Le famiglie nelle opere di due grandi artisti, Abramovic e Bourgeois

  • Postato il 6 luglio 2024
  • Di Il Foglio
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Le famiglie nelle opere di due grandi artisti, Abramovic e Bourgeois

L’Arte, dice al Foglio Marina Abramovic, è stata davvero una via d’uscita: "Prima dalla mia casa di famiglia e poi dal mio Paese. Quello che volevo era la libertà più totale”. Non è stato facile in una Jugoslavia postbellica con la dittatura comunista di Tito, “tra carenza di ogni cosa, il grigiore ovunque e due genitori diversamente assenti”. “Il processo creativo è stato per me una forma di esorcismo e l’arte stessa mi ha permesso di indagare le complesse dinamiche della psiche umana”, diceva Louise Bourgeois (1911-2010). Entrambe le artiste, protagoniste negli anni Novanta alla Biennale d’Arte di Venezia, avevano un rapporto conflittuale con la loro famiglia ed emozioni come la solitudine, la gelosia, la rabbia e la paura sono stati (e sono ancora, nel caso della Abramović) i fili conduttori del loro lavoro insieme alla sessualità, alla psicoanalisi e al tradimento, espressi con una scrittura ossessiva come il disegno, la scultura e la performance. “Stare in cucina con l’adorata nonna Milica è il mio ricordo più bello”, aggiunge l’artista serba che da anni vive a New York.
 

Dopo averla incontrata a Londra, dove la Royal Academy of Arts le ha dedicato una grande mostra celebrativa, la ritroviamo a Pesaro, ospite di punta nel ricco programma di Pesaro Capitale della Cultura 2024. Il suo talk al Teatro Rossini con il compagno Todd Eckert è stato sold out e la sua performance The Life alla Pescheria è stata vista da oltre settemila persone in meno di venti giorni. “Vengo da una famiglia in cui mio padre Vojin era interessato solo alla politica e alle relazioni extraconiugali. Se ne andò di casa, ma nonostante questo, lo avevo idealizzato”. Sua madre, invece, “che mi ha sempre dato una stanza come studio e i soldi per comprarmi una tela”, era una grande amante dell’arte, dirigeva il Museo dell’Arte e della Rivoluzione di Belgrado, ma aveva la mania del controllo, l’ossessione per le pulizie e non le permetteva nessuna libertà.
 

“Mentiva su tutto, anche sul mio compleanno. Disse che ero nata il 29 novembre, l’anniversario della Repubblica Federativa Popolare di Yugoslavia, quando i bambini nati ricevevano caramelle da Tito. Io non le ho mai ricevute. Come mai? le chiesi. ‘Perché sei una bambina cattiva’, mi rispose. Solo dopo scoprii che ero nata il 30 novembre”. Alle porte di Parigi, dove i genitori di Louise Bourgeois gestivano un laboratorio di restauro di arazzi, le cose non andavano poi tanto meglio. La sua infanzia fu segnata da un rapporto complicato con la famiglia che la portò a vivere esperienze traumatiche divenute poi tra le principali fonti d’ispirazione per la sua arte. La scultura C.o.y.o.t.e, nata ricordando i momenti in cui si nascondeva sotto il tavolo della cucina ascoltando i suoi litigare, ne è un esempio come Destruction of the father, la sua prima installazione. In questi mesi, Firenze e Roma la omaggiano.
 

Fino al 10 ottobre al Museo del Novecento c’è Do not abandon me curata da Sergio Risaliti e Philip Larrat-Smith, a cui si deve anche Cell XVIIII (Portrait) al Museo degli Innocenti e L’inconscio della memoria alla Galleria Borghese fino al 15 settembre. Nel cortile del bel museo fiorentino troverete l’iconico Spider Couple (2003) e ce n’è uno anche nel giardino di Villa Borghese come al Guggenheim di Bilbao. Il ragno è per lei il simbolo della figura materna, portatore di significati duplici e contrastanti. È l’incarnazione di un’intelligenza estrema, una figura protettiva che provvede ai suoi piccoli costruendo una casa e assicurando il cibo, ma anche la manifestazione di una presenza minacciosa, “che era comunque bello quando c’era”, precisa Marina Abramovic. “Capisci e dai un valore alle cose e alle persone solo quando le perdi”

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Autore
Il Foglio

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