L’assassinio di Nasrallah: un podcast che "scotta"
- Postato il 23 ottobre 2024
- Di Focus.it
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Recentemente abbiamo pubblicato nella nostra audioteca dedicata alla Storia un podcast sulla morte di Hasan Nasr Allah, leader degli Hezbollah libanesi, assassinato il 27 settembre 2024 dalle forze di difesa israeliane (IDF).
In questo podcast abbiamo affidato l'analisi di quello che sta accadendo nel Vicino Oriente a Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e Responsabile del programma "Attori globali" dell'Istituto Affari Internazionali.
Il podcast che trovate qui sotto e su storiainpodcast.focus.it ha acceso un articolato dibattito tra l'autore e un nostro ascoltatore. Così abbiamo deciso di condividere con voi i due punti di vista perché ci sembra un modo equilibrato e costruttivo da cui partire per riflettere e discutere sull'attuale conflitto in corso nel Vicino Oriente.. Ecco le parole del nostro ascoltatore Dan Sassun. "Ho provato una profonda e lacerante vergogna nell'ascoltare il suo intervento di martedì post neutralizzazione di Hassan Nasrallah: sono un assiduo ascoltatore del Podcast Focus Storia di cui apprezzo i vari canali tematici, dai Presidenti americani alla storia del Mossad, e mai fino ad ora mi sono ritrovato ad ascoltare una così vergognosa, tendenziosa, asimmetrica e soprattutto scorretta rappresentazione dei fatti.
In primo luogo appare sconcertante, per non dire sospetto, il fatto che in 24 minuti circa di riflessione sull'argomento, non abbia mai avuto la necessità (o il coraggio?) di definire Hezbollah per quello che effettivamente è ovvero un gruppo terroristico così come definito dagli Stati Uniti e Israele ma anche dall'Unione Europea e, guarda un po', dal 2016 dal Consiglio di cooperazione del Golfo e dalla Lega araba.
Un suo stimabile collega, il Prof. Gianluca Ansalone, non ha avuto la sua stessa remora e nella puntata dedicata all'operazione del Mossad relativa ai cercapersone in dotazione al gruppo terroristico libanese, non ha avuto nessun dubbio nel dare questa precisa definizione già nel primo minuto di registrazione.
Si percepisce la sua premura di non fornire alibi alcuno nei confronti dell'operazione di autodifesa condotta da Israele.
Nel corso del podcast viene più volte ripetuto il sedicente ruolo di deterrente per Israele imposto dall'Iran che come ben sappiamo muove ampiamente i fili del macabro teatrino del fondamentalismo islamico dell'area e non solo. La definizione di Hezbollah come "deterrente" senza menzionare la sua vera natura terroristica, né il lancio continuo di razzi a medio e lungo raggio verso obiettivi civili Israeliani dipinge un quadro quasi serafico e legittimo di una organizzazione che dovrebbe essere messa al bando, sempre e comunque, soprattutto dai vicini paesi Europei che per primi dovrebbero schierarsi per la legalità e per la demilitarizzazione di queste organizzazioni criminali. Parlare di "tremenda incursione" o addirittura di "invasione" da parte di Israele è il terzo indizio (che fanno una prova) di una chiara ed evidente volontà di mistificazione dei fatti e della narrativa storica: Israele nel corso delle diverse, tremende, guerre con il Libano ha sempre respinto un nemico in chiara posizione di avanzamento, una seria minaccia per i suoi abitanti nel centro-nord del paese e ha sempre posto come primario obiettivo quello di demilitarizzare le organizzazioni terroristiche come Hezbollah e liberare dal suo giogo non solo i propri abitanti ma anche i Libanesi stessi, ormai da oltre 40 anni vittime della folle ideologia teocratica e guerrafondaia che dall'Iran viene esercitata attraverso i suoi sanguinosi rappresentanti locali con a capo il famigerato Nasrallah. Chi sostiene Hezbollah è un pazzo e un vile perché sacrifica il popolo libanese in nome di una guerra nei confronti di Israele che non ha senso alcuno per i libanesi stessi. Lungi dal voler essere retorico, sottolineo che chi le scrive ha perso più di un caro nel corso delle guerre di cui sopra.
