L’algoritmo di Babele, o le radici antiche dell’IA. Un libro
- Postato il 23 dicembre 2024
- Di Il Foglio
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L’algoritmo di Babele, o le radici antiche dell’IA. Un libro
Il dibattito attorno all’intelligenza artificiale è più denso di preoccupazioni che di speranze, al punto che non di rado capita, dopo lunghe discussioni sui suoi pericoli e possibilità distorte di utilizzo, che qualcuno esordisca esprimendo sorprendente entusiasmo con un: “Ma sai che l’ho provata? Ma sai che non è male? Ma sai che funziona? Sì non è perfetta, ma in fondo…”. E spesso chi l’ha provata si riferisce a ChatGPT che non è certo sinonimo onnicomprensivo di intelligenza artificiale, tanto più se utilizzata come una forma evoluta di Wikipedia. Non è da sottovalutare l’effetto straniante e di sconvolgimento che lascia attoniti, ma è bene provare a fare dei passi indietro e riflettere sulla genesi dell’intelligenza artificiale, riscoprendone un percorso intellettuale che non è calato all’improvviso dal cielo come frutto di qualche isolata mente tanto geniale quanto misantropa, ma è il punto di caduta di un’evoluzione che parte molti anni fa, addirittura da Omero. E provando a recuperare le tracce di un percorso intellettuale lungo e complesso prende forma il saggio “L’algoritmo di Babele” (Solferino) del filosofo Andrea Colamedici e di Simone Arcagani, studioso di cinema e nuovi media.
La torre si è dunque trasformata in un algoritmo, altro agente oscuro e sempre temuto, e come tale è la nuova utopia contemporanea, un pensiero azzardato che ha preso forma stabilizzandosi nei secoli per non dire nei millenni. In qualche modo l’intelligenza artificiale non è altro che il primo (e temporaneo) approdo di un desiderio e di un’ambizione coltivata a lungo dagli esseri umani. Basta solo provare a gettare lo sguardo oltre l’attualità, anche parecchio deprimente, che cerca di reprimere le paure cercando utilizzi strumentali tanto rassicuranti quanto banali. L’intelligenza artificiale non mette a rischio la libertà di pensiero degli umani, ma certamente la sfida e le offre un campo ulteriore e più raffinato d’azione. Colamedici e Arcagni offrono così ai lettori un catalogo dentro al quale si è sedimentato e ha preso forma l’algoritmo di Babele: da Kafka a Calvino, dalla filosofia greca di Platone alla letteratura di Asimov. Un viaggio ricco e avvincente che non si pone l’obiettivo di calmare le acque, ma di offrire un orizzonte saldo dentro al quale rendersi conto di una nuova e stupefacente navigazione possibile.
Ci sono dei rischi certamente, ma nulla di diverso da prima. Anche se in verità qualcosa sta cambiando, perché dopo decenni in cui la rete e il digitale hanno offerto tutto sommato spazi di rassicurante tranquillità ora sembra cambiare proprio la logica di ingaggio con uno strumento che potrebbe permettere non solo di ampliare le reti relazionali e cognitive, ma di mutarne l’essenza richiedendo una presenza dell’umano nuovamente centrale. “L’algoritmo di Babele” è un libro oggi fondamentale perché offre gli indirizzi giusti a cui bussare per provare a capire che forma assumerà il nostro fare futuro e insieme a “La rivoluzione algoritmica delle immagini” (Sossella editore) di Francesco D’Isa, offre una possibilità di gettare uno sguardo su ciò che sarà e soprattutto su quello che saremo.