Lavoro anziano: gli over 60 non si fermano più, ecco perché conviene restare al lavoro

  • Postato il 7 luglio 2025
  • Di Panorama
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Ci toccherà andare al lavoro accompagnati dalla badante». Quando fu varata l’ultima riforma delle pensioni, che stabiliva l’aumento dell’età pensionabile, ci fu un coro di proteste. In tanti immaginavano l’emergere di  situazioni drammatiche: genitori da accudire, acciacchi vari, salute malferma, memoria ballerina e chi più ne ha più ne metta. Uno scenario quasi apocalittico che rendeva incompatibile la presenza sul lavoro superati i 60 anni. Tant’è che le aziende, approfittando di questa ondata di giovanilismo culturale, hanno cominciato a offrire ai dipendenti le più svariate formule di uscite anticipate, incentivate da generosi compensi.

Tutto, quindi, sembrava filare alla perfezione: c’era una legge sull’età di pensionamento che metteva l’Italia al riparo dalle contestazioni di Bruxelles, ma c’erano anche tante soluzioni per “darsela a gambe” prima con buona pace di tutti, delle aziende che così potevano liberarsi di “pezzi da novanta” (dal punto di vista retributivo), assumendo giovani dalle buste paga più light, mentre i cinquanta-sessantenni guadagnavano l’uscita anzitempo e il mercato occupazionale vedeva aprirsi insperate porte di ingresso. Un sistema quasi perfetto. Ma, a un certo punto, qualche senior, forse in overdose di viaggi, partite di burraco e gestione dei nipoti ha cominciato a sentire nostalgia per il lavoro, visto che – tra tanti mugugni – aveva anche delle soddisfazioni, soprattutto economiche. Con l’avanzare degli anni le spese si moltiplicano, specie quelle sanitarie, e anche una pensione media non basta più. 

Al tempo stesso le imprese si sono accorte che liberarsi di quelli che consideravano un fardello, voleva dire entrare in deficit di competenze e di esperienza. Ecco quindi il dietrofront.

Con in tasca l’agognato cedolino, comincia la caccia a un nuovo lavoro. Per i più qualificati possono essere consulenze nel proprio campo (i senior sono corteggiati dalle imprese), mentre per la maggioranza sono “lavoretti”, a volte esentasse.

E non mancano le norme che agevolano il ritorno al lavoro. Un decreto del 2008, infatti, ha disposto l’abolizione del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo e dipendente sia nel caso si tratti della pensione retributiva sia di quella contributiva o mista, cioè indipendentemente dal fatto che il lavoratore abbia iniziato prima o dopo il 31 dicembre 1995 (data del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo). Inoltre, i contributi versati nel periodo in cui l’anziano prosegue un’attività generano un supplemento di pensione. Esistono alcune eccezioni al cumulo come le uscite con le Quote e l’Ape sociale, ma in generale la normativa favorisce chi vuole continuare a lavorare.

Recentemente, poi, una sentenza della Corte dei conti del Molise (n. 34 del 4 marzo 2025) ha stabilito la possibilità di conferire incarichi retribuiti per attività di formazione, affiancamento e assistenza all’interno della pubblica amministrazione a personale in pensione. La Corte ha comunque ribadito che questo meccanismo deve essere un’eccezione e non la regola, al fine di garantire il ricambio generazionale. L’obiettivo non è di reintegrare informalmente figure già collocate in pensione, ma di permettere la formazione del nuovo personale.

E dato che il richiamo del personale statale in quiescenza per l’affiancamento degli assunti non è raro che si verifichi, anche l’Inps ha aggiornato le norme e con una circolare (n.57 dell’11 marzo 2025) ha previsto per queste figure anche l’indennità di malattia. Ciliegina sulla torta, il bonus Giorgetti. La legge di Bilancio 2025 ha previsto un aumento netto in busta paga, che può arrivare a 6.900 euro annui, per chi rinuncia alla pensione anticipata, pur avendone i requisiti a fine 2025. Si tratta di ricevere immediatamente la quota contributiva – il famoso 9,19 per cento della retribuzione lorda – che normalmente finisce nelle casse dell’Inps. Riguarda chi ha diritto a pensionarsi con la cosiddetta “Quota 103” (ovvero 62 anni di età e 41 di contributi) o chi raggiunge i requisiti per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne). Secondo le simulazioni del ministero dell’Economia, un lavoratore con uno stipendio lordo annuo di 35 mila euro, vedrebbe aumentare ogni mese la sua retribuzione netta di circa 530 euro. L’importo varia in funzione dello stipendio: più alta è la retribuzione lorda, maggiore sarà il beneficio.

