László Krasznahorkai: un Nobel impronunciabile

  • Postato il 10 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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László Krasznahorkai: un Nobel impronunciabile

Chissà quando impareremo a scrivere il nome del premiato ungherese che ieri ha vinto il Nobel per la Letteratura. Speriamo che accada, s’intende, prima che non sia più necessario scriverlo senza controllare lettera per lettera. Ecco qua: László Krasznahorkai (ungherese, a pronunciarlo neppure proviamo). Arriva preceduto da una fragile notorietà cinematografica: dal suo primo romanzo “Satantango” il regista Béla Tarr, pure lui ungherese, ha tratto il suo mostruoso film con lo stesso titolo. Dura sette ore, abbiamo abbandonato molto prima; anche se erano tanti anni fa, e film come questo venivano premiati e guardati in silenziosa contemplazione. 

Ha vinto le sue 870 mila sterline, e un posto nell’albo d’oro che tanto incantava il ragazzino Amitav Ghosh. Non capiva perché nella biblioteca di un conoscente, forse addirittura di un parente – l’aveva studiata a lungo, laggiù dell’India misteriosa – una scrittrice come Grazia Deledda fosse accanto a uno scrittore come William Faulkner. Cosa potevano avere in comune, quei due? Poi capì che entrambi avevano vinto un premio Nobel.

Inutile andare a guardare la motivazione. Da parecchio, messe in fila una dopo l’altra, sono un esempio di come non si dovrebbe mai parlare di libri, se non si vogliono far fuggire i lettori. L’astrazione regna, applicabile alla maggior parte dei libri che non viene voglia di leggere. Giudicate un po’ voi: “Per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”. Belle parole, ma del libro non sopravvive nulla. Bisognerà una volta o l’altra fare un giochino alla Umberto Eco, “fatevi da voi la vostra motivazione”. Sono sempre le stesse parole che si rincorrono, anzi qui è scappato “avvincente” – non sappiamo proprio come sia successo.

László Krasznahorkai è nato nel 1954 in Ungheria, “Satantango” è del 1985. Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Bompiani, nel 2026 uscirà anche il prossimo. Titolo: “Panino non c’è più”. Il Nobel si aggiunge a una serie di premi letterari prestigiosi come il Booker Prize e il National Book Award. Era da tempo nella lista degli scommettitori – dicono, noi eravamo distratti e non l’avevamo notato. Alla vigilia lo davano alla pari con la cinese Can Xue – della sua scrittura dicono (un piccolo classico nel genere) “onirica e frammentaria”. Salman Rushdie ormai ha perso le speranze. Come le aveva perdute a suo tempo Philip Roth: non devono considerarlo abbastanza perseguitato, o non è perseguitato dai nemici giusti. 

Il premiato, quando ancora non sapeva di esserlo, aveva dato un consiglio da amico a chi non aveva mai letto un suo libro. Scendere in strada e chiedere ai passanti – magari si imbatte in qualcuno che a differenza di noi ha fatto i compiti senza esserci costretto. E ha un titolo da suggerire, almeno per cominciare. Se il suggerimento dice “Herscht 07769” sappiate che il protagonista, nella Turingia più desolata, è assai pessimista sulle sorti dell’universo. Scrive lettere per informare della catastrofe in arrivo, e alla fine arrivano i lupi.
 

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Autore
Il Foglio

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