Lancia Beta Montecarlo, 50 anni di mito e un prezzo da collezionisti

  • Postato il 16 aprile 2025
  • Auto
  • Di Virgilio.it
  • 2 Visualizzazioni

50 anni. Il tempo dei bilanci. Su ciò che è stato. Su ciò che avrebbe potuto essere. Sulle sliding-doors di un’esistenza intera. Racchiuso in un fazzoletto di terra, come quello italiano, sono nate alcune delle auto migliori di tutti i tempi. Tipo la Lancia Beta Montecarlo, che festeggia il mezzo secolo di vita.

Corsi e ricorsi attraversano la mente. Anche i nuovi appassionati l’avranno sentita nominare. Almeno una volta. In un discorso di sfuggita tra papà e nonno, magari. Oppure hanno avuto un “incontro ravvicinato” da piccoli. In garage, dove si scrivono le piccole e le grandi storie. Che ci ricordano perché l’ingegno italiano è difficilmente replicabile. E pensare che in principio il progetto doveva essere esclusivamente Fiat. Invece no. Invece Lancia entrò nel discorso. Ed ebbe ragione lei.

Quando Pininfarina osò da sola

Fine anni Sessanta. Un’epoca di risalite, un’epoca di ambizioni. Fiat congedò la 124 Coupé per buttarsi in qualcosa di inedito. Ok, la piccola X1/9 ne teneva alto il nome. Ma mancava ancora qualcosa. Una sportiva fatta e finita, a motore centrale. Ed è qui che entrò in scena Pininfarina. In gran segreto, il designer Paolo Martin buttò su tela degli schizzi. Ritraevano la X1/8, una berlinetta due posti con V6 3.0. Opera 100% Pininfarina. Fino ad allora non era mai accaduto.

Nel 1973 il crollo petrolifero. Senza colpe delle parti, il piano perse slancio. Buttare, però, tutto il buono fatto sarebbe stato uno spreco. Ed ecco allora intervenire Abarth. Con un prototipo – la SE 030 – di chiara ispirazione racing. Iscritta al Giro d’Italia Automobilistico 1974, colse di sorpresa le rivali. Solo la Stratos Turbo di Andruet e “Biche” le negò il trionfo. Salone di Ginevra, 1975. La Lancia Beta Montecarlo nacque.

 

La rivincita della Lancia Beta Montecarlo dopo la prima fredda accoglienza
Fonte: Ufficio Stampa Stellantis
La Lancia Beta Montecarlo ha avuto la sua rivincita dopo l’indifferenza iniziale

Muso basso. Coda tronca. Look da “belva assassina”. Che surriscaldava l’asfalto e scaldava le vene. Il nome celebra i trionfi Lancia oltralpe. Il successo facile lo scansava. Come una donna che ti si getta tra le braccia senza averla corteggiata. All’appariscenza preferiva la sostanza. Sempre. Il cofano anteriore nero opaco – privo di cromature – era sintomatico circa la sua filosofia. Zero orpelli.

Telaio monoscocca. 381 cm di lunghezza per 119 cm di altezza, forgiati da mani che col metallo disegnavano sogni. Coupé o Spider. Dietro l’abitacolo, pinne posteriori. Nemico, l’aria. Sfidato e battuto. Silhouette snella, nervosa. Peso sotto i 1.000 kg. Le curve? La solleticavano. I rettilinei? Le lasciavano libero sfogo. Motore al centro. Lì dove il Lampredi 2.0 lo sentivi battere più dei 120 CV effettivi. Mire internazionali. Negli Usa arrivò coi fari tondi a scomparsa. Da noi con fari rettangoli carenati.

All’interno, sedili avvolgenti. E un volante a 2 razze, poi 3 Momo. La Serie I sbarcò nelle concessionarie nel 1975. Cerchi da 13 pollici. Niente finestrini nelle pinne. 5.638 esemplari. Tre anni dopo, il ritorno nel motorsport. Patto con Abarth e Pininfarina. Base Montecarlo stradale. Aerodinamica esasperata: passaruota larghi, alettoni, appendici ovunque. Carrozzeria – livrea Martini Racing – in vetroresina, telaio tubolare Dallara. Restò giusto la parte centrale. Se provocato, il 4 cilindri turbo scatenava 440-490 CV di furia cieca.