Servirebbe da parte di divulgatori come Lei Dott. Alcaro, una più equilibrata visione e ricostruzione degli eventi, evitando di puntare sempre il dito verso Israele che nelle sue mille imperfezioni, rappresenta ancora oggi l'unico porto sicuro non solo per gli Ebrei di tutto il mondo, ma anche per tutti gli omosessuali, i cristiani e i dissidenti in genere dei vicini aberranti totalitarismi islamici presenti nell'area.
Le strategie militari e le scelte politiche dei governi israeliani, compreso quello attuale di Netanyahu, sono sicuramente in taluni casi criticabili e anche non condivisibili, non vi è dubbio che queste possano essere oggetto di dibattito e riflessione e in alcuni casi se opportuno anche di protesta. Mi lasci sottolineare però quanto sia importante e fondamentale che i divulgatori si preoccupino di fornire un quadro chiaro e simmetrico della situazione e delle parti in causa rappresentando i protagonisti per quello che sono e non per quello che vorrebbero o potrebbero essere. Bisogna essere categorici nel definire Nasrallah un terrorista a capo di una organizzazione terroristica e che la sua uccisione sia stato un ponderato e necessario atto di guerra e non un capriccio di un capo di stato contestato, con addirittura gli USA dipinti come silenti e compiacenti senza alcun compito o grado di influenza sull'operazione. Operazione che ripeto, e la storia mi darà ragione, salvifica non solo per il governo Netanyahu (come lei lascia intendere ironicamente nel suo Podcast) ma per Israele e soprattutto per il Libano stesso che mi auguro sia capace di svincolarsi dalle catene iraniane e, forse con l'aiuto europeo, finalmente fare un passo verso la modernità e la distensione dei rapporti con una reciproca tolleranza se non di pace con il vicino.
Fare un conto delle vittime civili, quando incombe la guerra, è un ulteriore prova di una visione a dir poco miope del guardo generale. Fare un implicito paragone tra i morti di una parte e dell'altra impone che vi sia una simmetria tra le fazioni che si affrontano come due eserciti regolari in difesa del loro Paese. Israele affronta continuamente, a Gaza come in Libano, non eserciti ma organizzazioni terroristiche che puntano alla distruzione e all'uccisione di civili disinteressandosi delle regole d'ingaggio. Israele dal canto suo opera in maniera diametralmente opposta cercando di individuare e colpire obiettivi militare evitando i civili. Le vittime civili, da entrambe la parti, sono una perdita della nostra umanità e una sconfitta del genere umano in senso più ampio del termine. La guerra, almeno per quanto mi riguarda, è sempre il risultato del fallimento della politica e della diplomazia, da tutte le parti coinvolte. Resta inteso però che la conta delle vittime civili Israeliane e immensamente inferiore a quelle dall'altra parte non per una sedicente asimmetria nel conflitto ma per una evidente maggiore attenzione da parte di Israele nei confronti dei suoi cittadini. Irone Dome, Arrow e tutti gli altri sofisticati sistemi di difesa hanno neutralizzato centinaia di migliaia di razzi lanciati da Gaza, dal sud del Libano, dall'Iran e persino dallo Yemen.
L'investimento israeliano per la difesa è pari o superiore a quello per l'attacco e derubricare questi falliti attentanti alla popolazione civile perché Israele ha saputo intercettare e abbattere il 99% dei razzi lanciati è strumentale e scorretto. Dimenticandosi sempre di menzionare i numerosi razzi e missili abbattuti, ogni giorno, tutti i giorni da anni ormai a questa parte, si fa il gioco dell'asse del male iraniano convinto di fiaccare la resistenza degli Israeliani attaccando da ogni fronte senza sosta. La neutralizzazione dei razzi sono invece la dimostrazione sempre più evidente che lo stato di Israele sceglie sempre la difesa dei propri cittadini come bene superiore oltre ogni desiderio espansionistico come erroneamente da Lei suggerito nel Podcast.
Mi permetta infine di puntualizzare due ulteriori aspetti, forse marginali, nel suo intervento:
- l'Iran ha poi reagito (il giorno successivo alla pubblicazione del suo Podcast) con lancio di missili balistici. Il primo attacco, quello di luglio, lo ha definito più volte nel corso della puntata come "coreografico". Mi permetta di dire che di coreografico non c'era nulla ne a luglio ne tanto meno a settembre: l'Iran ha inviato strumenti efficaci e possibilmente letali. La difesa Israeliana ha saputo neutralizzare la minaccia a minimizzare i danni (1 persona è morta a causa dei ferimenti dovuti alle schegge di un drone a luglio) confermando quanto già riassunto prima. Definire "coreografico" un vile attacco iraniano verso i civili è strumentale e sicuramente racchiude un ragionamento capzioso: l'attacco è stato vero e deliberatamente mortale, l'averlo annullato non ne sminuisce l'importanza o la pericolosità. Nota a margine, nel podcast prospettava una risposta iraniana meno impulsiva e più diplomatica: oserei dire epic fail per chi si occupa di affari internazionali visto quanto accaduto nelle 24 h successive.
- Al minuto 7 circa del Podcast ripropone un leitmotiv ormai tanto stucchevole quanto ingiusto: lo stato di Israele giustificherebbe i propri attacchi per poi accusare di antisemitismo chiunque osi criticarli. Premesso che Israele molto raramente ha utilizzato lo schema dell'antisemitismo per tacere i propri critici (La sfido a trovare dichiarazioni di organi governativi in tal senso) ma da israeliano, ebreo e italiano mi permetto di constatare che purtroppo questo fervore ossessivo, quasi morboso, nei confronti di Israele non trova altra giustificazione. La guerra è guerra, i morti sono morti e i civili sono vittime delle decisioni dei potenti, eppure nessuno ha bruciato la bandiera siriana (nella manifestazione che non c'è mai stata) per gli oltre 400.000 civili uccisi da Basher Al Assad nella tuttora in atto guerra civile Siriana. La stessa guerra dove Hezbollah ha fornito i suoi effettivi per combattere a fianco dell'alleato Assad (che strano che nessuno si scandalizzi quando Hezbollah aiuta a compiere un genocidio di civili siriani ma si straccino le vesti quando Israele neutralizza il capo di questa organizzazione terroristica).
E che dire delle incessanti proteste sotto le ambasciate cinesi di tutto il modo visto il (questa volta vero) genocidio in corso da parte del governo Cinese verso gli Uiguri. Il silenzio dei protagonisti della vita pubblica, dei giornali e dei divulgatori in genere è quantomeno strano se rapportato all'interesse e alla morbosità con cui si affrontano gli scottanti temi legati a Israele. Dove sono le manifestazioni di piazza contro la Russia che attacca deliberatamente l'Ucraina in una guerra (questa si) di effettiva espansione territoriale e senza che l'Ucraina avesse minacciato un'invasione del territorio russo?
Sia chiaro, non è la politica del benaltrismo o del "va beh ma anche loro..." ma una netta riflessione su quanto prema al mondo esterno quello che succede nell'unico stato a prevalenza ebraica nel mondo quando è così disinteressato agli stessi identici problemi quando si manifestano in altre parti del mondo è doverosa. Le sembra condivisibile che l'ONU condanni Israele per violazione dei diritti umani più di tutti gli altri paesi al mondo, quando sono presenti campioni universali come il famigerato Iran dove gli omosessuali e le adultere vengono lapidati prima dell'impiccagione pubblica? Mi permetta un leggero sospetto che una minima parte di antisemitismo si celi dietro questa spasmodica ricerca della condanna ad Israele alimentata spesso da errori di rappresentazione e narrazione tra i media in genere; è forse brutto ammetterlo ma questa ossessione per Israele e per come decide di difendere i propri confini e i propri cittadini non è genuina ne tantomeno intellettualmente onesta: bollare con "infamante accusa di antisemitismo" chi avverte questa incessante provocazione unilaterale e la contesta è disonestà intellettuale.
Voglia accettare questa mia critica come costruttiva al fine di migliorare un ottimo prodotto culturale che vi proponete di portare avanti.". Ecco la risposta di Riccardo Alcaro. "Gentile Ing. Dan Sassun, vorrei ringraziarla per la sua lettera. Non si tratta di un ringraziamento formale o cerimoniale. La sua è una sfida costante a rivedere le mie posizioni, valutazioni, criteri analitici e i modi in cui sono esposti. Le risposte ad alcuni punti che solleva che trova qui di seguito sono anche il frutto di una riflessione che lei ha suscitato. Non si troverà d'accordo, ma non per questo l'esercizio non è costruttivo.
Partiamo da una critica che accetto. Avrei dovuto menzionare il fatto che, oltre a Israele, gli Stati Uniti e diversi paesi europei (Austria, Estonia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia e Regno Unito), nonché i sei paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, più alcuni altri nel mondo, abbiano inserito Hezbollah nelle liste di organizzazioni terroristiche; che l'Unione Europea e la Francia ne considerino l'ala militare, non quella politica, un'organizzazione terroristica. La mia analisi non riguardava la questione se Hezbollah fosse o meno una forza destabilizzante o terroristica, ma quali possono essere le implicazioni dell'assassinio di Nasrallah e dell'offensiva di Israele contro Hezbollah. Nelle mie analisi, così come altri colleghi, preferisco non utilizzare la categoria di 'terrorismo' perché è una designazione che de-responsabilizza il ricercatore dall'indagare il contesto nel quale un'organizzazione è nata e agisce, e se le sue azioni siano riconducibili esclusivamente al desiderio di provocare terrore uccidendo civili o rispondano a un'agenda politica, per quanto estremista e radicale.
Questo non si traduce in nessun modo in una giustificazione o approvazione di questa agenda; ma se si parla di Hezbollah esclusivamente come organizzazione terroristica e non si dà più contesto – la sua creazione in reazione all'invasione israeliana del Libano del 1982 e alla successiva occupazione del sud del paese fino al 2000, il suo legame con la minoranza sciita libanese e il ruolo determinante che gioca (o giocava) nel network di alleanze dell'Iran – si produce un'analisi incompleta. Pensi all'Irgun, pure considerato un'organizzazione terroristica, dalle cui fila è emerso un primo ministro israeliano (Begin): sarebbe corretto analiticamente descriverlo esclusivamente come organizzazione terroristica? Io ritengo che sia più corretto analizzarne contesto e agenda, il che – di nuovo – in alcun modo comporta una giustificazione delle sue azioni.
C'è anche un altro motivo per cui la categoria di terrorismo è scivolosa. Liquidare i nemici di Israele – o di chiunque altro – come terroristi comporta il rischio di de-responsabilizzarci non solo dal fare un'analisi più accurata ma anche dal valutare l'appropriatezza della risposta. Quando il nemico è solo un terrorista, c'è il rischio di considerare ogni forma di risposta valida, a prescindere dai costi.
Lei mi accusa di enfatizzare il ruolo di deterrenza che Hezbollah si suppone dovesse esercitare su Israele. Questa non è un'opinione o una valutazione personale, è il motivo per cui la Repubblica Islamica dell'Iran ha continuato a sostenere, finanziare e armare Hezbollah. È una considerazione neutra. Hezbollah serviva a mettere pressione su Israele e a funzionare come deterrenza contro un attacco israeliano contro l'Iran; funzione che Israele ha dimostrato essere più illusoria che reale. Il lancio di razzi è menzionato nel podcast, e dal podcast si evince che l'offensiva di Israele è volta a eliminare la minaccia di Hezbollah una volta per tutte.
Lei ritiene che questa operazione sia fatta per il bene del Libano. I precedenti storici non puntano in quella direzione. Né l'intervento del 1978 né quello del 1982 da parte di Israele si sono tradotti in benefici per il Libano. Al contrario, hanno esacerbato le tensioni e le violenze – basti pensare all'eccidio di Sabra e Shatila da parte dei falangisti maroniti appoggiati da Israele – e la seconda si è infine trasformata in un'occupazione lunga 18 anni. È il caso di ricordare come da quell'invasione sia nato Hezbollah.
Senz'altro Hezbollah è un'organizzazione invisa a parte della società libanese e che ha contribuito in maniera decisiva a minare la funzionalità dello Stato (è una responsabilità che condivide con altri gruppi confessionali tuttavia, anche se questi oggi sono meno potenti che in passato). È anche un'organizzazione in cui molti nella grande comunità sciita libanese si riconoscono o che considerano rappresentativa o comunque in grado di difendere i loro interessi. Per un Libano stabile, è necessario un patto sociale che non minacci gli interessi delle sue varie componenti. Se però Israele mantiene una parte di Libano sotto controllo militare, più o meno diretto (ed è del tutto plausibile che sia costretto a farlo per evitare il risorgere della minaccia di Hezbollah), e se l'offensiva causa distruzioni estese e migliaia di morti fra i civili, com'è il caso ora, ritengo che le chance di un Libano stabile siano molto scarse.