I motivi per non mettersi in panchina sono tanti. E i numeri lo confermano. L’Istat certifica che il tasso di occupazione degli old workers cresce quattro volte più dei giovani. Il fenomeno si è manifestato prima negli Stati Uniti dove secondo uno studio di New Research Center, un americano su cinque con almeno 65 anni è ancora attivo (quasi il doppio del 1987). Ma la cosa più sorprendente è che il gruppo dei 75enni è quello in più rapida ascesa. In Italia la percentuale dei lavoratori tra i 50 e i 64 anni ha superato nel 2022, secondo una ricerca di Inapp-plus, il 37 per cento, in crescita del 27 per cento sul 2012.

Uno studio della Cna, l’associazione degli artigiani, dice che in dieci anni, le imprese con titolari e soci dai 30 ai 49 anni, sono diminuite dal 48,8 per cento al 30,8 per cento. Oggi le aziende artigiane con titolari over 50 costituiscono il 46,4 per cento del totale, mentre con ultra settantenni sono quasi raddoppiati.

L’Istituto di statistica europeo, Eurostat, in un report sul 2023, dice che in Europa il 13,2 per cento di pensionati continua a lavorare con punte di oltre il 40 per cento in Finlandia, Lituania e Estonia. In Italia sono oltre 1,5 milioni. Chi dubita della produttività degli over 60, è smentito da una ricerca della British medical association secondo la quale non c’è alcuna prova concreta che i lavoratori più anziani siano meno produttivi dei giovani. Solo il 5 per cento sopra i 65 anni mostra defaillance cognitive e comunque esperienza e competenze possono compensare un calo di rapidità.

L’agenzia Bloomberg recentemente ha riportato la notizia che il mercato energetico in Europa, con il boom delle fonti rinnovabili, è diventato così attraente da  scatenare una corsa ai talenti senior. Alcuni trader stanno prendendo in considerazione l’idea di non andare in pensione anche perché l’estrema volatilità dei prezzi crea opportunità redditizie per chi è esperto del settore. Il che vale anche per gli studiosi. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, 65enne, dice che non ha alcuna intenzione di ritirarsi: «Nel mondo della ricerca e della consulenza vediamo casi sempre più frequenti di persone avanti negli anni che continuano la loro attività. E sono contesi da università e aziende. Conosco novantenni che sono ancora un punto di riferimento per le industrie, per il loro bagaglio di competenze. Poi arrivati a una certa età, parlo di attività intellettuali soddisfacenti, si è sganciati dalla logica  della retribuzione e ci si può concentrare su ciò che realmente piace».

Questo vale però per una minoranza di persone, commenta Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro alla Bocconi: «In Italia di solito la scelta del pensionamento attivo è dettata dalla necessità di arrotondare le entrate. Mentre nel resto d’Europa il sistema è organizzato con percorsi di riqualificazione e formazione, nel nostro Paese prevale il fai-da-te che si traduce in lavori “in nero”. Le esperienze dei contratti part time per anziani affiancati a giovani con funzione di mentoring sono state un fallimento». Del Conte aggiunge che «sul fenomeno degli old workers ha inciso anche la modifica del modello familiare. Una volta i nonni si dedicavano ai nipoti, ma ora bassa natalità e smembramento delle famiglie hanno privato gli anziani di questo ruolo. Così si torna al lavoro».

E i giovani? Qualcuno potrà anche avvantaggiarsi delle maggiori entrate del genitore per avere un aiuto ma, in generale, con più porte sbarrate sul mercato del lavoro la fuga all’estero a volte è obbligata.

Autore
Panorama

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