L’arte come esperienza. Una riflessione di Umberto Vattani
- Postato il 3 luglio 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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Un articolo recente di Antonio Spadaro, apparso su questo foglio, aiuta a comprendere in profondità il ruolo trasformativo dell’arte. Non come oggetto o ornamento, ma come esperienza. “L’arte”, ci ricorda Spadaro, “è capace di toccare corde profonde: non solo per ciò che mostra, ma per come ci coinvolge. Ci toglie dalla posizione comoda dello spettatore e ci costringe a entrare, a prendere parte. Ci mette in gioco”.
L’arte alla Farnesina nel ricordo di Umberto Vattani
Forse è per questo che, quasi trent’anni fa, decidemmo alla Farnesina di tentare qualcosa che allora sembrava fuori luogo, o addirittura assurdo: creare uno spazio dove l’arte non fosse solo presenza decorativa, ma relazione viva. Dove l’opera non si guardasse soltanto, ma si attraversasse. Un luogo in cui i funzionari del Ministero – diplomatici, tecnici, dirigenti – potessero non solo “osservare”, ma sentire, interrogarsi, e forse cambiare sguardo.
Era un’idea controcorrente. Il Ministero degli Affari Esteri – trasferito nel 1960 da Palazzo Chigi al di là del Tevere, in un edificio imponente ma spoglio – sembrava tutto fuorché uno spazio accogliente per l’arte contemporanea. Lontano dal centro storico, percepito da molti come un palazzo “fascista”, estraneo alla città e al suo racconto. Le guide turistiche lo ignoravano. Il quartiere in cui sorgeva non compariva nemmeno nelle mappe di Roma distribuite dagli Uffici Comunali. Eppure, quel Palazzo, marginale e silenzioso, ci sembrò perfetto per lanciare un segnale, volto a restituirgli anche il senso.

La forza dell’arte come elemento trasformativo di luoghi e persone
Fu così che, nel 1998, arrivò il bronzo di Pietro Consagra. Un’opera imponente, prestata dall’artista in persona. Quando la scultura fu posata, al punto d’incontro dei quattro ascensori, accadde qualcosa: non era più lo stesso edificio.
Come il monolite nel film: 2001, Odissea nello spazio, quell’apparizione segnò una svolta. Un prima e un dopo.
Nei giorni successivi arrivarono Dorazio, Accardi, Perilli, Sanfilippo, Turcato. Poi Kounellis, Burri, Merz, Fontana, Marini, Paladino, Ruffo, Mirko, Iaconesi e Persico. E molti altri ancora.
Il palazzo si trasformava. E chi lo abitava cominciò a guardarlo con occhi diversi.
Studenti, studiosi, viaggiatori stranieri chiedevano di visitarlo. E così si prese una decisione inedita: aprire il Ministero al pubblico, una volta al mese. Decisione che, con l’organizzazione di percorsi, l’accoglienza di scolaresche, la spiegazione delle opere rendeva l’arte non più un gesto isolato ma uno strumento di diplomazia culturale.
Umberto Vattani ricorda la nascita della Collezione Farnesina
Nacque così la Collezione Farnesina. Un nome improprio — perché non si trattava di una collezione in senso stretto — ma efficace. Un progetto aperto, vivo, fatto di prestiti generosi da parte di artisti e galleristi. Avevamo trovato un modello flessibile che permetteva il ricambio continuo delle opere e la possibilità di accogliere nuovi linguaggi, nuovi autori.
Alcune delle opere nella Collezione Farnesina
Le opere non erano lì per adornare, ma per interrogare.
Le combustioni di Burri evocavano la lotta per la sopravvivenza degli ambienti incontaminati.
Le bandiere stinte di Ettore Consolazione preannunciavano i nazionalismi che ritornano.
I volatili trafitti di Pietro Ruffo raccontavano la fragilità del sogno di libertà.
L’Etrusco di Michelangelo Pistoletto, accostato a uno specchio, lasciava pochi centimetri tra la mano e il riflesso: lo spazio — e il tempo — che ci resta per evitare la catastrofe.
Alcune opere colpivano per il loro dolente messaggio. I Totem martoriati di Mirko, o il senzatetto di Iaconesi e Persico, parlavano in silenzio delle ingiustizie del mondo. Una luce si spegne ogni volta che, secondo i dati delle Nazioni Unite, una persona esce dalla soglia della povertà assoluta. L’augurio, paradossale, è che un giorno quell’opera possa spegnersi del tutto.
A distanza di anni, mi sembra che il senso di quell’esperimento sia tutto qui: l’arte non come oggetto, ma come esperienza. “La creazione di uno spazio nuovo, che si apre” come osserva Antonio Spadaro “quando si instaurano relazioni inedite tra le opere e chi le attraversa, quando racconto e azione si incontrano”.
Umberto Vattani
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L’articolo "L’arte come esperienza. Una riflessione di Umberto Vattani" è apparso per la prima volta su Artribune®.