Qui veniamo alla questione dei costi umani. Lei sostiene che Israele fa di tutto per evitare vittime civili. L'evidenza punta in direzione nettamente contraria.
Gaza è un cumulo di macerie, avendo subito bombardamenti di intensità senza precedenti nella storia recente (alcuni sostengono dalla Seconda Guerra Mondiale). Israele ha bloccato l'ingresso degli aiuti umanitari, ridotto le forniture di alimenti, acqua ed energia. La Federazione Internazionale dei Giornalisti accusa Israele di colpire deliberatamente i giornalisti; ReliefWeb, un servizio di informazione umanitaria fornito dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), riferisce di attacchi sistematici sulle strutture sanitarie di Gaza; Human Rights Watch riferisce di attacchi deliberati contro i cooperanti; in una lettera a Biden e Harris, 99 operatori sanitari USA che hanno lavorato a Gaza sostengono che il numero di morti sia ben superiore alle circa 42 mila persone di cui parlano le autorità di Gaza (quasi 119 mila), e riferiscono di avere trattato pre-adolescenti con ferite di arma da fuoco al petto o alla testa su base regolare, quasi giornaliera; l'ong israeliana B'Tselem ha condotto un'inchiesta sull'uso sistematico della tortura nei centri di detenzione israeliani. La verifica di queste accuse, che sono però numerose e provengono da più parti, sarebbe più facile se Israele lasciasse entrare i giornalisti a Gaza.
L'evidenza raccolta finora è stata comunque sufficiente perché il procuratore della Corte penale internazionale richiedesse di emettere un mandato d'arresto per crimini di guerra e contro l'umanità per Netanyahu e il ministro della difesa Gallant (oltre che per tre leader di Hamas, due dei quali uccisi nel frattempo da Israele); e per il Sudafrica e molti altri stati di accusare Israele di avere violato la Convenzione sul Genocidio di fronte alla Corte di giustizia internazionale.
In Libano, Israele sta bombardando pesantemente non solo il sud ma anche Beirut. Per uccidere Nasrallah è stata usata con ogni probabilità una bomba da 2.000 libbre, che ha distrutto diversi edifici (gli USA non fecero altrettanto quando uccisero Suleimani a Baghdad, o bin Laden vicino ad Abbotabad), e una misura simile sta venendo applicata su Beirut in queste ore (già oltre duemila persone morte, forse un milione di sfollati).
Questo non è il comportamento di un esercito che cerca di limitare le vittime civili. A Gaza, in particolare, non sembra esserci stato riguardo per i civili.
Lei ritiene che le morti civili siano una conseguenza tragica ma inevitabile nell'ambito di una guerra in cui Israele è sotto attacco; sostiene anche che Israele non avrebbe progetti espansionistici. Le due questioni sono distinte, quindi le affronto separatamente.
Israele e i suoi nemici esterni. Non c'è dubbio che Israele abbia nemici implacabili nell'Iran e i suoi alleati. La questione è se il modo migliore per gestire questo conflitto sia una belligeranza continua o se, invece, non sia meglio realisticamente trovare qualche forma di accomodamento che garantisca un po' di stabilità e, nel tempo, approfittare di quello per tentare di costruire un ordine stabile di lungo periodo. È una questione difficilissima, mi rendo conto. Ma Israele ha mostrato in passato che può agire in maniera molto pragmatica, quando si spinse a collaborare con l'Iran khomeinista in chiave anti-Iraq negli anni '80. Lo stesso ha fatto l'Iran, per esempio aiutando gli USA a installare il regime post-talebano in Afghanistan a fine 2001 e poi trovando un accordo che limitasse considerevolmente il suo programma nucleare nel 2015.
