Le frasi storiche, i successi, le imprese caraibiche, le maledizioni Sacchi e Cruijff: addio Don Leo Beenhakker, olandese concreto (e non è un ossimoro)

  • Postato il 11 aprile 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 3 Visualizzazioni

Don Leo è stato un eccellente conversatore e ha i diritti d’autore di un paio di definizioni entrate nella storia del calcio. È stato infatti l’allenatore olandese Leo Beenhakker, morto il 10 aprile 2025 all’età di 82 anni, a ribattezzare la Coppa dei Campioni “il trofeo dalle grandi orecchie” ed è stato ancora lui a parlare di “generazione chip e fast food” per definire i giocatori degli anni Ottanta, lanciati verso lo status di star. Don Leo, come fu ribattezzato in Spagna ai tempi del Real Madrid, con il quale vinse tre campionati di fila, cominciò la carriera in età precoce, risarcimento morale di quello che gli era stato negato da giocatore per un grave infortunio, neppure ventenne: aveva appena 25 anni e si ritrovò a ricoprire il ruolo di assistente nel Go Ahead Eagles.

In quasi mezzo secolo, capolinea l’esonero del 2009 dopo il biennio con la nazionale polacca, ha attraversato il calcio interpretando alla lettera la scuola olandese, ma inseguendo una maggior concretezza rispetto ai suoi illustri colleghi. “Il nostro football ha un problema di convivenza: cerca di essere sempre offensivo, ma litiga, spesso, con il risultato”. Don Leo ha guidato undici club e quattro nazionali. La storica qualificazione di Trinidad e Tobago al mondiale 2006 fu un’impresa storica che lo consegnò alla leggenda delle due isole caraibiche. Tobago, con la sua forma di sigaro, rappresentava bene l’essenza di Beenhakker, accanito fumatore. Nella sala dei trofei di Don Leo, troviamo tre campionati olandesi (due con l’Ajax, uno con il Feyenoord di cui fu grande tifoso essendo nato a Rotterdam), una Supercoppa dei Paesi Bassi (Feyenoord), tre campionati spagnoli, una Copa del Rey e due Supercoppe, tutti alla guida del Real, nel triennio 1986-1989.

La sua maledizione fu la “coppa dalle grandi orecchie”: il 5-0 incassato dal Real Madrid in semifinale, il 19 aprile 1989, di fronte al Milan di Arrigo Sacchi, infranse il sogno e chiude la sua avventura con i Blancos. Johann Cruijff fu l’altro tormento di Don Leo. Durante una partita contro il Twente, nel suo primo periodo all’Ajax (1979-1981), Cruijff, irritato dalla prestazione dei Lancieri, scese dagli spalti per raggiungere Beenhakker in panchina e gli consigliò di sostituire Tscheu-la Ling. Le fotografie di quell’episodio valgono più di mille parole: la sicurezza tracotante di Cruijff, lo stupore di Don Leo. Ling, per la cronaca, contribuì con un assist e due gol nella rimonta dell’Ajax da 1–3 a 5–3. “Avrei dovuto reagire in modo deciso – commentò un giorno Don Leo -, ma lasciai stare”.

Don Leo, come hanno ricordato Danny Blind e Jan Wouters, “era una persona socievole, sempre interessata alle vite dei giocatori, un allenatore che capiva cose che andavano oltre il calcio”. Non parlò mai di quello che accadde durante i mondiali del 1990. L’Olanda, nel 1988, aveva finalmente vinto un trofeo: l’Europeo di Germania, illuminata, nella finale contro l’URSS, dalla classe immensa di Marco Van Basten e dal gol iconico al volo da posizione quasi impossibile. Chiuso il mandato di Michels, si pose il problema del successore. La federazione, e lo stesso Michels, puntarono su Don Leo, reduce dai trionfi del Real. I giocatori volevano invece Cruijff, in particolare il trio milanista Gullit-Rijkaard-Van Basten. L’Olanda superò la fase a gironi con tre pareggi (1-1 con l’Egitto, 1-1 con l’Irlanda, 0-0 con l’Inghilterra a Cagliari in un match vissuto in assetto di guerra per controllare le due tifoserie) e fu eliminata negli ottavi dalla Germania (1-2). I rapporti tesi con la squadra furono determinanti nella disfatta “arancione”. L’atteggiamento plateale, quasi di sfida, di Gullit, durante un colloquio in allenamento con Don Leo, fu consegnato alle cronache dai clic dei fotografi. Dietro le quinte, ci furono litigate memorabili. Beenhakker si presentò una volta con un livido in testa, prodotto, pare, da un posacenere lanciato da un giocatore. “Non racconterò mai quello che successe in Italia”, disse Don Leo. E così è stato.

Un giorno, Beenhakker spiegò che la spinta della sua carriera erano state tre ragioni. La più suggestiva è in un’immagine: lo spirito di avventura. Come i suoi antenati olandesi, che conquistarono pezzi di mondo tra scorrerie piratesche, coraggio e senso degli affari, Don Leo ha scritto la sua storia perlustrando terre lontane: Messico, Trinidad e Tobago, Arabia Saudita – approdata con lui al mondiale 1994 -, Turchia, Spagna. Avvolto dalle nuvole di fumo, lo sguardo intelligente, la passione infinita per il football, Don Leo è celebrato a Madrid come “l’architetto della Quinta del Buitre” per aver lanciato i giovani dell’epoca. I suoi allenamenti erano uno spettacolo, con il pallone assoluto dominatore. Impose nel Real la scuola olandese, dopo aver guidato in modo eccellente il Saragozza. Il triennio Blanco fu lo zenit. Un uomo votato al calcio, ma con lo sguardo attento alla vita: “Vengo da un paese di lavoratori – raccontava – Abbiamo costruito la nostra terra strappandola al mare. Non tutti lo fanno”. Aveva un ottimo rapporto con i giornalisti. Per l’inviato di As, Sotillo Oñoro, che odiava il formaggio, realizzò di sua mano un biglietto da esporre nei ristoranti: “Niente formaggio, per favore”. Altri tempi. Altri uomini. Altro calcio.

L'articolo Le frasi storiche, i successi, le imprese caraibiche, le maledizioni Sacchi e Cruijff: addio Don Leo Beenhakker, olandese concreto (e non è un ossimoro) proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti