Le divisioni italiane significano che qualcosa che non va in Ue. L’opinione di Guandalini
- Postato il 15 marzo 2025
- Politica
- Di Formiche
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È l’Europa che procede in diverse direzioni. Con leader che cercano di imporsi a condurla. Dall’urgente reazione riarmante della von der Leyen al “mamma li russi” di Macron e i volenterosi dell’Unione, con dentro il premier inglese che dell’Europa unita non fa parte. Di sottofondo un’azione di pace degli Stati Uniti, dai contorni indefiniti, che sta proseguendo. È lapalissiano, per chi sa fare un conto semplice, come noi, che l’Europa, in un qualche modo, si è sovrapposta a quello che sta facendo Trump. Mettendo a rischio i risultati finali.
Sono scomposti i messaggi che arrivano al cittadino. All’opinione pubblica. Non è nostra volontà dubitare sulla necessità di mettere in piedi un piano per la sicurezza in Europa. Ma c’è la NATO che assolve a questo compito, quale miglior occasione per rafforzare quel punto di riferimento solido, che c’è già, ben visibile e procedere in quella direzione senza creare allarmismi da un giorno all’altro come si è sentito in questi giorni?
Sulla chiarezza dei punti di riferimento, meglio, delle autorità istituzionali, ben visibili in rapporto all’azione, si giocano le relazioni con gli stati nazionali e con i cittadini. Creare un gruppo di volenterosi alla Macron non rafforza l’Europa.
È un procedere a casaccio che devia gli orizzonti. Rende meno comprensibile gli obiettivi. I traguardi. Forse quel nucleo di volenterosi è la testa della corsa dei paesi che costruiranno la nuova Europa? Si dica. Per capire. Rebus sic stantibus appare un’azione dimostrativa di un’Europa che esce sconfitta dal conflitto russo ucraino, incapace di organizzare la guerra e immobile, nei lunghi tre anni, di slanci verso mediazioni diplomatiche.
E al grido “la Russia è diventata una minaccia per l’Europa” (Macron), “Vogliamo la pace con l’uso della forza” (von der Leyen), Bruxelles, invece di dialogare con Trump per capire se nelle trattative in corso ci può essere un ruolo degli eserciti europei sotto l’egida dell’Onu per garantire la sicurezza in Ucraina, parte in quarta verso una destinazione sconosciuta. In senso contrario a quanto sta costruendo la Casa Bianca.
Con un sentiment rancoroso. Di leader sempre meno rappresentativi e non in grado di reggere il ruolo al quale si richiamano aggrappandosi per l’ennesima volta a Zelenski che sta conducendo una partita in senso uguale e contrario. Da un lato con gli Stati Uniti, dall’altro con l’Europa.
Da qui le perplessità, sull’impianto complessivo, dal ruolo dell’Europa, capitanata da Macron – Starmer, al riarmo, emerse nei partiti di Governo e in quelli di opposizione.
La posizione del Pd (sì alla difesa comune, no al riarmo dei ventisette eserciti dei paesi europei), che alcuni indicano melassa ma che in verità dimostra le oggettive difficoltà rispetto a un partito socialista europeo che deve ancora scontare gli errori di condotta nei tre anni di conflitto, è speculare a quella di Meloni che tiene la via aperta con Trump e frena la disinvoltura di Macron e von der Leyen (“La difesa va oltre il riarmo”, “Escludo soldati italiani in Ucraina”).
Mentre l’esprit di Conte fa coppia con quello di Salvini nell’osservare le accese criticità dell’intera operazione di Bruxelles.
È sintomo che dopo i primi bagliori di scatto reattivo dell’Europa con l’annuncio del piano di riarmo, quello che rimane è poco.
Non si tratta di difesa comune (il piano di riarmo è destinato agli eserciti delle singole nazioni), nemmeno di esercito europeo (è parere diffuso tra gli esperti militari che l’obiettivo dell’esercito comune europeo è impossibile da raggiungere, serve esclusivamente un coordinamento degli eserciti), tanto meno ci stanno 800 miliardi da spendere dall’oggi al domani (la prima cifra sono 150 miliardi il resto si sviluppa nell’arco di diversi anni), i volenterosi di Macron non è l’Europa tutta, e poi all’ombrello nucleare offerto dal capo dell’Eliseo – a premere il bottone spetterà sempre e solo alla Francia – le nazioni dell’Europa, in primis l’Italia, hanno come riferimento la NATO.
Insomma è stata cosa buona e giusta creare un po’ di movimento ma dietro l’angolo ci sta poco. Un imprenditore a un convegno di qualche giorno fa mi chiede se dopo la pace tra Russia e Ucraina calerà il costo del gas.
È una risposta questa che devono dare i volenterosi europei.
Abbiamo appreso che alcune nazioni del Vecchio Continente stanno studiando insieme a Bruxelles l’eventualità di ritornare a riprendere gas dalla Russia. Nel frattempo si sta provvedendo, dietro la protezione americana, a risistemare il North Stream, il gasdotto che Kiev aveva fatto saltare.
In un’economia globalizzata, più gas sul mercato attiva una diminuzione conseguente del suo costo. Ma queste sono suggestioni e decisioni in divenire. In mezzo ci sta l’attesa spasmodica di uno scatto europeo per un’inversione di tendenza.
Il Vecchio Continente è deficitario sul piano industriale, la concorrenza tecnologica su tutto. C’è il piano Draghi. Di 800 miliardi come i soldi dati tout de suite per il riarmo. Qui si pone un problema di scelte da fare. Perché la coperta è corta.
E l’Europa è già troppo esposta sul versante del debito. Non si può accentuare oltre la sua vulnerabilità. Soprattutto alla luce di scelte di alcune nazioni dell’Unione, come la Germania, di spingere a fare altro debito.
Da aggiungere a questo la futura esposizione finanziaria quando si dovrà ricostruire l’Ucraina. E’ debito aggiuntivo. Al sopraggiungere di una probabile recessione, andare avanti in questo modo sarà deleterio.