La strada della belligeranza comporta enormi costi umani (e sarebbero più grandi se Israele non disponesse delle difese antimissile), il che è motivo sufficiente per dubitare che sia la strada più saggia. Ma comporta anche rischi enormi di destabilizzazione. Sul piano militare, Israele è raramente riuscito a distruggere i suoi nemici; quando invece è intervenuta la diplomazia USA (con Egitto, Giordania e OLP), li ha neutralizzati. È possibile la diplomazia con l'Iran? Certamente al momento non c'è alcuno spazio per nient'altro che una qualche forma di accomodamento per evitare almeno una guerra generalizzata. Ma oggi la diplomazia si deve muovere un passo alla volta per creare condizioni in cui dall'evitare una guerra regionale si possa gradualmente passare ad accordi più solidi e duraturi.
Mi rendo conto che è una soluzione sub-ottimale. L'alternativa, il cambio di regime forzato, si è dimostrato una chimera in più occasioni (Iraq, Afghanistan, Libia). I tentativi di cambio di regime forzato in Medio Oriente non hanno mai prodotto stabilità, bensì il contrario. Le suggerisco il libro di Phil Gordon al riguardo, consigliere di Kamala Harris e convinto sostenitore di Israele. Israele ha ridotto Hamas a un'ombra e falcidiato Hezbollah, ma non ha idea di cosa fare di Gaza o del sud del Libano al di là di un controllo militare (più o meno diretto) di natura tattica, dagli alti costi finanziari, militari e umani. Qualunque opinione si abbia sull'operato di Israele, è difficile pensare che la devastazione di Gaza e l'offensiva contro Hezbollah, nella maniera in cui sta venendo portata avanti, non produrrà un'ulteriore recrudescenza di violenza, e che tanti nuovi Hamas e Hezbollah sono stati seminati per gli anni a venire.
Lei sostiene che Israele metta avanti la vita dei suoi cittadini a progetti espansionistici. Su questo dissento nella maniera più assoluta.
Se i governi di Israele avessero davvero scelto il bene dei loro cittadini, avrebbero da tempo lavorato infaticabilmente a cercare una pace coi palestinesi che riconoscesse a questi ultimi uno stato in Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est capitale. Invece Israele ha annesso Gerusalemme Est e promosso la continua espansione degli insediamenti in Cisgiordania. L'espansione degli insediamenti è continuata anche durante gli anni dell'apparente distensione seguita agli accordi di Oslo. Il disimpegno unilaterale da Gaza ordinato da Sharon nel 2005 non ha eliminato il controllo israeliano dello spazio aereo, marino e terrestre (con l'eccezione di Rafah) nonché delle riforniture di beni primari; serviva a risparmiare mezzi e uomini a protezione di 8000 coloni in un'area abitata da due milioni di palestinesi. Negli anni seguenti Gaza è diventata una specie di prigione a cielo aperto dove gli israeliani sono intervenuti ad arbitrio fra 2008 e settembre 2023 (oltre 6400 morti palestinesi, oltre 2000 solo nel 2014; di certo non tutti Hamas; Israele in questi assalti ha perduto circa 300 persone, quasi tutti militari). La situazione a Gaza era considerata sulle soglie della invivibilità già prima della rappresaglia israeliana al 7 ottobre. Per sua stessa ammissione, Netanyahu non ha mai lavorato alla pace coi palestinesi e ha anzi sfruttato il controllo di Gaza da parte di Hamas per continuare l'espansione in Palestina, come riconosciuto da Bezalel Smotrich, suo ministro, che ha detto nel 2015: "L'Autorità Palestinese è un problema, Hamas è un vantaggio".
La continua espansione nei territori palestinesi ha delegittimato agli occhi dei palestinesi stessi l'OLP, che pure aveva riconosciuto Israele e deposto le armi, e favorito la crescita in credibilità di gruppi più radicali, Hamas in primis. Israele, e Netanyahu è certamente fra i primi responsabili, non si è mai impegnato in un processo diplomatico che non garantisse tutta l'estensione dei suoi insediamenti, nel frattempo sottoponendo milioni di persone a sistematica oppressione di elementari diritti umani. La letteratura in materia è molto vasta. Qui mi limito a citare la recentissima advisory opinion della Corte internazionale di giustizia, che definisce l'occupazione illegale in ogni suo aspetto; e i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, che paragonano lo stato di oppressione dei palestinesi a un sistema di apartheid. La invito però a consultare regolarmente i siti di due ong israeliane che documentano l'oppressione dei palestinesi e la condotta delle forze armate israeliane, B'Tselem e Breaking the Silence, quest'ultima fondata da ex soldati israeliani.
