Le due Italie della salute

  • Postato il 18 settembre 2024
  • Ospedale
  • Di Panorama
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Le due Italie della salute



Se centinaia di migliaia di pazienti ogni anno scelgono di curarsi negli ospedali del Nord invece che in quelli sotto casa, una ragione c’è. In quest’area dell’Italia, nonostante si mangi gran parte del bilancio regionale, la sanità non funziona


Francesca Carrocci aveva 28 anni e faceva l’attrice. È morta a marzo per un infarto non diagnosticato. Nonostante avesse un dolore al petto, i medici di un ospedale di Roma l’hanno curata con antidolorifici. Francesca Colombo, una turista lombarda in vacanza in Sicilia, invece di anni ne aveva 62. È morta ad agosto per un’occlusione intestinale che i medici dell’ospedale di Patti hanno scambiato per indigestione. Marco Spanu aveva 23 anni quando la guardia medica di Erula, in provincia di Sassari, gli ha prescritto delle compresse di Voltaren per curare un infarto: è morto dopo essere tornato a casa. La cronaca giudiziaria degli ultimi mesi poi fornisce altri esempi: quattro medici condannati a Palermo per la morte di una bambina di cinque anni, Beatrice Morici; un chirurgo rinviato a giudizio a Santa Maria Capua Vetere per lesioni e omicidio colposi nei confronti di una donna sottoposta a bypass gastrico e di un uomo operato per un tumore; a Pescara, la Asl condannata a pagare 900 mila euro ai familiari di una donna deceduta a causa di un’infezione contratta in ospedale.

I casi citati testimoniano non soltanto un fenomeno che sui giornali chiamiamo «malasanità», ma che l’articolo 32 della Costituzione, quello con cui la Repubblica si impegna a tutelare la salute di tutti i cittadini considerandolo un diritto dell’individuo e un interesse della collettività, è da tempo disatteso. Non vi sarà sfuggito che le vicende riportate, quelle in cui i sintomi dell’infarto sono stati scambiati per un colpo di freddo e l’occlusione intestinale per un banale mal di pancia, sono quasi tutte avvenute in regioni del Sud o del centro Italia. Non voglio dire che la malasanità esista solo nel Meridione: anche in Lombardia o nel Veneto ci sono medici che sbagliano. Tuttavia, è un fatto che gli errori più clamorosi, che spesso hanno portato al decesso dei pazienti, sono avvenuti in ospedali del Mezzogiorno. Ricordo una storia che anni fa colpì l’opinione pubblica e anche la politica. Una ragazzina di 16 anni morì in un pronto soccorso della Calabria a causa di una crisi respiratoria. L’allora ministro della Salute, Rosy Bindi, nominò addirittura una commissione d’inchiesta e a presiederla fu chiamato Ignazio Marino, che all’epoca non era ancora diventato sindaco di Roma. Alla fine, da chirurgo che ha girato gli ospedali di mezzo mondo, Marino sentenziò che la ragazza era morta perché in quell’ospedale nessun medico era capace di fare una tracheotomia, ovvero un intervento d’urgenza che evita l’asfissia del paziente e che viene insegnato agli studenti di Medicina nei primi anni di università.

Vi starete chiedendo dove io voglia arrivare. La risposta è semplice. Queste vicende fanno capire che la «sanità differenziata» esiste già. Nelle scorse settimane, dopo l’approvazione della riforma dell’autonomia regionale, i governatori meridionali, insieme al Pd e alla Cgil, hanno raccolto le firme per abolire con un referendum la legge che concede più poteri alle Regioni. E l’argomentazione principale a sostegno dell’iniziativa per cancellare la legge sull’autonomia è che così si spacca l’Italia in due e si crea una sanità di serie A e una di serie B. In realtà, da un pezzo l’articolo 32 della Costituzione è carta straccia e ne sono prova i casi che ho citato.

Se centinaia di migliaia di pazienti ogni anno scelgono di curarsi negli ospedali del Nord invece che in quelli sotto casa, una ragione c’è. Non voglio dire che i medici nelle regioni meridionali non siano capaci o siano degli scansafatiche. Tutt’altro: ci sono fior di sanitari in molti ospedali della Campania, come in Calabria o Sicilia. Però è un fatto che in quest’area dell’Italia, nonostante si mangi gran parte del bilancio regionale, la sanità non funziona. Anzi, come abbiamo visto, spesso mette a rischio la salute e la vita dei pazienti. Dunque, è inutile dire che l’autonomia differenziata, che garantisce livelli essenziali di prestazione in favore di tutti i cittadini italiani, sia che vivano a Patti, sia che si facciano curare a Legnano, creerà una sanità a due velocità, perché quella c’è già. Oggi abbiamo malati che godono di ottime cure a spese del Servizio sanitario nazionale e malati, con la stessa patologia, che sono trascurati.

La mobilità sanitaria non l’ha creata l’attuale maggioranza di governo per giustificare la riforma dell’autonomia regionale: esiste da tempo. Ma nessuno si è mai chiesto perché i pazienti decidano ogni anno di farsi curare a molti chilometri da casa. Qualche governatore che oggi difende lo status quo pensa forse che i malati vadano a Milano o a Firenze per fare una passeggiata su al Nord? Credono che curarsi a centinaia di chilometri dalla propria residenza sia un piacere? I fatti testimoniano che la sanità differenziata, quella che si dice di voler evitare bocciando la riforma dell’autonomia, esiste ed è peggiore di quella che si vorrebbe introdurre. E di tutto ciò i cittadini del Sud pagano le conseguenze. Con sprechi documentati da anni di inchieste e con decessi che troppo spesso finiscono in un’aula di tribunale con accuse che vanno dalla negligenza all’omicidio colposo.

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Panorama