“L’Agenzia deve sapere quanti soldi ci sono sui conti correnti”. E la commissione sul magazzino fiscale boccia la riforma della riscossione

  • Postato il 18 settembre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Mentre la Lega continua a insistere perché nella legge di Bilancio entri una nuova generosa rottamazione delle cartelle esattoriali non pagate, la commissione nominata dal Mef con l’incarico di esaminare il magazzino fiscale rompe le uova nel paniere della maggioranza. La bozza della relazione finale ultimata nei giorni scorsi segnala infatti “la necessità di una profonda riflessione sulla complessiva politica di recupero fiscale di natura coattiva”. È una bocciatura della riforma della riscossione messa in campo dal governo Meloni nell’ambito della delega fiscale, giudicata insufficiente per aumentare l’efficienza di un sistema le cui performance oggi sono le peggiori dell’area Ocse. Per invertire la rotta l’organismo presieduto da Roberto Benedetti, magistrato della Corte dei Conti a riposo, chiede tra il resto che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione possa utilizzare “tutti i dati di interesse per la riscossione coattiva contenuti nell’anagrafe tributaria e nell’anagrafe dei rapporti finanziari” compresa “la consistenza attuale” del conto corrente. Nonché “i dati della fatturazione elettronica per avviare procedure mirate di pignoramento dei crediti da rapporti commerciali”. Kriptonite per Matteo Salvini e alleati, tanto più alla vigilia delle elezioni Regionali.

Non che l’accesso alle informazioni sulle somme presenti sui conti correnti del contribuente evasore sia un’ipotesi lunare: il fisco lo chiede da anni e nel 2023 è stato proprio il governo della leader di Fratelli d’Italia a inserire in manovra una norma che sulla carta avrebbe dovuto consentire all’erario di ottenere dalle banche informazioni sulla capienza dei conti in modo da poter procedere al pignoramento a colpo sicuro e non “al buio”. Ma il decreto attuativo del Mef non è mai stato emanato per evidente indigeribilità politica. Ora i nodi vengono al pettine: la commissione in cui siedono anche rappresentanti della Ragioneria generale, del dipartimento Finanze e degli enti locali fa presente che se non si amplia la batteria di poteri e strumenti a disposizione dell’agente della riscossione – per esempio rivedendo le limitazioni che indeboliscono l’azione del riscossore pubblico – e in parallelo non si assume nuovo personale con competenze specialistiche e non si punta sull’interoperabilità delle banche dati, la riforma incentrata sullo snellimento dell’enorme magazzino fiscale sarà inutile. Come le rottamazioni amate dal Carroccio, il cui tasso di decadenza (cioè l’ammontare delle cifre non versate rispetto a quelle attese) varia a seconda dell’edizione dal 45 al 70%. In pratica, quando va bene si incassa meno di metà del dovuto.

Il cuore del mandato della commissione era però quello di consigliare al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti come gestire il famigerato magazzino fiscale accumulato dal 2000 a oggi, pari a 1.272 miliardi di crediti. Se per il futuro il decreto attuativo della delega fiscale prevede il discarico automatico dei debiti non riscossi entro 5 anni dall’affidamento all’Agenzia della riscossione e rateizzazioni extra large anche per chi non può dimostrare di non essere in grado di pagare, il nodo del pregresso è stato appunto rimandato chiedendo agli esperti guidati da Benedetti di suggerire una via per arrivare entro il 31 dicembre 2025 al discarico totale o parziale dei ruoli affidati dal 2000 al 2010 (che sono quasi il 30%), entro fine 2027 alla cancellazione di quelli risalenti al 2011-2017 ed entro fine 2031 all’eliminazione delle pendenze datate 2018-2024. La bozza di relazione, inviata alla conferenza unificata per il benestare, dà una risposta dopo aver passato in rassegna i dati sul carico residuo e l’avvilente contabilità dei crediti non più riscuotibili perché dovuti da morti, ditte cessate, soggetti sotto procedura concorsuale, nullatenenti, contribuenti già sottoposti ad azione cautelare o esecutiva senza successo. Tra 2000 e 2024 il tasso di riscossione si è fermato al 9,6%, mentre ben il 22,5% dei crediti è stato annullato.

Stando alla ricognizione dell’AdER, i crediti non riscuotibili ammontano nel complesso a 537,75 miliardi, il 42% del magazzino residuo. Solo per 568 miliardi di crediti il fisco è invece in grado di determinare l’aspettativa di riscossione. Le proposte di discarico della commissione si concentrano sul primo insieme. E il suggerimento è quello di avviare il discarico partendo dai crediti giuridicamente non più esigibili relativi a tutto il periodo 2000-2024, pari a 338 miliardi di euro, a cui sommare quelli “con remote prospettive di riscossione” del periodo 2000-2010, che ammontano a 70 miliardi. Quindi nella prima fase andrebbero mandati al macero ruoli per 408 miliardi, il 32% del magazzino residuo. Un falò di 27,6 milioni di cartelle con 42,9 milioni di debiti accumulati da 9,3 milioni di contribuenti, ognuno con un debito medio di quasi 44mila euro. I carichi, a dire il vero, stando alla riforma della riscossione verrebbero in realtà riconsegnati ai creditori iniziali (in prima fila l’Agenzia delle Entrate, poi gli enti previdenziali e gli enti locali) che potrebbero decidere di gestirli direttamente o riaffidarli. Ma la commissione suggerisce di prendere atto della realtà e annullare ex lege quelli sicuramente irrecuperabili.

Segue il capitolo sulle “ulteriori proposte”, il più doloroso per la maggioranza. Perché la commissione, prima di auspicare l’accesso ai conti dei debitori, mette nero su bianco che lo svuotamento del magazzino pregresso e il discarico automatico previsto per il futuro – pilastri della riforma firmata dal viceministro Maurizio Leo – “potrebbero essere di per sé non sufficienti” a ridare fiato all’agente della riscossione. Serve ben altro: investimenti in risorse umane, “evoluzione della qualità e interoperabilità degli elementi informativi utili per la riscossione dei crediti pubblici” a partire dai dati sulla consistenza dei conti correnti, superamento della complessità degli adempimenti burocratici che dilatano i tempi di recupero come l’obbligo di inviare nuove intimazioni di pagamento dopo un anno, la necessità di solleciti per piccoli debiti, l’obbligo di aspettare due mesi dall’invio della comunicazione prima di agire con misure cautelari ed esecutive. Infine, in cauda venenum, la chiusa della relazione invita esplicitamente a “evitare l’utilizzo dilatorio delle rateizzazioni” sempre censurato dalla Corte dei Conti. In teoria una pietra tombale sulle velleità di pace fiscale della Lega. Ma ora sta al governo decidere se accettare il consiglio.

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