione e – soprattutto – neppure gli elettori.
Si dirà: nessun governatore sosterrà una legge che lo escluda dalle imminenti elezioni. Certo, ma le leggi le approva il Consiglio regionale dove, insieme all’opposizione di certo interessata direttamente dal tema, potrebbero non mancare parti della maggioranza convinte di dover difendere la libertà del mandato politico regionale e del futuro Presidente. Oltre la credibilità dell’ente stesso e della sua classe dirigente.