Una staffetta da campioni

Silverstone 1979. Battesimo di fuoco. Porsche 935 (oggetto di culto anche di Pablo Escobar) e BMW M1 la attendevano al varco. Pronte a metterle i piedi in testa. Germania suprema. Anzi, no. La Lancia Beta Montecarlo diede prova di avere la stoffa della fuoriclasse. E al giro del calendario, aveva già portato in bacheca il Campionato Marche Divisione 2 Litri. Antipasto leggero. Preludio ai due titoli assoluti nei Mondiali 1980 e 1981. Piloti di levatura si passarono la torcia. Hans Heyer. Riccardo Patrese. Markku Alén. Michele Alboreto. Attilio Bettega. Le coppie Patrese/Alén e Alberto-Bettega fecero doppietta al Giro d’Italia 1980. Impossibile chiedere di meglio.

Nel 1980, toccò alla Serie II. Ora si faceva chiamare soltanto Montecarlo. Più semplice, più immediato. Nuovi cerchi da 14 pollici le conferivano mordente. I finestrini colmarono un vuoto. I freni smisero di impanicare. Quelli originari entravano in funzione troppo presto. Un pugno al momento sbagliato. I tecnici impararono a dosarne la forza. Da rapporti veri. Non costruiti a tavolino. Eppure, i risultati del primo capitolo rimasero ineguagliati. Appena 1.940 le unità piazzate. Ormai aveva imboccato il viale del tramonto. Un anno, e il sipario calò. A pancia piena, nel motorsport.

Il capitale fu valorizzato dalle eredi. In prima linea, la 037. Stesso concetto architettonico. Stessa scocca centrale. Stessi partner, stessi ruoli: Abarth (meccanica), Pininfarina (design), Dallara (telaio, un’evoluzione). A monte, la medesima filosofia progettuale. Compatta, leggera e aggressiva. Adatta a imporsi in pista e su strada. Fu jackpot quasi immediato. Nel 1983, la 037 divenne campione iridata di rally nel 1983. Meglio delle 4×4 Audi. L’ultima a trazione posteriore.

Lancia Beta Montecarlo: 490 CV di puro carattere
Fonte: Ufficio Stampa Stellantis
La Lancia Beta Montecarlo da rally sprigionavo fino a 490 CV: abbastanza per vincere Mondiali

Gli onori se li prese lei. Ma senza la base Montecarlo la realizzazione avrebbe richiesto anni. Niente lei, nessun mondiale. Nessuna leggenda. Anello di congiunzione tra HF e 037, la Beta Montecarlo è un caposaldo. La torcia che alimenta il DNA corsaiolo della Lancia, tornata negli scorsi giorni al rally. Allora, fu sopravvalutata. Le incollarono l’etichetta di “eterna promessa mancata”. Né carne, né pesce. Non abbastanza comoda per i clienti da salotto. Non abbastanza estrema per i cultori del brivido. Con il passare del tempo, ha però avuto una svolta.

Meno di 9.400 esemplari in totale, tra Europa e Usa. In larga parte finiti sotto una coltre di polvere, corrosi dalla ruggine o distrutti dall’incuria. Eppure, chi le è rimasta accanto ha avuto ragione. Perché oggi, la Montecarlo è considerata un tesoro vintage. Una Ferrari dei poveri, come l’hanno affettuosamente ribattezzata. Proporzioni da supercar. Tocco Pininfarina. Sound da vera italiana. Emozioni sincere, ancora abbordabili: 25-40.000 euro per un buon esemplare. Occhio però: stanno salendo.

La si riconosce nei raduni storici. Nei musei. Nei video emozionali dell’Heritage Stellantis. Le ingiustizie ricevute in passato hanno trovato riscatto. Lasciare il segno è il fine, e talvolta fa centro: alcuni collezionisti la sguinzagliano in pista. In gare d’epoca. In cronoscalate. Le battaglie silenziose hanno ottenuto una seconda occasione. Adesso, qualcuna la guarda per quello che è: una berlinetta onesta, sferzante, sexy. Una “sportiva d’onore”, che non si è mercificata. È rimasta fedele a sé stessa. Nessun clamore. Solo la strada. E forse, per questo, è entrata nel pantheon delle immortali.

Autore
Virgilio.it

Potrebbero anche piacerti