L’anima in paradiso e una comunità che non maledice il male

  • Postato il 23 giugno 2024
  • Di Il Foglio
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L’anima in paradiso e una comunità che non maledice il male

Come un pinguino all’Equatore. A Antonio Polito ha detto il cardinale Camillo Ruini che l’anima in paradiso è felice “enormemente” perché vede Dio, ma senza il corpo, prima della resurrezione della carne, è “come un pinguino all’Equatore”. Sull’ultimo Papa, la profezia di Malachia, sia Gian Maria Vian sia Paolo Mieli sospendono il giudizio, annotando i maliziosi riferimenti alla storia o leggenda accennati da Joseph Ratzinger. Gli ultimi due prima del pontefice gesuita, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, erano teologi. Il primo anche un pastore fortissimo, un papa re che sollevava l’ovile universale dominandolo, il secondo un pastore fragile e un problematico, illuministico gigante del pensiero cristiano, cui Otto Kallscheuer ha dedicato una monografia che si spera venga tradotta e pubblicata in Italia al più presto.

Tra i due, e tra i due secoli, giganteggia Ruini, il teologo popolare di Sassuolo (93 anni ben spesi) che li ha serviti entrambi e che il beffardo e litigioso Francesco Cossiga considerava, in sintonia con il giornalismo più pigro del mondo (escluso Polito), “un segretario regionale della Democrazia Cristiana”. Se il Creator Spiritus l’avesse fatto papa dopo Benedetto, la chiesa cattolica sarebbe in piedi nel mondo invece che inginocchiata all’inseguimento dei tempi

Adattata all’anima in paradiso, la metafora del pinguino all’Equatore, in attesa del ricongiungimento familiare con il corpo, è la più bella invenzione intellettuale da tempo immemorabile. E’ un richiamo alla realtà, che ha la forza di una staffilata e che la fede non pregiudica, anzi implica. La filosofia cerca, la scienza osserva e sperimenta, la teologia indaga nel trovato della fede, e nel trovarobato della tradizione filosofica e liturgica, navigando anche sotto costa al largo delle scoperte scientifiche. I papi teologi sono stati criticati e sostituiti dal pauperistico fiuto per l’odore delle pecore, con grave danno per l’istituzione ecclesiastica e per il mondo in cui opera senza più capacità di contraddizione e di speranza. E’ un peccato mortale. La teologia moderna, e qui va compreso anche Paolo VI con le sue grandiose incertezze e le meraviglie dogmatiche come la Humanae vitae, è in uomini e pensatori come Ruini un umanesimo sul serio integrale che dà un orizzonte corporeo, iperdantesco, al paradiso e ribadisce l’affollamento dell’inferno con parole semplici. Il peccato originale secondo Ruini “è un dogma. Come diceva Pascal è il mistero più incomprensibile di tutti, grazie al quale però noi diventiamo comprensibili a noi stessi. Non le sembra molto aderente alla realtà l’idea che gli uomini abbiano una tendenza al peccato? La concupiscenza, intendendo con questo termine una generale inclinazione verso il male che è proprio il segno del peccato originale, è l’altra faccia del libero arbitrio dell’uomo”. 

E subito il pensiero va a un braccio amputato da una macchina agricola nell’Agro Pontino, deposto su una cassetta di frutta come deposto è il corpo dell’uomo che lo ha perso, non all’ospedale, ma davanti a casa sua, scaricato per paura di complicazioni. Una deposizione senza resurrezione. Nota Ruini: “Oggi nessun prete direbbe ‘maledetti’ a chicchessia (come Cristo nel vangelo ndr), l’ultimo che ho sentito esprimersi con tale energia fu Padre Pio”. Tutta la comunità nazionale avrebbe dovuto scagliare la sua maledizione sul male scelto da uomini liberi di farlo, ma la comunità c’è e non c’è, il prete cristiano di Ruini latita.

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Autore
Il Foglio

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