L’assassinio di Charlie Kirk infiamma gli Usa. Repubblicani contro media e democratici. Campus “neri” costretti a sospendere le lezioni
- Postato il 12 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Anzitutto ci sono grief and anger, il dolore e la rabbia. Proprio di “dolore e rabbia” ha parlato Donald Trump in una dichiarazione pochi minuti dopo la morte di Charlie Kirk. Per capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti in queste ore bisogna partire proprio da lì, dal rapporto intimo, al tempo stesso personale e politico, che Trump aveva con il 31enne attivista conservatore, ucciso mercoledì alla Utah Valley University. Il suo assassinio esplode in un’America sempre più spaccata e rissosa e alimenta ulteriore caos e divisioni. Il suo assassinio è un nuovo tragico esempio della storia di violenza politica che è parte integrante della società americana e che in questi anni è tornata potentemente alla ribalta. Il suo assassinio è però, appunto, una ferita profonda per il presidente. Con Charlie Kirk se ne va una figura che ha incarnato come forse nessun altro il verbo trumpiano e che, per Trump, era diventato una sorta di figlio adottivo.
È stato proprio Trump, non la famiglia, non la polizia, a dare l’annuncio della morte di Kirk. “Era amato e ammirato da TUTTI, specialmente da me, e ora non è più con noi”, ha scritto su Truth. “Ti amo, fratello”, lo ha salutato su X Donald Trump Jr. Era stato proprio Don Jr. a introdurre Kirk nell’orbita di famiglia. Nel 2016 l’allora giovanissimo attivista – aveva 22 anni ed era il fondatore di “Turning Point USA”, un’organizzazione giovanile conservatrice – era riuscito a ottenere un incontro nella Trump Tower con il figlio maggiore del tycoon. In tempo di campagna elettorale Kirk voleva dare a Trump, di cui apprezzava il conservatorismo senza ombre e tentennamenti, alcuni consigli su come parlare ai giovani americani e ottenere il loro voto. Kirk e Don Jr. si piacquero immediatamente. Don Jr. nominò Kirk suo assistente personale. Un anno dopo, Kirk era tra gli invitati a Mar-a-Lago per il compleanno del presidente. Il suo posto a tavola, vicino al festeggiato, fu il segno tangibile della sua ascesa. Da allora il giovane attivista non ha mai fatto mancare il suo sostegno, aiuto e consiglio. Ha cominciato a frequentare assiduamente la Casa Bianca. Ha appoggiato ogni causa e battaglia trumpiana, dalla diffidenza per medici e scienziati ai tempi del Covid – è sua la definizione “China virus” – alle recriminazioni per la presunta “vittoria rubata” del 2020 alla recente occupazione militare delle città. Ha spinto per la nomina di JD Vance a vice e ha direttamente partecipato alla scelta del personale politico di questa amministrazione. Con il suo “Turning Point USA” ha raccolto milioni di dollari per le cause conservatrici e diffuso il pensiero di Trump in centinaia di incontri nei college americani. Solo sugli “Epstein Files”, Kirk si è allontanato dalla posizione ufficiale della Casa Bianca, chiedendo maggiore trasparenza. Una telefonata del presidente lo ha riportato nei ranghi. “D’ora in avanti non parlerò più di Epstein”, aveva poi annunciato Kirk sui social.
