L’arroganza tecnica di Donnarumma
- Postato il 15 marzo 2025
- Di Il Foglio
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L’arroganza tecnica di Donnarumma
Prima di ogni rigore Gigio Donnarumma spalanca le braccia, o le alza. Oppure le tiene immobili lungo il corpo, ma allarga le gambe. Non fa altro. Espande il suo metroenovantasei e sembra occupare tutta la porta, diventa un mago che fa sparire gli spazi, copre la visuale a chi lo sta battendo, è Gulliver tra tre pali che sembrano messi lì dai lillipuziani. E dove lo tiro, ora, se non c’è un buco nemmeno piccolo lasciato libero da quel corpo immenso? E come sfido sul piano emotivo quel ragazzo lì, che è immobile e non ha nessuna espressione? O sei Salah, che segna comunque (ma nessun portiere, in questa stagione, può evitare a Salah di segnare), oppure finisci come quelli del Liverpool, imbattibili in campionato e bloccati in Champions dalle mani di Gigio, il meglio che si possa chiedere se la tua squadra è arrivata ai rigori. Anche al Paris Saint-Germain lo pensano. Ne para uno su quattro, dicono i numeri: in partita gliene hanno tirati 60, ne ha parati 14 (il 23,3 per cento), durante le serie di rigori, quando chiunque trema o suda perché decidono vita o morte in un torneo, ne ha presi 10 su 43 (stessa percentuale: il 23,3 per cento). Vuol dire che se una partita va ai rigori, la squadra che gioca contro Donnarumma deve inseguire prima di iniziare, chi invece ce l’ha dalla sua parte comincia a tirare già in vantaggio di un gol.
Nel curriculum di Gigio ora c’è la prima pagina dell’Equipe, che lo chiama supereroe: c’è lui, di spalle, inginocchiato con le braccia al cielo e lo sguardo più in alto di sé stesso, come fosse possibile trovare in quel momento qualcosa in grado di posizionarsi più su, come si potesse ringraziare qualcuno che non sia Gigio stesso. Che questi momenti li segna come tacche, scegliendo stadi leggendari per le sue imprese: prima di Anfield, lo stadio che dovrebbe metterti paura per il nome (Bill Shankly volle la scritta “This is Anfield” all’ingresso del tunnel per ricordare ai Reds l’importanza del posto in cui entrano e incutere timore agli avversari per lo stesso motivo), lo aveva fatto a Wembley, il giorno in cui l’Italia è diventata campione d’Europa. Darwin Nunez, Curtis Jones (del Liverpool), Jadon Sancho e Bukayo Saka (della Nazionale inglese) hanno sbattuto contro di lui e la sua meravigliosa e involontaria arroganza tecnica. Quella che quando arrivano i rigori lo rende una statua, uno che sa cosa deve fare: se para indica i compagni, come contro il Liverpool, perché loro possano esultare e non lui, che ha ancora un compito da finire. O resta così freddo da far sembrare facile ogni parata, in quel momento impassibile da spacciare per ordinaria un’impresa, così concentrato da non accorgersi, come a Londra, di aver parato il rigore decisivo della finale dell’Europeo.
L’immagine di lui che cammina sereno, quasi distratto, mentre gli azzurri gli corrono incontro per festeggiare il trionfo europeo è forse la fotografia più potente della sua carriera. Al secondo posto c’è il Psg radunato a sentire Luis Enrique prima dei rigori senza di lui, perché era andato negli spogliatoi di corsa per ripassare tutto quello che aveva studiato sul modo di calciare dei rivali. Messe insieme, le due foto dicono esattamente quello che Donnarumma riesce a essere: mentre gli altri si affannano intorno a lui, perché non gli perdonano il talento o il conto corrente o le scelte coerenti con il calcio moderno, Gigio pensa a parare. Gli conteranno gli errori, ridacchiando, risponderà bloccando rigori, con la faccia di chi sa come si fa. Mostrando spalle così larghe da coprire l’intera porta.