L’artista irlandese che trasforma in opere d’arte e arredo frammenti dell’alluvione di Firenze del ’66

Sono trascorsi quasi 60 anni dall’alluvione che il 4 novembre del 1966 sommerse Firenze. Dopo giorni di pioggia intensa, quella notte, alle 2.30, l’Arno straripò nella zona periferica della Nave a Rovezzano, dove il fiume entra in città, per poi riversarsi con violenza sulle campagne e nel quartiere di Gavinana. 

L’alluvione di Firenze del 1966

Già alle prime ore del mattino, un metro d’acqua sommergeva i quartieri centrali di Santo Spirito e di Santa Croce, giungendo fino al Museo Archeologico in piazza Santissima Annunziata. Il fiume travolse anche le spallette di Ponte Vecchio, devastando molte botteghe e lasciando dietro di sé detriti, rami e tronchi. Persino in piazza del Duomo l’acqua raggiunse i 3 metri, facendo spalancare la Porta del Paradiso del Battistero, da cui si staccarono cinque formelle. Nel frattempo si consumava il dramma delle famiglie fiorentine (35 le vittime), rimaste bloccate in casa, inermi, ai piani alti. Solo la mattina del 6 novembre il fiume rientrò nel suo alveo, lasciando la città coperta dal fango. Fu la peggior alluvione in città dal Rinascimento, e oltre mille scatti conservati al Gabinetto Fotografico degli Uffizi – sommerso anch’esso dall’acqua – documentano la tragedia.

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I volontari portano in salvo “Cristo e la moglie di Zebedeo” di Matteo Rosselli oltre la replica del David in Piazza della Signoria, 1966 di David Lees

I danni al patrimonio culturale e gli Angeli del fango

Anche il patrimonio culturale di Firenze risentì di danni enormi, causati prima dalla violenza dell’acqua e dei detriti che trasportava, poi dal fango e dalla nafta che per giorni coprirono tutto di una coltre difficile da rimuovere. Simbolo di questa devastazione è il Crocifisso di Cimabue in Santa Croce, che si impregnò completamente di acqua, nafta e fango: il 60% della superficie pittorica andò perduto. Trasferita alla Limonaia di Boboli, che all’epoca diventò centro di primo soccorso per i dipinti su tavola alluvionati (migliaia di volontari – gli Angeli del fango – arrivarono da tutto il mondo per aiutare Firenze a liberarsi dal fango e recuperare il patrimonio in pericolo), la croce fu oggetto di un lungo e innovativo restauro nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso, e poi ricollocato nel museo di Santa Croce, pur grandemente menomato. Altri luoghi storici furono destinati a ricovero per le opere “ferite”: a Palazzo Pitti e Villa della Petraia si riunirono i mobili antichi, il salone della Galleria dell’Accademia fu utilizzato per le tele, il Forte Belvedere per i libri e Palazzo Davanzati per le sculture e le opere di arte applicata.

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La Galleria degli Uffizi dopo l’alluvione. Fotografata dallo staff degli Uffizi

I frammenti dell’alluvione diventano oggetti d’arte e design

A ricordare quei giorni, rimasti indelebili nella memoria collettiva di Firenze, da qualche anno l’artista irlandese Jean O’Reilly Barlow, fondatrice della rivista Interi, lavora su una collezione di opere d’arte scultoree realizzate a partire da frammenti storici recuperati dall’alluvione. Si tratta, nell’intenzione dell’artista, di un omaggio alla rinascita della città dopo l’alluvione, e al contempo di una ricerca sulla resilienza della cultura e della bellezza. Il progetto ha preso forma a partire dalla collezione di frammenti raccolta da Barlow: un tempo decorazioni e rappresentazioni artistiche che ornavano le chiese di tutta Firenze, questi frammenti databili tra il Cinquecento e il Settecento erano stati notevolmente danneggiati dal fango e dall’acqua e furono considerati impossibili da restaurare. Sui pezzi sono ancora presenti la vernice e il limo originali per preservarne l’integrità e la storia, ma l’artista ha incorporato minerali, conchiglie e altri elementi naturali per trasformarli in lavori che tengono insieme il passato – antico e recente – e il presente. La collezione “Florence Fragments”“Ciò che è stato sommerso e spogliato del suo colore e significato conserva ancora la sua storia e bellezza. Ciò che è stato consumato è ora reinventato e rinato. Ciò che è stato perso è ora ritrovato”, spiega Barlow. Già nel 2024, in occasione dell’ultimo anniversario dell’alluvione, i Florence Fragments sono stati oggetto di una mostra ospitata al Museo de’ Medici. E oggi i pezzi sono acquistabili online sul sito di Interi, che propone altri 50 frammenti, tra candelabri, basamenti in pietra, porzioni lignee di crocifissi, ripensati da Barlow.

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Autore
Artribune

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