L’ad di Unicredit: “Tutti i governi vogliono un ruolo nelle fusioni tra imprese. Lo farei diversamente”

  • Postato il 12 maggio 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Di questi tempi tutti i governi vogliono mettere becco nelle fusioni tra imprese, il cosiddetto M&A. La sintetizza così il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel: dalla Spagna all’Ungheria, passando per la Germania e l’Italia, dice, gli Stati vogliono avere un proprio spazio di osservazione e un ruolo in questo tipo di operazioni. “È una cosa che riguarda il settore delle fusioni e acquisizioni e in un certo senso è giustificata dal fatto che i governi vogliono essere sicuri che queste operazioni vengano portate avanti in modo da sostenere l’economia e le famiglie – spiega il banchiere agli analisti in occasione della presentazione dei conti del trimestre della seconda banca italiana -. Su questo punto condivido assolutamente la posizione, magari possiamo avere opinioni diverse sull’implementazione, cioè sul modo in cui viene raggiunto l’obiettivo, io lo farei in un modo diverso ma…questo è un fatto e riguarda quasi tutti i Paesi in cui operiamo. Non solo in Europa”.

Unicredit in particolare soffre quella che gli analisti chiamano “ostilità politica” sia in Germania, dove il suo assalto a Commerzbank è respinto dall’interessata con il sostegno della politica, sia in Italia dove la Lega avrebbe altri piani per il futuro di Bpm, che si trova appunto sotto offerta da parte della banca di Orcel. Un’operazione che il governo ha pesantemente osteggiato sia a parole che coi fatti, tramite un provvedimento ai sensi del Golden Power senza precedenti, visto che riguarda due imprese italiane. Non a caso sul tema è atteso un intervento comunitario, anche se secondo il ministro Giorgetti l’esecutivo è giustificato dalla tutela degli interessi nazionali.

Le prescrizioni in cambio delle quali il governo darebbe il via libera alle nozze sono arrivate venerdì Santo e impongono tra il resto a Unicredit l’uscita dalla Russia entro gennaio 2026 (l’obiettivo della banca confermato in sede di trimestrale è di uscire entro metà 2026) e il mantenimento per 5 anni degli investimenti sull’Italia da parte di Anima sui livelli attuali. Il Dpcm, ripercorre Orcel, è arrivato proprio mentre la banca stava valutando la situazione di Bpm a valle dell’acquisto di Anima, per decidere se e come proseguire con la propria offerta che, secondo i conti snocciolati dal banchiere, offre un premio del 40-50% sul valore del Banco prima del suo lancio dell’offerta su Anima. L’analisi è ancora in corso, perché mancano degli elementi, ma ci “siamo resi conto che per allineare la qualità degli attivi di Bpm alla nostra banca in Italia, dobbiamo fare altri 800 milioni di accantonamenti, 550 al netto delle tasse, cioè un altro 6%”, dice tra il resto. E poi c’è la questione Anima, che “a seconda di come la si voglia valutare, ha distrutto un valore tra 1 e 1,7 miliardi“, sostiene.

“Avevamo tempo e diritto di valutare la situazione, quando è arrivato il Golden Power: nonostante il contenuto del provvedimento sia segreto, è stato abbondantemente divulgato a mezzo stampa – sottolinea, invitando gli interlocutori a farsi un’idea propria sul provvedimento – Ci sono diversi elementi che secondo noi non sono chiari e neppure voluti. Stiamo cercando di chiarirli, abbiamo bisogno di fare questo passaggio prima di prendere una decisione definitiva e intendiamo farlo, se non avremo un chiarimento dovremo farci una nostra interpretazione sulle prescrizioni del Golden Power. Non abbiamo pressione, abbiamo pazienza, aspetteremo”, dice quindi in riferimento all’atteso colloquio con i rappresentanti del governo. Ma anche alle ripetute sollecitazioni da parte della stessa Bpm, che evidentemente non intende raccogliere. Il suo tempo, su questa operazione, scade il 30 giugno.

“Mi sono occupato di fusioni e acquisizioni per molto tempo e ho assistito a massicce distruzioni di valore da parte di squadre di manager e aziende messe sotto pressione dai media, da visioni di breve termine e dalle speculazioni: fanno le transazioni e dal giorno dopo devono iniziare a rimediare ai danni fatti, un’operazione che durerà diversi anni”, spiega con tono tono pacato ma risoluto, mentre usa questo esempio per chiarire, spera, una volta per tutte il concetto: non porterà avanti a tutti i costi l’offensiva sulla tedesca Commerzbank o sulla milanese Bpm.

E quando parla di esperienza diretta di acquisizioni che hanno fatto la rovina dell’acquirente, c’è da credergli. Basta pensare al Montepaschi, non a quello di oggi impegnato nell’assalto a Mediobanca tre volte più grande di lui, ma a quello che 18 anni fa comprò Antonveneta dalla famiglia Botin, che a sua volta l’aveva comprata dagli olandesi di Abn Amro. Un’operazione disastrosa per la banca senese e per i contribuenti italiani, che era stata approvata anche dai soci dell’istituto rappresentati in consiglio. “Uno è spinto a chiudere per poter dire l’ho chiusa e poi si porta in casa un problema che deve gestire per i successivi 5 anni – aggiugne poi parlando con Class Cnbc – Io non lo farò, sono molto paziente e calmo e il cda è allineato”.

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