Se i governanti di Israele avessero davvero avuto a cuore il benessere di lungo periodo dei loro cittadini avrebbero da tempo accettato uno stato palestinese sui confini del 1967, ottenendo in cambio il riconoscimento di tutti gli stati arabi o quasi e la marginalizzazione dei gruppi più estremisti sia in Palestina che altrove. Invece i governi israeliani hanno scelto un'altra strada. La Knesset di recente ha approvato una risoluzione che respinge la creazione di uno stato palestinese; nel corso degli anni il discorso pubblico in Israele sui palestinesi si è radicalizzato al punto che ha normalizzato due estremisti razzisti e dichiaratamente annessionisti come Ben-Gvir e Smotrich, entrambi ministri nel governo Netanyahu. Ben-Gvir è un ammiratore dichiarato del massacratore di Hebron, l'estremista ortodosso che nel 1994 uccise 29 palestinesi a Hebron, e Smotrich ha pubblicamente lamentato il fatto che la comunità internazionale non permetterebbe a Israele di far morire di fame tutti i palestinesi.
Gli effetti di questa riluttanza a cedere i territori occupati e impegnarsi in un reale processo di pace sono l'oppressione continua dei palestinesi; un effetto indiretto è di aver contribuito alla radicalizzazione dei nemici di Israele e di avere ostacolato una normalizzazione generalizzata arabo-israeliana, da cui l'Iran sarebbe uscito molto più debole.
Anche ora l'Iran è debole, così debole da aver rischiato l'opzione che io non ritenevo fra le più ragionevoli, l'attacco diretto contro Israele – e continuo a non ritenerla tale, la mia era una valutazione e non una previsione. Ad aprile l'attacco fu coreografato perché fu annunciato con largo anticipo in modo da renderne più facile l'intercetto perché aveva uno scopo dimostrativo. Questo non vuol dire che non sia stato grave, vuol dire riconoscere quali erano le intenzioni degli iraniani. Quello del 1° ottobre è stato un attacco volto a infliggere danno a obiettivi militari e il quartier generale del Mossad. Lo scopo era di intimidire Israele e di spingere gli USA a persuadere Israele a contenere la risposta. Netanyahu ha però costantemente ignorato le raccomandazioni dell'Amm Biden e pertanto è plausibile che la rappresaglia di Israele sarà massiccia al di là dei desiderata di Washington. Questo eleva il rischio di una reazione a catena che porterebbe a un conflitto generalizzato, da cui ritengo estremamente difficile possa emergere un equilibrio regionale stabile. Mi posso sbagliare, ma i precedenti storici – in ultimo l'invasione americana dell'Iraq – puntano in quella direzione.
Un'ultima parola sull'antisemitismo e le critiche a Israele. I governanti israeliani ricorrono spesso a questo tipo di equiparazione, l'ultima volta lo stesso Netanyahu all'Assemblea Generale dell'ONU di qualche settimana fa. L'Anti-Defamation League ha lavorato a un'interpretazione iper-estensiva del termine antisemitismo che ha creato grandi controversie. Lavorando da venti anni nel campo delle relazioni internazionali, mi sono trovato regolarmente in conferenze o seminari fra esperti in cui le critiche a Israele venivano equiparate a forme di antisemitismo; è un'evidenza aneddotica, lo riconosco, ma condivisa da molti. Chiunque si occupi della materia e abbia espresso critiche a Israele si è trovato nella situazione di essere chiamato antisemita, in modo più o meno esplicito. Respingo l'equivalenza e insisto che si tratta di una linea di difesa ormai consolidata dai difensori del sionismo. Nella loro analisi su "The Israel Lobby" negli Stati Uniti, due accademici di grande fama (e tutt'altro che sinistrorsi) come John Mearsheimer e Stephen Walt parlano diffusamente di questo come un fenomeno esperito da loro e tanti altri. . Gentilissimo Ingegnere, ci sono differenze considerevoli non solo nel modo in cui fra come lei e io analizziamo la situazione in Medio Oriente. Eppure, dal testo della sua lettera, al di là delle critiche, scorgo uno spazio di dialogo. Chissà che non possa continuare, se non bilateralmente, almeno nelle nostre teste, quando rifletteremo su una situazione complessa e oltremodo tragica. Il mio ringraziamento per la sua lettera è sentito"..