In questi anni Kirk è stato per Trump una presenza al tempo stesso roboante e discreta. Ha detto, senza vergogna, le cose più indicibili, che la attuale avversione verso il presunto woke rende però accettabili. Tra queste: “Se vedo un pilota nero mi chiedo se sia davvero capace”; “Rigetta il femminismo. Sottomettiti a tuo marito. Non sei tu che comandi, Taylor (Swift)”; “L’Islam è la spada che la sinistra usa per tagliare la gola all’America”; “I democratici odiano questo Paese. Vogliono che collassi. Per questo vogliono che l’America diventi meno bianca”; “Penso che alla fine sia cosa conveniente avere ogni anno un certo numero di morti per la violenza delle armi se questo ci permette di proteggere il Secondo Emendamento e gli altri diritti che Dio ci ha dato”. Dalla teoria della sostituzione etnica a quella del subdolo potere ebraico alla fede nell’America bianca e cristiana, non c’è idea, paradigma, cospirazione della destra più radicale che Kirk non abbia in questi anni abbracciato e diffuso like a bull in a china shop, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria. Al tempo stesso Kirk è stato una presenza discreta e per nulla ingombrante in termini di cariche e prebende. Non ha mai chiesto un ruolo politico per sé. Non ha cercato di piazzare suoi uomini. Non ha fatto trapelare nulla di imbarazzante o privato dall’entourage trumpiano. Soprattutto, non ha mai mollato il presidente. Nemmeno quando, dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio, tutti ne prendevano le distanze. Kirk incarnava il trumpismo e lo diffondeva, nel mondo disincarnato dei nuovi media e per le strade e i college d’America. Questo lo ha portato al cuore del potere trumpiano. Questo lo ha portato nel cuore del presidente.
Ripercorrere la figura di Kirk è necessario per capire quanto sta succedendo in queste ore a Washington e in America. Lo choc, la rabbia tra i conservatori si allargano come un fiume in piena. È stato lo stesso Trump a dare il via allo scontro, accusando la “sinistra radicale” di aver demonizzato Kirk e di essere il mandante morale del suo assassinio. Altri repubblicani lo hanno seguito. “Voi fottuti democratici siete la causa di questo”, ha urlato nel bel mezzo della Camera Anna Paulina Luna, deputata della Florida. Un altro deputato, Derrick Van Orden, se l’è presa con i giornalisti. “Siete voi i responsabili della sua morte”, ha urlato, arrivando a Capitol Hill. I democratici “non potevano batterlo a parole, quindi lo hanno ammazzato”, ha scritto su X Isabella Maria DeLuca, attivista condannata per l’assalto al Campidoglio e perdonata da Trump. Lo sdegno scorre irrefrenabile sui social. Su Patriots.Win si alternano dolore e minacce. Un utente anonimo scrive: “L’intero partito democratico deve essere impiccato”. Un altro, sempre anonimo, torna indietro di decenni e nota: “Questo è come l’incendio del Reichstag”, auspicando quindi una reazione della destra simile a quella dei nazisti nel 1933. Un altro ancora non ha dubbi: “È ora di farla finita con la democrazia”.
I primi effetti del fiume di rabbia già ci sono. Dopo l’assassinio di Kirk, diversi college e università a maggioranza afroamericana sono stati oggetto di minacce. Spelman College, Hampston University, Virginia State University, Bethune Cookman University, Southern University, Alabama State University hanno sospeso le lezioni e lasciato a casa studenti, professori, personale amministrativo. Dagli uffici del Dipartimento di Stato fanno intanto sapere che misure punitive verranno prese contro gli stranieri che “lodano, giustificano, prendono alla leggera” l’omicidio di Kirk. Christopher Landau, vicesegretario di stato e fedelissimo trumpiano, ha scritto su X che “gli stranieri che glorificano violenza e odio non sono visitatori benvenuti nel nostro Paese”, anticipando quindi una possibile stretta sui visti. A nulla servono gli appelli al dialogo e alla moderazione che arrivano da parte dello stesso mondo conservatore e repubblicano. “Le emozioni che sto provando sono tante, ma sono arrivato a una conclusione. Dobbiamo essere migliori in questo Paese. Dobbiamo rispettare la verità, e amare anche le persone con cui abbiamo delle differenze politiche”. A nulla serve, per placare caos e recriminazioni, anche una semplice considerazione: il responsabile dell’omicidio non è stato catturato, non si sa nulla delle sue idee e motivazioni. A dominare è insomma la rabbia, come ha detto Trump, la voglia di vendicare l’offesa subita. Kirk, che in vita ha vinto migliaia di giovani alla causa trumpiana, è destinato da morto a diventare un mito dei conservatori. Se ne va come ha vissuto. Infiammando l’America.
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